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Le tre categorie del kata
Uno dei problemi relativi alla pratica del kata ha origine nell’ambiguità stessa del loro significato. Per approfondire il lavoro sui kata sarà bene distinguere le tre categorie di kata, che generalmente sono tra loro confuse: rintô-gata (kata da combattimento), hyôen-gata (kata di presentazione) e rentan-gata (kata energetico o di rafforzamento fisico). I rintô-gata sono i kata originali. Un tempo essi costituivano il contenuto stesso dell’insegnamento nella trasmissione esoterica. Le altre due categorie di kata sono state elaborate per facilitare l’accesso ai kata originali, cioè per conseguire le qualità necessarie all’esecuzione dei rintô-gata. Quasi tutti i kata che conosciamo oggi fanno parte di queste due categorie mentre i rintô-gata, essendo parte degli antichi metodi esoterici di trasmissione della conoscenza, sono stati praticamente dimenticati.
Può darsi che voi possiate affermare di conoscere dei kata i cui bunkaï (applicazioni) sono chiari, ma non è questa la qualità che definisce il rintô-gata.
Mi spiegherò in modo più concreto.
Il kata Sanchin, per esempio, è un tipico rentan-gata. Come i kata Naïfanchi (Tekki) o Sêsan (Hangetsu). Ciononostante la maggioranza dei kata possiedono, in proporzioni variabili, elementi di hyôen-gata e rentan-gata.
In questa classificazione i rentan-gata, che sono dei kata energetici nel senso più ampio del termine, contengono certe serie di esercizi formalizzati di qi gong. Le tecniche di combattimento sono caratterizzate da una mobilità complessa; gli hyôen-gata presentano in maniera semplificata, e pertanto parziale, i movimenti accentuando le posizioni tipiche per renderle più accessibili e conferendo loro, talvolta, un aspetto cerimoniale. Questo aspetto è accentuato nei kata che si eseguono per dimostrazione; si tratta dei kata che frequentemente vediamo nelle competizioni sportive di karaté.
Nei kata moderni le tre categorie sono più o meno mischiate, e non si trovano elementi dei rintô-gata se non sullo sfondo dei kata stessi. Spesso si dice che " si fa o non si fa il bunkaï " di un kata. Ma la maggioranza dei bunkaï sono delle serie di tecniche ben coordinate in relazione all’esercizio. Le forme più reali delle tecniche di combattimento non sono esposte che nei rintô-gata (kata da combattimento) che sono molto più morbide e dinamiche che i kata delle altre categorie, poiché essi si fondano sulla forma di un combattimento reale.
Pur girando e rigirando la maggioranza dei gesti dei rentan-gata e dei hyôen-gata, è difficile far emergere una tecnica veramente soddisfacente dal punto di vista della cadenza, della velocità e della posizione del corpo in combattimento. Sottolineo " una tecnica soddisfacente " perché se il nostro compagno è d’accordo possiamo giustificare qualunque tecnica. È sufficiente osservare la quantità di tecniche aberranti che originano dai kata come applicazioni o bunkaï . Il bunkaï non è altro che un esercizio intermedio per la realtà del combattimento. Chi conosce bene i bunkaï non è automaticamente in grado di combattere in modo efficace. Basta guardare attentamente come si praticano generalmente i kata.
Per esempio, il bunkaï del kata Sêpai è molto chiaro e ciascun gesto può costituire un riferimento tecnico interessante, ma voi sapete bene che voi non fate mai un combattimento che sia conforme a un kata. Si tratta di sequenze gestuali interessanti per esercitarsi, ma non di un rintô-gata. Quest’ultimo è infatti un reale riferimento per il combattimento, dove ogni tecnica prevede la possibilità di cambiamenti in relazione con le reali reazioni dell’avversario. Penso che gli esempi seguenti ci aiuteranno a capire meglio la natura dei rintô-gata e come essi manchino al karaté di oggi.
