Scherma e psicologia (il ruolo del maestro).

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Scherma e psicologia (il ruolo del maestro).
« on: March 09, 2011, 21:58:53 pm »
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Scherma e psicologia: l’esperienza di un Maestro

Buongiorno a tutti i presenti e, prima di tutto, i miei ringraziamenti per avermi voluto oggi qui tra di voi: Autorità accademiche, Federazione Italiana Scherma, studenti. Ne sono lieto e mi sento onorato per questo invito. E mi sento anche piuttosto emozionato: non avevo mai parlato, prima, a tante persone insieme, e così qualificate.

Sono qui come maestro di scherma, e come presidente dell’Associazione che li riunisce, in quanto organismo tecnico della Fis. Il compito dell’Associazione è principalmente quello della formazione dei nuovi tecnici, e del loro aggiornamento.
Atleti, dirigenti e tecnici sono le figure fondamentali del nostro e di altri sport. Quando si gioca a chi è più importante, ognuno mette in rilievo i meriti della sua categoria. Nel nostro mondo, queste categorie non sono più così nette, per l’esperienza che ognuno ha compiuto o, in qualche caso, continua a compiere nei settori altrui. Ma tutte sono necessarie, in modo diverso.
Senza maestro, non c’è trasmissione del sapere schermistico. Ma c’è una netta distinzione da fare fra l’atleta e il maestro di scherma. Si può essere stati grandissimi atleti, senza avere, per questo, la capacità di essere bravi maestri. E ci sono dei bravissimi maestri, che hanno prodotto grandissimi campioni, che non sono stati atleti, o sono stati atleti mediocri. Evidentemente, le due cose non coincidono. La capacità pratica non va di pari passo con la competenza tecnica e la capacità pedagogica.

Anche formare i tecnici è un compito difficile, e non solo per i problemi di natura economica, che sempre si accompagnano alla formazione: ne avrete certo di consistenti anche voi e non faccio fatica ad immaginarlo. Il compito è difficile perché anche la scherma, come il resto della società umana, è in rapido movimento. Quello che ieri andava bene, oggi è insufficiente: bisogna capire perché, e porvi rimedio. In fretta, perché il mondo corre sempre più velocemente. E ancor più corre in settori, come lo sport agonistico, di cui la competizione è in qualche modo la “ragione sociale”. La scherma italiana è la prima del mondo, lo dico con orgoglio: ma la concorrenza è forte, e non possiamo stare seduti a goderci il primato, perché gli altri vogliono togliercelo. Pensate a quello che sta facendo la Cina, per prepararsi alle prossime Olimpiadi di Pechino.

La tecnica - mi piacerebbe parlarvene più a lungo, ma oggi non è possibile - ha subito cambiamenti notevoli da quando la scherma era finalizzata al duello. Immaginate la scena: un avversario davanti a voi, a petto scoperto; la punta della sua spada rivolta ai vostri occhi, e che fra qualche istante potrebbe penetrare nella vostra carne; il chirurgo che sterilizza i ferri, e si tiene pronto ad intervenire... Si poteva morire, e l’imperativo categorico era “toccare senza essere toccati”. Oggi, svanita la paura primaria, quella della morte, con gli assalti a quindici stoccate (chi ne mette una di più), la libertà di sperimentare ha portato a scoprire o adottare tecniche prima ignorate, perché pericolose. Interpretazioni arbitrali ed esigenze mediatiche ci spingono ancora più lontano dallo spirito originario. Ma...

Ma la scherma di oggi è tuttavia figlia di quella di ieri. Sotto il fitto tessuto di azioni tecniche, botte dritte, cavazioni, battute, parate, controtempi, seconde intenzioni, finte in tempo, arresti in controtempo... restano, limpidi e netti, i principi di sempre. Velocità, scelta di tempo, senso della misura. Hanno acquisito importanza crescente le doti fisiche, soprattutto ai fini della resistenza alle condizioni di gara. Ed abbiamo riscoperto l’importanza dei fattori psicologici e morali. Per la verità, l’abbiamo sempre saputo, come testimoniano i trattati nel corso dei secoli. Solo che oggi abbiamo strumenti migliori per comprendere come intervenire in questa sfera così importante e delicata.

