Giro per lavoro a Milano così mi son fermato alla Libreria Militare che ha sempre il suo bel perchè. Ho trovato il seguente libro "Combattimento con il pugnale o la baionetta" di A.G. Merendoni.
Dal punto di vista delle tecniche son di una semplicità pazzesca dunque assolutamente credibili. Ma la cosa più interessante è una raccolta di storie di combattimenti col coltello e la baionetta dal 1860 in poi, alcune di Edmondo De Amicis. Parecchie della guerra contro i briganti e della prima guerra mondiale ma anche l'addestramento dei lagunari degli anni settanta.
« Risposta #1 inserita:: Giugno 12, 2016, 19:43:34 »
“Combattimento con il pugnale o la baionetta nella tradizione militare italiana” di Antonio Merendoni e Osvaldo Brunetti. Ho seguito il tuo consiglio: comprato e letto. Sicuramente interessante, direi anzi parecchio interessante.
Perplessità? Svariate, in ogni caso… Ti dirò, non voglio mettere in discussione l’attendibilità storica dell’opera e del materiale mostrato, solo voglio mantenermi il dubbio che difficilmente si possa risalire tramite manuali ad hoc e tecniche tramandate (anche rielaborate? anche integraste con altro?) a quello che in realtà veniva messo in pratica sul terreno di scontro. Inoltre direi che non è così scontato che quanto deciso in certi ambienti militari fosse per forza il meglio del meglio e che la riprova del combattimento (dei tanti combattimenti…) lo avesse per forza confermato.
Quel che mi è piaciuto di più è una certa disomogeneità fra i vari metodi presi in esame, una apparente scarsa influenza di tecniche di derivazione jappo (che in ogni caso, per realtà storica, ci starebbero eccome) e una generale originalità e controtendenza negli approcci al contatto con l’avversario. Tutte cose che mi fanno pensare a roba abbastanza… genuina (?), anche se non per questo garanzia di “italica micidialità”.
Per tentare un sintetica recensione e buttar lì un paio di personalissime considerazioni prendo a riferimento i quattro filoni inerenti il combattimento con arma corta.
« Risposta #2 inserita:: Giugno 12, 2016, 19:44:47 »
PUGNALE - XIX SECOLO E PRIMA GUERRA MONDIALE L’uso popolare di battersi al coltello utilizzando un indumento avvolto intorno al braccio disarmato per servirsene come scudo ben si ritrova in vari aneddoti che i due autori riportano dalla letteratura ottocentesca. Secondo me questa tecnica da duello rusticano avrà probabile influenza anche sulla tipica guardia attribuita (attraverso l’interpretazione di immagini iconografiche e fotografie dell’epoca) ai reparti d’assalto italiani. Ovviamente quella postura con l’avambraccio tenuto orizzontalmente davanti a sé ormai non è più funzionale a un empirico approccio schermistico, ma per il milite impegnato nelle mischie furibonde all’interno delle trincee e fra i reticolati diviene lo strumento più semplice per parare i colpi che provengono (in maggioranza) dall’alto o dal basso. L’avambraccio tenuto orizzontale serviva, immagino, anche per investire l’avversario e per fungere da base di partenza per eventuali ingaggi da corpo a corpo. E’ notorio che venissero raccomandati i colpi di punta. Tutto ciò che viene mostrato lascia presupporre che il pugnale fosse tenuto quasi unicamente con la punta rivolta verso il basso, il che ha un senso visto che gli scenari degli scontri obbligavano a distanze ridottissime e precludevano il giocare sulla misura. I colpi di soprammano erano indubbiamente quelli più pratici e risolutivi, una volta che eri riuscito a curvare in avanti l’avversario o a rovesciarlo sulla schiena (o, specie nel caso degli Arditi, quando lo avevi già messo a terra con l’esplosione di un petardo). In poche parole, smisurato coraggio e bassa macelleria. Carne da cannone.
« Risposta #3 inserita:: Giugno 12, 2016, 19:47:19 »
PUGNALE - SECONDA GUERRA MONDIALE E PRIMI DECENNI SUCCESSIVI Gli autori riportano vari estratti di manuali miliari e tracciano un percorso di scelte avvenute fra gli alti comandi che alla fine avrebbe portato alla codificazione di un sistema unico. Poi mostrano una lunga serie di sequenze fotografiche esplicative, ma non è dato capire se siano effettivamente riferite a questo metodo ufficiale e unificato. Le stesse tecniche sono descritte dettaglio per dettaglio. La cosa che balza all’occhio, rispetto a quanto riferibile al periodo bellico precedente, è la mutata posizione di guardia. Ipotizzando scenari più aperti delle fangose trincee della Grande Guerra, e un minimo impiego degli assalti di massa, adesso si opta per un’impostazione molto più duttile, adatta in particolare per un ingaggio da maggiore distanza. La posizione di guardia ricorda un po’ quella delle Arti marziali filippine, con la “mano viva” tenuta a protezione della gola, e ha due varianti: braccio armato e gamba corrispondente avanzati oppure braccio armato e gamba corrispondente arretrati. L’arma viene ora impugnata con la punta verso l’alto e si prediligono stoccate che hanno per bersaglio l’addome. Si raccomandano combinazioni di colpi, mirando anche ad altri bersagli vitali (viene mostrato uno schema di questi ultimi). Previsto anche qualche eventuale colpo di taglio alla gola. Nonostante questa visione del combattimento più variegata e votata al giocare sul tempo e la distanza non si assiste però al rispetto di alcuni fra i maggiori capisaldi ella scherma. Non c’è, ad esempio, alcuna economia di movimenti: attacchi e parate vengono effettuati con gesti ampi e caricati, ricercando più frequentemente la massima potenza che non la brevità e rapidità d’azione. Viene addirittura ribaltato l’assunto per cui debba sempre essere il braccio a muoversi ed avanzare prima delle gambe e del corpo! Viene da pensare quindi che sul teatro di guerra, nonostante il mutare dei tempi e di una certa mentalità “garibaldina” presente nei conflitti precedenti, un colpo potenzialmente definitivo ancora fosse considerato assolutamente prioritario rispetto a qualsiasi altra soluzione. E questo anche a scapito di certi aspetti difensivi e conservativi come si intendono oggi nell’ambito di alcuni moderni sistemi di Combatives. Nel metodo viene studiato, in ogni caso, anche lo specifico settore del combattimento a distanza ravvicinata, con tanto di prese, leve e lotta corpo a corpo (il tutto coltello contro coltello, ma traslabile anche in mani nude vs. coltello).
