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Autore Discussione: Aikido competitivo in Italia. Si può fare?  (Letto 3593 volte)
Marco-san
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Re: Aikido competitivo in Italia. Si può fare?
« Risposta #30 inserita:: Giugno 28, 2014, 02:40:29 »

copio-incollo un lungo e palloso commento che ho postato altrove Smiley



La scorsa settimana ho avuto l'occasione di praticare una lezione di shodokan aikido (tomiki aikido) presso il dojo di ginevra, con il sensei Pietro Bonadei, V dan shodokan e rappresentante dello stile in Svizzera. Era un pò di tempo che volevo farlo, e devo dire che ne sono rimasto più che soddisfatto: mi si è aperto un mondo che non pensavo possibile nel campo dell'aikido.
Il fatto che nello stile siano previste forme di competizione, mi è stato ripetuto più volte, è motivato da fini di tipo pedagogico. Al pari del judo delle origini, il confronto non è mai fine a se stesso, ma viene visto come momento di verifica delle abilità apprese, in un contesto altamente regolamentato per salvaguardare l'incolumità dei praticanti. Inoltre...è divertentissimo! L'esecuzione dei kata e il randori sono 2 parti di uno stesso insieme e devono essere studiati in contemporanea. Alcune scuole, mi diceva il maestro, hanno cominciato ad abbandonare i kata per dedicarsi solamente alle gare, ma questo è sbagliato e contrario ai principi dello stile.


Il sensei si è dimostrato molto disponibile a far conoscere il proprio stile anche in Italia, dove peraltro si reca spesso.


Di seguito  vi espongo alcune osservazioni a caldo, fermo restando che ho praticato solamente 2 ore (ma ho letto di tutto e di più a riguardo!)

In questo documentario storico vengono illustrate le 3 forme di randori con il tanto. Al min. 11:30 comincia l'ultimo livello, quello realmente non collaborativo. Notare l'abilità con cui vengono messi a segno alcuni ippon, soprattutto la capacità di uke di "capire" in una frazione di secondo quando è il momento di fare nage per assorbire la tecnica.
http://www.youtube.com/watch?v=5t1wrXha2TA



Toshu Randori. In questa forma di competizione a mani nude entrambi i contendenti provano a sbilanciarsi a suon di aikido, in un contesto molto regolamentato per salvaguardare la sicurezza. Non si possono ad esempio tirare atemi, ad eccezione dell'entrata sumiotoshi che però, per essere valida deve essere portata  appoggiando prima la mano al mento avversario e poi spingendo, non come colpo (sempre ovviamente per ragioni di sicurezza). Inoltre è vietato afferrare il keikogi avversario, per evitare di cadere nelle dinamiche del judo che snaturerebbero la pratica. Notare l'abilità con cui, al min. 0:39, viene contrastato il tentativo di kokyunage, con un impeccabile sfruttamento dell'energia dell'avversario.
http://www.youtube.com/watch?v=WoQQlOEnSFI



Esistono 17 kata di base (randori no kata) che rappresentano le tecniche ammesse nel randori, anche se per ognuna sono presenti diverse varianti.
https://www.youtube.com/watch?v=ra6m6WxAOZA

mentre noi tutti, che non abbiamo un vero e proprio randori, esigiamo che le tecniche dei nostri kata siano eseguite con il corretto awase, in maniera più o meno fluida, a loro questo non importa: nello shodokan si fa una separazione rigida tra kata (fatto di tecniche stilizzate) ed applicazione (i diversi livelli di randori). Il risultato è che i loro kata vengono eseguiti in maniera davvero rigida, stile robot, che può fare storcere il naso a molti. Questi però acquistano estrema fluidità e dinamicità una volta trasferiti nel randori.

Una cosa che mi ha colpito dei loro kata, è il fatto che c'è una diversa concezione dei termini "tecnica di base" e "applicazione". Ad esempio, una loro tecnica base (min. 0:20) consiste nell'iniziare l'esecuzione di ikkyo e, appena uke si tira indietro per contrastare la tecnica, sfruttare la sua energia per entrare con sumiotoshi. Invece l'esecuzione completa di ikkyo, che siamo soliti considerare una tecnica di base, viene da loro considerata una "applicazione". Questo riflette una loro filosofia di fondo, che a pensarci bene  non è affatto sbagliata: tutto cambia in base alle situazioni, e di fronte ad una presa ikkyo è più verosimile che un avversario tenti di ritrarre il braccio per non farsi buttare a terra invece che assecondare il movimento.



Il resto del repertorio aikidoistico, ovvero le tecniche più pericolose che non possono essere eseguite in un contesto competitivo, che richiedono l'utilizzo di atemi, bokken e jo, sono raccolte in un insieme di 50 kata chiamato Goshin No Kata, dove è fortissima l'influenza del Daito Ryu. https://www.youtube.com/watch?v=KFAFG8azMaI




Ho trovato poi curioso il fatto che nelle prese kosadori e katatedori si ruoti il polso un istante prima che uke lo afferri, per poi ruotarlo nuovamente nella direzione opposta e trovarsi in una situazione di vantaggio.
http://www.youtube.com/watch?v=Bv0MDKQX0JY



Questo è il sensei Tetsuro Nariyama, attuale rappresentante dello stile. Nariyama ha studiato a lungo, oltre che con Tomiki, con Hirokazu Kobayashi, che è tutt'ora un punto di riferimento per i praticanti di Shodokan.

http://www.youtube.com/watch?v=MWGOi63M81w




per concludere, esistono una serie di kaeshi waza per il tanto (che è colui che appunto impugna il tanto in competizione)

http://www.youtube.com/watch?v=nqvAJLvrG5A
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Landarr
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Re: Aikido competitivo in Italia. Si può fare?
« Risposta #31 inserita:: Luglio 22, 2014, 10:15:35 »

Quello qui sopra è un grande post.

Ho apprezzato moltissimo i video e il ragionamento cui vengono riferiti.

Voglio ancora sapere quando e come, voglio ancora fare.

Ciao, Marco-san. ^_^
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ZanShin S
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Re: Aikido competitivo in Italia. Si può fare?
« Risposta #32 inserita:: Luglio 23, 2014, 23:50:49 »

Credevo che nel judo gli atemi ci fossero, anche quelli di piede...

In teoria sì, ma in pratica _ visto che nelle gare NON sono consentiti _ sono ridotti a un "taiso" (esercizio ginnico) che quasi nessuno fa nemmeno più. In ogni caso, voler afferrare i pugni al volo e girare i polsi di un aggressore "a rubinetto" ... a quanto pare è "onirismo marziale".
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Genin
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Re: Aikido competitivo in Italia. Si può fare?
« Risposta #33 inserita:: Agosto 03, 2014, 12:54:32 »

Non ho letto l'intera discussione e me ne scuso, ma il mio pensiero è che praticare un'arte marziale senza testare l'effettiva riuscita delle tecniche contro un avversario non-collaborativo perde di qualsiasi significato.

Badate bene che non parlo di difesa personale o di agonismo. Semplicemente quel "qualcosa di buono" che ci viene trasmesso al di la del combattimento e che ci fa sentire bene ed amare la pratica a mio parere viene proprio dal fatto di "riuscire" in qualcosa, nel senso di "progresso e miglioramento" che avviene in noi stessi. La sincerità nella pratica. Viceversa si ottengono insicurezza e confusione... il "lato oscuro" delle arti maziali a mio parere.
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