Per inciso, dato che abbiamo sfiorato l’argomento, mi piacerebbe anche potervi parlare dei trattati, numerosissimi, che accompagnano la storia di questa disciplina. Di scherma si sono occupati anche filosofi e scienziati, oltre che uomini d’armi. Ed hanno lasciato una mole di scritti di gran lunga superiore, io credo, a quella relativa a qualunque altro sport.

Il Maestro, dunque, per far bene il suo lavoro, e non farsi superare dalla concorrenza, è costretto ad occuparsi anche di preparazione fisica, di tattica e, infine, o in primis,  anche di psicologia. Non è un professionista, ma un educatore, e di psicologia deve occuparsi, per necessità. E deve farlo con efficacia. Ma non è un compito sgradevole, anzi. Insegnare, io credo, è il miglior modo per imparare: un piacere che forse non avvertivo come tale, quando andavo a scuola, ma che in seguito ho imparato ad apprezzare, e continuo a coltivare.

Quando si allena un atleta, per migliorarne il rendimento, si curano molti aspetti della sua preparazione, e si passa frequentemente dall’uno all’altro. Si parte da una buona base fisica, che è forse la più facile da migliorare; si procede con le abilità tecniche; con quelle strategico-tattiche e, infine, con quelle psicologiche. Quando si continua a lavorare in una direzione, e il rendimento non migliora, si può star certi che stiamo trascurando qualcuna delle altre. Fra tutte (ripeto, tutte necessarie), quella con un miglior rapporto fra il tempo investito e il risultato ottenuto è senza dubbio, a mio parere, la dimensione psicologica. Non per niente, lo sapete, nella scherma non esistono modelli fisici di prestazione. A noi della scherma piace pensare che questo fatto si possa spiegare solo con la grande importanza dei fattori strategico-tattici, e ancor più di quelli psicologici. La forza intelligente, insomma, come diceva un fortunato slogan di qualche tempo addietro.

Chi prova, anche per gioco e con gli attrezzi di plastica, a cimentarsi in un breve assalto, si rende conto subito del fatto che la scherma non si può fare senza una buona preparazione fisica. Ma se è portato a ritenere che in quella consista la principale differenza fra il campione e chi non lo è, non riuscirà mai a spiegarsi come si possa vincere un assalto o la medaglia d’oro alle Olimpiadi o ai mondiali con un tendine spezzato, o un’articolazione in disordine, o dopo una recente maternità: i riferimenti a Diana Bianchedi, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali non sono casuali.

Cuore e mente, insomma, o motivazione e intelligenza, fanno la differenza. Il Maestro, quindi, deve interessarsi di psicologia: che si tratti di psicologia spicciola, per sostenere o stimolare l’atleta, o psicologia cognitiva, per meglio comprendere la tattica e, attraverso questa, il modo di funzionare della mente. Partiamo dalla prima.

