Tornando a prima, se uno entra in palestra, è perché vuole difendersi, diversamente è un agonista oppure è un agonista/marzialista con poche idee ben confuse.
Le koryu risentono da un lato dell’influenza pro tempore dello Shogun, esercitata nell’intero periodo di pace chiamato Edo, dall’altra di un riferimento ad un contesto storico del tutto differente, dove si girava armati e si veniva da un’epoca nella quale si usavano le armature in guerra, i samurai potevano stare a distanza di sicurezza dagli aggressori (vedi ma - ai ecc.) ecc.
Quindi, le koryu sono A.M. perché non sono sport, ma con quei limiti di cui sopra. I caratteri distintivi di queste arti sono la tradizione, anche come strumento per una elevazione spirituale ed il clima del dojo, che crea una determinata disciplina, aspetti questi che dovrebbero distinguere anche il gendai budo (in sintesi: judo, karate e aikido), ma che si riscontrano raramente.
Abbiamo le A.M. cinesi, indiane, indonesiane e filippine che sono antiche, ma che contengono tecniche assolutamente marziali (cioè rivolte alla propria sopravvivenza senza riguardi per l’avversario), chiaramente controllate quando eseguite con il compagno, eseguite spesso ad un ritmo più o meno lento. Queste arti possono essere eseguite con qualunque vestiario anche se esistono vestiti tradizionali e conservano la loro efficacia anche nei contesti delle società civili (?) occidentali. La pecca di queste arti, a mio avviso, potrebbe essere, per qualcuno, proprio l’efficacia che si esplica con tecniche che non hanno riguardi per l’avversario (violente e devastanti).
Un capitolo a se merita il “taiji quan” che pur conservando i principi del combattimento si è allontanato dalle tecniche propriamente marziali, necessitando di un ulteriore sviluppo dato dal maestro di turno che insegni l’applicazione marziale dei movimenti che si studiano.
Da ultimo ci sono le A.M. moderne (non intendo la kick o le MMA sia chiaro) come Systema e Krav Maga che attingendo di più o di meno da A.M. orientali si presentano con un arsenale tecnico diretto tutto a difendersi e attaccare. Queste ultime hanno il pregio di essere quelle utilizzate da reparti speciali dell’esercito che quindi concepiscono le A.M. come strumento di lavoro.
Sono inoltre costruite per essere utilizzate ai giorni nostri e quando opportunamente adattate alle esigenze della popolazione civile, come nel caso di Systema sono costruite per delle difese rapportate anche ad extra esigenze rispetto a quelle di una A.M. classica che non ha alcun riguardo per l’aggressore. Nel caso di Systema si propone anche una filosofia di vita accanto all’arte marziale come compendio indispensabile alla medesima.
Quanto sopra non vuole entrare nel merito dell’efficacia delle tecniche di ogni arte, ma piuttosto di quel che si prefiggono e su cosa le costituisce.
Una caratteristica dell’A.M. moderna e del sud est asiatico (e di quelle che non tengono conto delle armature) è quella del colpire. Si colpisce con diverse modalità: ai punti vitali, affondando, strisciando (come un taglio). Anche le finalità possono essere molteplici: recare danni gravi, far cadere, far scoprire, sbilanciare ecc.
L’approccio principale è comunque il colpire, non il proiettare, spaccare o lussare (se non colpendo), strangolare o immobilizzare (si immobilizza quando l’arte marziale è a uso di determinate persone, addette a particolari attività).
Mi riesce difficile pensare che allenandosi contro coltellate e colpi di spada o altro (compresi pugni e calci) si possa concepire di arrivare a pieno contatto, quindi mi sembra normale che le A.M. si siano avvalse di movimenti abbastanza lenti, atti a preservare la salute e l’integrità per altri momenti e contesti. Inoltre, le A.M. antiche e moderne hanno avuto riscontri reali, mi è difficile pensare, per esempio, che un metodo usato nelle forze armate, per addestrare i militari sia una bufala.
Mi sembra poi un controsenso criticare l’efficacia, a prescindere, delle difese da persona armata, quando si è disarmati, in quanto pur essendo una opinione rispettabilissima ed anche condivisibile, non è però coerente con l’allenarsi in una A.M. che è proprio fatta per difendersi da persone armate e non. A quel punto mi sembra coerente dire che è inutile praticare una A.M. e che quando s’incontra uno armato di coltello ognuno può fare come meglio crede, perché tanto non cambia niente.
Le A.M. non sono fatte per aumentare le capacità di sopravvivenza di un praticante nell’arco di una vita, ma piuttosto per farlo diventare una persona vera in grado di fare delle scelte giuste, che possono comportare una diminuzione delle sue possibilità sul lungo periodo, di sopravvivere e di non subire danni in scontri, al di fuori della palestra.
Altro equivoco e l’associare la velocità di uno scontro reale con la velocità di un allenamento, oppure associare l’impatto reale con l’impatto sul corpo in palestra.
E’ evidente che il movimento migliore è la cosa che va cercata, quindi il problema è lo scegliere il metodo che con più probabilità insegna il movimento migliore in un dato contesto. Non si capisce come una protezione dell’attaccante o del difendente dovrebbe migliorare questo movimento, mentre diventa sicuramente un elemento in più, rispetto al contesto per il quale ci si allena.
In altre parole, marziale non significa “pieno contatto”, non lo ha mai significato e non lo significa nemmeno adesso, mentre invece “pieno contatto” significa “aumento degli infortuni”, mentre dal punto di vista della capacità non porta niente in più, anzi mischia un po’ le carte cioè introduce variabili che nello scontro reale non ci saranno.
L’aumentare della velocità implica la necessità di ridurre l’uso di determinate tecniche che, anche se portate con l’intento di fermarsi prima del bersaglio, aumenterebbe drasticamente il numero d’incidenti. Come esempio di quanto appena detto, abbiamo il karate, che usando la piena velocità nei Kumite ha dovuto rinunciare a numerosi tipi di percussioni. Nonostante ciò è comunque facile farsi del male praticandolo, tanto che sono state introdotte protezioni per le mani e i piedi che non fanno altro che incappare nei problemi di cui ho detto sopra in riferimento alle protezioni, mentre, come contro altare, hanno portato ad un minor controllo dei colpi.
L’arte marziale è tale anche perché bada alla salute del praticante, altrimenti non è più un’arte.
Se si pensa di praticare finché si campa o quasi è un dovere preoccuparsi di praticare qualcosa che non danneggi il corpo, ma che lo fortifichi. Questo non andrebbe mai dimenticato.
Ma se si crede in un'altra idea di arte, allora bisogna esplicitarlo, dire chiaramente che i danni ci saranno e che non ci si preoccupa di essi. Nel presentare l’arte, bisogna cioè elencare i pro e i contro e questo vale anche per gli sport da combattimento.