A ogni modo resta assai poco chiaro se le tecniche presenti elle sequenze fotografiche siano pertinenti a un programma ufficiale partorito all’interno dell’Esercito o siano frutto di valutazioni e rielaborazioni dei due autori. Mio parere è che, pur giudicando il tutto piuttosto interessante e stimolante, difficilmente un metodo così complesso e articolato avrebbe potuto essere insegnato alla truppa, e nemmeno a reparti speciali. Il pugnale sarà rimasto un simbolo importante per il militare italiano, ma di certo a metà del XX secolo era divenuto ormai un’arma totalmente secondaria rispetto a quelle da fuoco.
« Risposta #4 inserita:: Giugno 12, 2016, 19:49:17 »
Nell’insieme dell’opera vengono menzionati anche altri argomenti (es. prese sugli indumenti, uso simultaneo di pugnale e baionetta, pugnale contro baionetta inastata sul fucile, soppressione di sentinelle etc.) i quali vengono trattati a vari livelli. Sorvolo sulle sequenze di utilizzo di doppia arma (pugnale e baionetta) che mi ricordano più certe cose da trattato rinascimentale che tecniche plausibili per la fanteria del Regio Esercito. Tralascio anche le citazioni relative all’uso del fucile con baionetta, che esulano dal maneggio di ferri corti. Prendo in vece in esame la parte del libro che mi ha lasciato più perplesso.
BAIONETTA IMPUGNATA Mia considerazione. La baionette in uso dall’inizio del XX secolo in poi non è che si discostino più di tanto per forma dal pugnale. Magari in certi casi la lama un po’ più lunga e pesante avrà potuto permettere anche dei colpi di taglio più performanti, ma per il resto siamo lì… La differenza starebbe, eventualmente, nel giocarsela su distanze più lunghe e quindi in un atteggiamento relativamente più “schermistico”. Quello che gli autori invece fanno vedere è un insieme di sequenze fotografiche relative a un metodo in cui la baionetta impugnata viene utilizzata in situazioni praticamente da corpo che, nella maggior parte dei casi, finiscono con la messa in leva di un braccio dell’avversario e il suo controllo una volta che lo si è portato a terra. Cioè, voglio dire… Mica si pensa a fare qualcosa tipo operazioni di polizia quando ci si trova a sfoderare una baionetta su un campo di battaglia! In tutta sincerità non ho capito dove stia il nesso con le pratiche di combattimento della tradizione militare italiana.
« Risposta #5 inserita:: Giugno 12, 2016, 19:52:13 »
PUGNALE O BAIONETA - ALTRI METODI DI COMBATTIMENTO INDIVIDUALE Infine, giusto in appendice, si giunge a quella che forse è la parte più interessante, anche se la più scarna. Vengono menzionati tre metodi, citando nomi e cognomi degli istruttori militari che ne sono stati a loro tempo i depositari, e vengono mostrate brevi esemplificazioni tramite sequenze fotografiche.
Il primo è relativo al periodo della guerra del ‘15-’18. Schematiche e semplici (nonché semplicistiche) combinazioni di parata e contrattacco. Nonostante durane la Grande Guerra l’utilizzo più diffuso del pugnale fosse quello con punta rivolta verso il basso qui si vede invece l’arma impugnata con la punta verso l’alto. Il tutto mi fa pensare a qualcosa deciso a tavolino da istruttori e consulenti militari, privo cioè di una vera esperienza maturata sul campo. Il che, tra l’altro, sarebbe perfettamente in linea con quanto accadeva effettivamente a quei tempi: le peggiori decisioni venivano prese proprio da chi non aveva mai visto il fango delle trincee.
Il secondo si riferisce agli anni ‘40 Qui si tratta di baionetta, tenuta però in guisa di pugnale, con la punta verso il basso. La lunghezza della lama favorisce la protezione dell’avambraccio corrispondente. Secondo me in questo metodo esiste appunto la diretta influenza di esperienze ottenute dal conflitto precedente, e infatti mi sembra in assoluto il più interessante e applicabile, benché limitato a pochissime soluzioni tecniche. Generalmente l’arma viene impiegata prima per parare e poi per contrattaccare, con spostamenti del corpo e angolazioni delle linee di forza che hanno una loro logica.
Il terzo appartiene agli anni ’60. Qui si parla di servizi segreti. E infatti il tutto è talmente segreto che vengono mostrate soltanto le foto di due posizioni di guardia. Una è quasi accucciata, tipo certe forme di Silat o di Kung Fu stile del Serpente. L’altra è verticale e frontale, coi piedi paralleli e le braccia tenute alte. Boh…
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In ogni caso, anche se contraddistinto da una narrazione un po’ raffazzonata, il volumetto di Merendoni e Brunetti nel suo complesso mi pare meritevole di attenzione e più che degno di finire nella nostra personale libreria. Un grosso grazie a Diesel per averlo indicato.