Fare il Maestro di scherma in una palestra significa avere a che fare, generalmente, con bambini di tutte le età, a volte ben oltre i sessant’anni. Ricordo ancora il nonno, ora scomparso, di una bambina che ne segue le orme schermistiche: aveva ripreso a tirare, ed aveva sessantuno anni. Volle partecipare ad una gara nazionale di qualificazione, insieme a vari altri ragazzi, e si classificò meglio di loro (certo, non per la sua prestanza fisica...): ma mi reclamava a fondo pedana, per stare più tranquillo. Non si sa mai, un suggerimento in un momento decisivo....
Non sono pochi i ragazzi e le ragazze che, in un momento di distrazione, mi hanno chiamato papà. Qualcuno, anche mamma: non so se devo incominciare a preoccuparmi. In ogni caso, i legami che si creano fra il Maestro e i suoi allievi sono a volte molto forti, e spesso durano per tutta la vita: in fondo, condividono emozioni intense, lavorano insieme per un lungo periodo, affrontano insieme mille problemi, e non solo quelli schermistici. La scuola, il fidanzato o la fidanzata, i rapporti con gli amici, i compagni, i genitori: tutto conta per l’equilibrio dell’atleta, e quindi per il suo rendimento. E di tutto, se lo vuole, possiamo interessarci, in un modo o nell’altro. Questo può creare problemi di particolare delicatezza, e non sempre superabili, nei rapporti con i genitori. Il Maestro diventa, perciò, anche un confidente, e si assume con questo una grande responsabilità.
Ma è nel campo degli interventi rapidi, quelli che servono in palestra e in gara, quando non c’è tempo, che qualche conoscenza in più, e qualche trucchetto, possono fare miracoli. Forse è il caso di ricordare che la psicologia dello sport non si pone il problema di “guarire” il paziente da qualche male, bensì di aiutare i pazienti sani (gli sportivi, che dovrebbero essere i sani per eccellenza) a raggiungere il massimo rendimento. E questo richiede un addestramento che può essere anche lungo, ma non mancano indicazioni preziose anche per i non specialisti.
Per esempio, può capitare di avere un atleta che, subito prima della gara, mi confessa di aver paura. Che gli dico? Di non averne? E a che servirebbe? Funziona molto meglio, prendendo a prestito dalla PNL (programmazione neurolinguistica), una tecnica di ristrutturazione: “Bene, sono contento di sentirtelo dire, mi sarei preoccupato in caso contrario. Vuol dire che il tuo corpo si sta preparando al meglio al combattimento. Vedi, la paura ce l’abbiamo tutti, ed è nostra amica, perché è in grado di attivarci: si tratta solo di gestirla, impedendole di andare oltre un certo limite. Prova a star dritto (la postura è importante), rilassare le spalle, e respirare per un po’ col diaframma. Va benissimo così.”
E in questo modo, miglioriamo l’autocontrollo: che in fondo, come scrive Stiven Pinker in un suo bellissimo libro (Come funziona la mente) “...è indubitabilmente una battaglia tattica fra parti della mente.” E la tattica è scherma.
Un altro esempio interessante è legato alla comunicazione. Non solo lo schermitore deve saper gestire con precisione le sue comunicazioni all’avversario, con lo specifico linguaggio della scherma, ma deve anche imparare a comunicare nel modo migliore con tutto il suo entourage: lui col Maestro, per intenderci, e il Maestro con lui. Le richieste, vanno sempre presentate in forma positiva, soprattutto quando il tempo scarseggia. Provate a non pensare ad un cammello: a cosa avete pensato? E cosa credete che farà l’atleta se, in quel breve attimo in cui può distrarre gli occhi dal suo avversario, per lanciarvi il suo disperato SOS, gli direte, sottolineando con il gesto: “Non parare quarta!”. Parerà quarta, sicuro!
La comunicazione più importante, però, è quella interna. L’atleta, la maggior parte degli atleti, come la maggior parte di noi, parla continuamente con se stesso, compiendo lo stesso tipo di errori. “Non devo perdere!” Col risultato che sullo schermo della mente si forma, con grande probabilità, l’immagine della sconfitta.
Si aggiungono, poi, le cattive abitudini, come le profezie che si autodeterminano: “Tanto lo so che con quello ci perdo! La pedana numero 13 mi porta sfortuna! Mi si è spezzata la spada con cui ho vinto tanti assalti! Quando arrivo a 14 pari, perdo sempre!” Difficile vincere, con questi fardelli, che si sommano a quelli, talvolta più pesanti, delle aspettative di genitori e Maestri.
Bisogna saper lavorare, quindi, sulle cattive abitudini, motivando l’atleta a progredire: nella qualità della prestazione, piuttosto che nel risultato.
Il metodo più tradizionale, e certamente efficace, è quello del bastone e della carota. Ma è un metodo molto duttile ed elastico, e si presta a differenti interpretazioni. La carota, non deve essere usata per colpire sulla testa. Voglio dire che le lodi hanno grande importanza, e non devono essere sottovalutate. E’ esperienza di tutti i giorni constatare il potere motivante di un complimento, se si riesce ad individuare, fra le tante cose fatte maluccio, una che è fatta un po’ meglio.