Il rintô-gata : kata originale
Negli anni del dopoguerra, il defunto maestro Yasuji Kuroda, della scuola Kaïshin-ryû, ebbe un giorno l'occasione di combattere contro quattro yakuza armati di corte spade. Era una vera aggressione ed il Maestro Y. Kuroda affrontò e respinse i banditi utilizzando come arma un semplice ventaglio. Dopo questa esperienza disse:" Non c'è nessuna differenza tra il combattimento reale ed il kata che pratico quotidianamente. È questa la ragione per la quale questa esperienza non è stata né interessante né divertente." Il Maestro Kuroda parlando di kata, si riferiva in quel caso proprio al rintô -gata. Egli non intendeva parlare dell' applicazione di questa o quella tecnica contro un attacco definito, ma della azione spontanea che viene insegnata dal kata.
Conoscete questa dimensione del kata nel karaté? Personalmente non la conosco. Potreste dire:"Io, o piuttosto quel tal maestro, siamo in grado di combattere come un kata", ma credo che in questo caso staremmo parlando della stessa cosa.
Per renderci conto ancor meglio di ciò che è il combattimento, soprattutto quello con un coltello o una spada, mi servirò di un altro esempio.
Il Maestro K. Kurosaki è stato il primo karateka ad aver combattuto pubblicamente contro pugili praticanti la boxe tailandese ed ha contribuito alla creazione della kick-boxing. Sessantenne, il Maestro Kurosaki ha ancora oggi la reputazione di essere un combattente efficace e, senza dubbio, lo è avendo accettato di misurarsi in numerosi combattimenti senza regole. In una sua videocassetta intitolata "L'allenamento di un combattente demoniaco" egli commenta così un combattimento contro un avversario armato:
"Cosa bisogna fare se siete assalito da un avversario armato di coltello? La risposta è semplice: o avete un'arma più lunga della sua oppure è molto meglio fuggire. Chi pretende di dimostrare come si combatte a mani nude contro un avversario armato, è un illuso che crede di poter combattere come nei fumetti; probabilmente non si rende conto di quanto è pericolosa una lama di coltello. Un cieco non ha paura di un serpente. Questo è perlomeno ciò che ho imparato con l'esperienza.."
Questi due esempi sono una chiara dimostrazione della differenza di livello esistente tra i due maestri. Noi possiamo soltanto supporre a quale livello fosse l'arte del maestro Y. Kuroda e l'esistenza nella sua scuola dell'arte della spada di un supporto tecnico formalizzato in un kata. Alcuni kata richiedono un estremo rigore e vengono trasmessi secondo un metodo selettivo. Studiando l'arte della spada di questa scuola mi sono reso conto personalmente di questa dimensione del kata, ma non riesco a trovare nulla di simile nei kata del karaté moderno. Se questa mia osservazione è dovuta solo ad una mancanza di conoscenza, vuole dire che prima o poi potrò imparare. Ma non credo affatto a questa eventualità, perché il karaté si è sviluppato anteponendo proprio ai rintô-gata i più accessibili rentan-gata e hyôen-gata. Così I rintô-gata restano confusi sullo sfondo dei kata fin dall'inizio del ventesimo secolo. Se un tempo il karaté era una pratica estremamente selettiva mentre oggi è accessibile a tutti, non è semplicemente perché è stata aperta la porta d'accesso, ma piuttosto perché sono intervenute delle modifiche qualitativamente importanti del contenuto e dei metodi di trasmissione.
Penso che un karateka che cerchi il vero valore del karaté debba ampliare la visione della sua ricerca fino alla dimensione del rintô-gata: kata di estremo rigore, che comporta in se il metodo più completo del karaté. Daltronde è proprio a causa della difficoltà che questo rigore sottende che per permettere un'ampia diffusione del karaté sono stati creati i rentan-gata e i hyôen-gata.
Com'è possibile ritrovare i rintô-gata?
A mio parere esiste un solo modo per capire se un kata è un vero rintô-gata e come può essere ricostituito partendo dai kata modificati.
Prima di tutto è necessario studiare il maggior numero possibile di versioni di uno stesso kata. In questo modo è possibile fare dei dettagliati confronti sull'insieme delle strutture tecniche. Per esempio il kata Gojûshiho, attualmente insegnato negli stili Shôtôkan, Shitô-ryû e Shôrin-ryû, ha delle varianti in ciascuna scuola. Ho potuto censire una dozzina di Gojûshiho. È possibile contare il numero di sequenze tecniche che costituiscono il kata e per un confronto generale, isolare singole sequenze, la posizione degli avversari, la qualità dei loro attacchi, la loro strategia. Allo stesso modo possono essere isolate le vostre possibilità tecniche, la vostra strategia, l'attitudine del corpo e della mente, ecc.
