L'intento, senza soffermarci su alcuno stile particolare, è quello mostrare la ricchezza formativa di un aspetto del combattimento in cui il colpire non è ammesso, universalmente praticato in tutte le culture. Si gioca per il piacere di farlo, perché è un'attività naturale dell'uomo, perché è divertente. In definitiva: si gioca perché si gioca. Eppure il gioco se nasce come attività gratuita e disordinata, ovvero non sottoposta a regole precise, non rimane tale per sempre. La lotta, di cui abbiamo iniziato a tracciare un excursus ideale, prima o poi smette di essere l'attività fanciullesca del "facciamo la lotta?" per diventare qualcosa di diverso, qualcosa che si può cominciare a chiamare sport. Questo passaggio, questa evoluzione dalla lotta-gioco per bambini alla lotta-gioco per adulti, richiede qualche chiarimento in più.
Dal disordine all'ordine - Qualsiasi bambino sa bene che girare su se stessi per provare una sensazione di vertigine è giocare. Allo stesso modo lo è correre, far volare un aquilone. Sono tutti giochi, nella loro forma più libera, assolutamente destrutturata dalla mancanza di regole. Queste ultime arrivano più avanti dando luogo a giochi strutturati (gioco dei mimi, guardia e ladri, nascondino) in cui l'atto giocoso è indirizzato e sostenuto da dei precetti condivisi. Non siamo ancora allo sport vero e proprio e le regole sono soggette alla situazione e al gruppo che le condivide. Chi ha giocato a calcio nella piazza sotto casa, come in qualche parco, ricorderà bene ad esempio come venisse segnato il goal a seconda che la palla passasse più o meno tra i pali immaginari segnati a terra con due sassi e che la traversa fosse alta quanto il portiere riusciva a saltare a braccia distese. Non siamo ancora allo sport ma ci siamo vicini. Il passaggio successivo consiste nella codificazione di regole maggiormente strutturate, interpretabili forse, ma indiscutibili. Regole che, se prima accompagnavano il gioco, ora sono poste sopra di esso a fare da collante a quelle che sono le sue caratteristiche principali.
Così il gioco diventa sport - La struttura del gioco regolato e dello sport. Che cosa caratterizza un gioco sportivo? Quali sono gli elementi portanti, i mattoni fondamentali, gli ingredienti che differenziano un gioco dall'altro? Il ricercatore Roger Callois nel saggio "I Giochi e gli uomini" diventato punto di riferimento per pedagogisti e filosofi, traccia una classificazione davvero interessante di quelli che possono considerarsi i quattro elementi fondamentali del gioco. Secondo Callois i fondamenti dell'attività ludica si fondano su quattro spinte fondamentali:
Competizione - La volontà di primeggiare rispetto agli altri.
Vertigine - Il piacere di portare al limite i propri sensi.
Caso - Il brivido dell'imprevisto e il ruolo del fato.
Simulacro - Il vestire panni diversi da quelli quotidiani.
Ognuna di queste spinte caratterizza in modo più o meno predominante ogni gioco - Gli sport in genere sono caratterizzati dalla "Competizione"; le attività a stretto contatto con il le sensazioni di pericolo come il paracadutismo o l'arrampicata libera sono caratterizzate dalla sensazione di "Vertigine"; le lotterie, il poker o qualsiasi altro gioco in cui il fato giochi la propria parte si accorpano all'aspetto del "Caso"; tutte le attività che implicano una recitazione o comunque l'assunzione di un ruolo differente da quello normalmente rivestito come il recitare, ad esempio, sottostanno alla categoria della "Simulacro". Naturalmente nella maggior parte dei giochi convivono diversi aspetti. Se nel gioco del calcio Competizione e Caso convivono egregiamente, allo stesso modo si può dire che chi veste i panni del Torero per affrontare il toro nell'arena ben coniuga l'aspetto del Simulacro (vestire panni diversi) con quelli della Vertigine (affrontare il toro).
La lotta, da questo punto di vista, non fa eccezione - Forse come pochi altri sport di combattimento può offrire un ventaglio completo delle quattro categorie fondamentali di gioco. Lotta gioco perfetto? Lottare vuol dire competere ma in spirito di amicizia, lasciando il proprio ego fuori dal tatami. Lottare senza competere è come andare in bicicletta senza pedalare, manca della sua propulsione naturale. Lottare vuol dire portare il proprio corpo al limite... e ogni volta provare a superarlo ma non in termini di forza e velocità bensì nella capacità di cedere al momento giusto e controllare alla perfezione il proprio corpo.
Competizione e vertigine sicuramente ben rispecchiano il confronto della lotta - Ma a voler andar oltre, se si esamina la lotta come forma di competizione sportiva e il lottatore come atleta agonista, Competizione e Vertigine non bastano più a descrivere la totalità dell'esperienza. Il lottatore in gara diventa qualcuno disposto a sfidare anche la sorte (fortuna, giudizio arbitrale) e a vestire panni differenti da quelli indossati in palestra (volontà di vittoria, "cattiveria agonistica"). Competizione, Vertigine, Caso e Simulacro convivono così assieme in chi vive lo sport della lotta in chiave agonistica.
Il fine della lotta - Così la seconda parte del nostro viaggio per una storia ideale della lotta ci ha portato da una partenza naturale in cui "il bambino lotta per giocare", ad una presa di coscienza del gioco in cui l'adulto lotta "per primeggiare, oltrepassare i propri limiti, sfidare i fato e vivere una sorta di vita parallela". Una seconda tappa che rappresenta un nuovo inizio.
La maturità - L'adulto in età matura che lotta per tutte le cose che abbiamo detto precedentemente ma fa anche qualcosa in più: insegna il gioco.
Nel prossimo articolo esamineremo in dettaglio gli aspetti educativi della lotta.