La scherma offre uno straordinario campo d’indagine per comprendere meccanismi mentali che sono alla base di tutti gli sport di opposizione: solo che nella scherma, a me pare, si vedono meglio. Affrontando dal punto di vista cognitivo i problemi della scherma, si scoprono tante cose molto interessanti.
La scherma, in quanto sport di opposizione, è classificata tra le discipline ad open skill. Ma, a differenza di altre, il feedback ci viene principalmente dall’avversario, che fa il contrario di quel che vorremmo fargli fare. L’essenza della tattica, che è un sottoprogramma della strategia, consiste proprio nel convincerlo a collaborare, per la sua sconfitta e il nostro successo. Per riuscirci, dobbiamo imbrogliarlo ben bene. E non mi sento certo in colpa se insegno ai miei allievi come mentire con successo, e come non cascare nei tranelli dell’altro: perché questo si fa con le finte. Ma nessuno ci può rimproverare se l’intenzione di ingannare è dichiarata, e fa parte delle regole ammesse e condivise.
Tempo, velocità e misura sono, da sempre, i tre pilastri della scherma, supportati dalla tecnica: il modo, come diceva Marcelli.
Qualcuno potrebbe pensare che la velocità è la più importante, mentre è vero l’esatto contrario. Il tempo e la misura, legati a filo doppio, sono invece i fattori essenziali. Il tempo, nel senso che l’assalto si consuma in tempi brevi; perché si conduce in condizioni di pressione temporale elevatissima; perché bisogna agire con precisione in finestre temporali inferiori, per dimensioni, a quella del tempo di reazione semplice: si pensi al colpo doppio di spada, pratica ordinaria, ma possibile solo nell’ambito del ventesimo di secondo, un tempo quattro volte più breve del tempo di reazione semplice.
Tentare di comprendere come questo sia possibile ci porta a indagare sulle cause dell’errore, e sul processo decisionale. Lo schermitore accetta di prendere decisioni rapide e pericolose sulla base di un modello della realtà costruito su pochissimi indizi, tra cui quelli falsi, forniti ad arte dall’avversario. Scommette sulle sue intuizioni, e rischia. Si fida, e lascia il comando alla parte destra del cervello, intuitiva e immediata, togliendolo a quella sinistra, analitica ma lenta, pronto a invertire il processo quando la distanza si fa più lunga.
Il processo essenziale non è accumulare informazioni, ma selezionare le pochissime significative, individuando, fra queste, quelle vere.
L’attenzione è portata al massimo: e poiché al massimo non può restare a lungo, si individuano o si provocano le pause, per approfittarne. Scegliere il tempo dell’azione ci porta, talvolta, a saper individuare il momento esatto di un cambio di programma, quando le nuove difese ancora non si sono attivate: una piccola frazione di secondo.
Il ritmo dell’azione è fondamentale: come il ballerino, lo schermitore deve ricercare il sincronismo, la sintonia; ma, a differenza di quello, per riuscire a colpire, deve romperlo, e saper intervenire in un punto preciso della sequenza spazio-temporale.
Grande importanza ha poi la comprensione dei meccanismi visivi, per comprendere dove come, cosa e quando guardare. Il fattore misura, per molti il più importante, dipende da una capacità di visione e di previsione. Gli autori dei trattati di scherma hanno suggerito cosa guardare, ma purtroppo senza cognizione di causa. Noi dobbiamo, e possiamo, distinguere tra visione foveale e periferica, e insegnare agli allievi a colpire in un punto guardando un altro punto, per non perdere il controllo della situazione neppure per un istante.