Partendo da questi dati è possibile ricostruire la situazione ed effettuare un combattimento che si avvicini realmente a quella stessa situazione. È necessario individuare non solo le opportunità ma anche le difficoltà elaborando tecniche che permettano di superarle. Quando anche le difficoltà verranno superate in modo soddisfacente sarà possibile combattere nel modo più reale possibile. Successivamente sarà necessario trovare per ciascuna sequenza il modello tecnico che consenta di forgiare la qualità tecnica che deve essere impiegata in combattimento. Il metodo rigorosamente pragmatico qualifica il rintô-gata. Se un kata non propone una reale efficacia tecnica e non è in grado di formare la capacità di combattere, non può essere un rintô-gata. Altrimenti perché un adepto d'altri tempi, che non aveva certo tempo da perdere, avrebbe investito se stesso così profondamente in questo esercizio? E perché questi adepti dovevano dissimulare la loro arte di fronte ad altri?
Poiché esisteva una ricchezza reale ed un solo kata poteva bastare.
Con questa prospettiva conduco attualmente le mie ricerche sul rintô-gata.
Come possiamo accedere ai rintô-gata ?
Come esempio analizzerò la prima sequenza del kata Gojûshiho. L' obiettivo tecnico di questa sequenza consiste nell'avvicinarsi il più possibile all'avversario per portare un colpo di ura-uchi.
In questa sequenza devono essere soddisfatte due esigenze fondamentali:
1 - Avanzare rapidamente senza subire un attacco dell'avversario, in altre parole avanzare rapidamente, protetti, senza esporsi agli attacchi dell'avversario.
2- Colpire con ura-uchi, senza presentare dei vuoti, cioè senza essere vulnerabili.
La sequenza dei gesti del kata deve fornire uno strumento per soddisfare convenientemente queste condizioni tecniche. Per questa ragione deve contenere un riferimento gestuale tecnicamente efficace ed un modello di movimento attraverso il quale sviluppare le qualità necessarie alla realizzazione di queste tecniche. La gestualità deve essere contemporaneamente realistica ed istruttiva. Solo soddisfacendo queste condizioni è possibile interiorizzare realmente la tecnica ripetendo il kata. Utilizzando questo criterio come strumento di analisi e valutazione, se esaminate tutti i kata che avete conosciuto fino ad ora riconoscerete una serie di movimenti nefasti: la cadenza del combattimento lontana dalla realtà, la vulnerabilità del viso scoperto di fronte ad un eventuale attacco, la rigidità del corpo e delle tecniche in contrasto con la necessità di essere mobili.
La ripetizione di un kata con questi difetti non consente di costruire un "corpo del Bûdo", cioé un corpo in grado di produrre tecniche efficaci, grazie ad una regolazione energetica ottimale quale risultato dell'attivazione delle zone vitali del corpo.
Ho studiato una dozzina di varianti del kata Gojûshiho; globalmente la struttura è identica ma i dettagli tecnici sono diversi tra una versione e l'altra. Partendo da questo studio, completandolo con alcune testimonianze orali, ho potuto confrontare ed analizzare le diverse versioni del kata, identificando per ciascuna sequenza, l'obiettivo tecnico e le condizioni essenziali per raggiungerlo.
Le varianti di un kata sono l'espressione di interpretazioni tecniche diverse e di deformazioni, che nel corso del tempo, hanno più o meno modificato la forma ed il contenuto strategico del kata stesso. Il valore di un kata è significativamente diverso tra una variante all'altra.
Comunque, è possibile dire che la versione del kata Gojûshiho di una certa scuola è giusto se vi permette di sviluppare la capacità di avanzare velocemente verso l'avversario senza scoprirvi e di realizzare un'efficace tecnica di ura-uchi. In tutti gli altri casi è inutile perdere tempo nell'esercitarsi. Il kata è uno strumento pratico, il suo valore dipende dalla sua capacità di fornire una risposta per raggiungere l'obiettivo tecnico originale.
Quale che sia l'etichetta di autenticità di un kata, se non riuscite a trovare gli elementi che consentono di formare le qualità necessarie per raggiungere gli obiettivi originali, quel kata ha delle lacune.
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