Arte e scienza, dicevano della scherma gli antichi maestri. Alla scienza ci rivolgiamo per ottenere risposte per cui l’abilità e l’intuito non bastano più. Da pochissimo la Fis ha iniziato una collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, nell’ambito del più vasto progetto Schermalab, per indagare a fondo gli aspetti neurofisiologici della prestazione schermistica. Siamo appena agli inizi, qualcosa già si vede, e ci attendiamo grandi risultati.

Prima di lasciarvi, vorrei accennarvi a mie esperienze recenti nel campo dell’outdoor training: come oggi si chiamano certi corsi in cui si propongono alle aziende, ed ai loro quadri dirigenti, le tecniche e le filosofie di allenamento di varie discipline sportive. Sono rimasto davvero sorpreso del grande successo ottenuto dalla scherma. I dirigenti aziendali riconoscono che questo sport offre qualcosa di diverso e significativo: i parallelismi con la competizione aziendale e il gioco di squadra, le decisioni in tempi rapidi, il sapersi mettere in gioco, inducono a stimolanti e utili riflessioni. Senza contare che la scherma, se praticata, diverte!
La scherma attrae, quindi, perché ha molto da offrire. La scherma è però molto poco diffusa e conosciuta, malgrado i suoi grandi successi. Come dicono gli esperti di marketing, ha grande immagine, ma è ancora poco e male sfruttata: c’è quindi grande spazio per chi vuole lanciarsi e provare, ed ha capacità di scommettere su se stesso.

In conclusione, mi auguro di essere riuscito a trasmettervi almeno un po’ della curiosità e della passione che la scherma ha fatto nascere in me, e continua ad alimentare, anche dopo tanti anni.
Spero che le iscrizioni al Master siano numerose, per la riuscita di questo esperimento, che è il primo in Italia, di un livello tecnico elevato da acquisire con un corso universitario.
Credo che la scherma, e perché no, anche un pochino l’Università abbiano tutto da guadagnare da questo incontro: il mondo della cultura ha finalmente scoperto che anche lo sport è cultura. E, fra gli sport, io credo, la scherma merita un posto davvero speciale.
Grazie della vostra attenzione.

Giancarlo Toràn
In generale reputo che la scherma debba ridurre le azioni ai minimi termini per essere bella.

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Offline carlo

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Re:Scherma e psicologia (il ruolo del maestro).
« Reply #1 on: August 11, 2011, 17:39:16 pm »
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ottimo!
Uppiamo vah
Il fatto che il traguardo sia lontano, è un motivo in più per camminare con impegno

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Offline Crux

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Re:Scherma e psicologia (il ruolo del maestro).
« Reply #2 on: August 12, 2011, 06:59:31 am »
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E' un vecchio articolo, l'ho postato perche' lo ritengo interessante, ora la Trillini e la Bianchedi non fanno piu' parte della Nazionale ed il M° Toran non e' piu' a capo della AMS, pero' quando riprendera' l'attivita' in Sala vorrei chiedergli che fine anno fatto gli studi neurofisiologici di schermalab  :thsit:
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Offline Takuanzen

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Re:Scherma e psicologia (il ruolo del maestro).
« Reply #3 on: August 12, 2011, 09:43:30 am »
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Molto interessante. Lo leggo con piacere. Grazie Crux. :-*

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Offline Crux

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Re:Scherma e psicologia (il ruolo del maestro).
« Reply #4 on: August 12, 2011, 14:58:01 pm »
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Me ne compiaccio Takuan  ;)
In generale reputo che la scherma debba ridurre le azioni ai minimi termini per essere bella.

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