La spiritualità della scherma giapponese

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Offline sanchin

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La spiritualità della scherma giapponese
« on: July 31, 2012, 20:35:50 pm »
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Vorrei porre da Karateka un quesito a Voi maestri di Kendo - Iaido - Battodo circa la componente spirituale/filosofica presente nella scherma giapponese.

Come qualcuno ormai saprà sono un istruttore di Karate e come tante volte ci è stato detto, leggenda, verità o pura invenzione il Karate ha delle assonanze con il Kendo.
Vedete purtroppo nel nostro paese è raro trovare una buona scuola tradizionale di Karate e di conseguenza è difficile seguire e impartire un DO, una Via vera. Si dice però che il Kendo e affini sia messo meglio da questo punto di vista e in qualche modo anche in terra nostrana sia una disciplina più profonda rispetto alle altre.

Nel corso della vostra pratica quali aspetti spirituali vi hanno cambiato e qual'è stato il processo educativo che vi ha portato a ciò?

P.S. Nei libri tradotti in italiano si trovano tantissime indicazioni e tante parole che suonano meravigliose, purtroppo sono concetti difficili e talvolta effimeri che con il Karate sono impossibili da raggiungere, vabbè diciamo difficili. Per ciò che avete imparato e praticato quindi dove sta la spiritualità del vostro studio nella scherma giapponese?
OSU

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Offline Kuro

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Re:La spiritualità della scherma giapponese
« Reply #1 on: August 12, 2012, 10:36:48 am »
0
Ciao,
non sono un maestro di kendo, ne di karate, anche se ho praticato per quindici anni la seconda, e da due anni, tra poco inizierà il terzo anno di pratica, pratico appunto kendo.
Per prima cosa ti chiedo, quale è la storia del Karate? Sicuramente saprai che le sue origini sono piuttosto confuse, o meglio ci sono più verità riguardo la sua nascita, ma, se non erro, si può riassumere che questa disciplina sia stata creata da una serie di persone che, vivendo in territori contesi tra più nazioni o poteri, si trovavano sotto leggi alquanto pesanti che vietavano, ad esempio, l'impossibilità di usare armi, per evitare appunto delle ribellioni, da questo nasce appunto il Kara Te: mano vuota, ovvero priva di armi.
Correggetemi se sbaglio.

Andando al punto.
Il kendo deriva da una lunghissima tradizione di scherma giapponese, ma non solo, dobbiamo immaginare che l'antenato del moderno kendoka, fosse una persona molto religiosa, tendenzialmente Shintoista o comunque un Buddismo rivisitato alla giapponese, con abitudini e preconcetti, da questo si può dedurre che già lo spirito con cui praticava i nostro antenato fosse ben diverso dal nostro, e questo naturalmente, e sicuramente ha influenzato la disciplina.

Alcuni esempi?
Il rispetto del luogo dove si pratica, per il maestro o, per coloro che veramente meritano il titolo di Sensei, e i propri compagni, riassumibile in Shinsei ni Rei e Sensei ni Rei, nel Karate si usa anche Otoga ni Rei, il saluto alla parete principale dove, tradizionalmente si posiziona la Kamiza (o KamiDana).

Nel kendo, come in altre discipline si saluta il dojo con un inchino prima di entrare e prima di uscire,
entrando si cammina sempre sui bordi dello stesso e mai nella zona della parete dove è presente il maestro/sensei, si inizia con una fase di meditazione chiamata Mokuso, e quì possiamo introdurre un po' di zen: il kendoka, in seiza, pone le dita della mano destra come appoggio alle dita della mano sinistra con i palmi e i pollici a formare un cerchio all'altezza dell'ombelico, questo semplice gesto, ha un profondo significato filosofico, la forza dello spirito della persona si manifesta nella perfezione del cerchio formato, se i pollici sono deboli e il cerchio si spezza formando una specie di "cuore" il praticante è troppo debole, se invece i pollici sono in eccessiva pressione si forma una specie di "goccia" anziché di cerchio, il praticante in questo caso usa troppa forza e quindi non ha controllo, così come se dovesse sovrapporre i pollici o non farli toccare tra di loro, mancherebbe di equilibrio tra forza e controllo.

Questo è solo un esempio, e sarei ben felice di continuare questa discussione con altri praticanti.

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Offline Dipper

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Re:La spiritualità della scherma giapponese
« Reply #2 on: August 12, 2012, 12:11:43 pm »
+1
Ciao,
non sono un maestro di kendo, ne di karate, anche se ho praticato per quindici anni la seconda, e da due anni, tra poco inizierà il terzo anno di pratica, pratico appunto kendo.
Per prima cosa ti chiedo, quale è la storia del Karate? Sicuramente saprai che le sue origini sono piuttosto confuse, o meglio ci sono più verità riguardo la sua nascita, ma, se non erro, si può riassumere che questa disciplina sia stata creata da una serie di persone che, vivendo in territori contesi tra più nazioni o poteri, si trovavano sotto leggi alquanto pesanti che vietavano, ad esempio, l'impossibilità di usare armi, per evitare appunto delle ribellioni, da questo nasce appunto il Kara Te: mano vuota, ovvero priva di armi.
Correggetemi se sbaglio.
Pronti :gh:
Fin dalle origini del Tode, il Karate nasce come pratica "passatempo" praticata nella stragrande maggioranza da gente benestante di nobili origini, mercanti facoltosi o appartenenti alla classe guerriera al servizio dei vari signori locali.
D'altronde queste persone erano le uniche che potessero permettersi
a) di non doversi spaccare quotidianamente la schiena in risaia per mangiare
b) di avere il tempo da dedicare alla pratica
c) di viaggiare in Cina e altrove per apprendere e avere contatti con altri guerrieri

Il Karate come strumento di difesa a mani nude dei poveri contadini vessati dai samurai brutti e cattivi è una leggenda metropolitana.
Qui maggiori dettagli con documentazione riportata.

Andando al punto.
Il kendo deriva da una lunghissima tradizione di scherma giapponese, ma non solo, dobbiamo immaginare che l'antenato del moderno kendoka, fosse una persona molto religiosa, tendenzialmente Shintoista o comunque un Buddismo rivisitato alla giapponese, con abitudini e preconcetti, da questo si può dedurre che già lo spirito con cui praticava i nostro antenato fosse ben diverso dal nostro, e questo naturalmente, e sicuramente ha influenzato la disciplina.

Alcuni esempi?
Il rispetto del luogo dove si pratica, per il maestro o, per coloro che veramente meritano il titolo di Sensei, e i propri compagni, riassumibile in Shinsei ni Rei e Sensei ni Rei, nel Karate si usa anche Otoga ni Rei, il saluto alla parete principale dove, tradizionalmente si posiziona la Kamiza (o KamiDana).

Nel kendo, come in altre discipline si saluta il dojo con un inchino prima di entrare e prima di uscire,
entrando si cammina sempre sui bordi dello stesso e mai nella zona della parete dove è presente il maestro/sensei, si inizia con una fase di meditazione chiamata Mokuso, e quì possiamo introdurre un po' di zen: il kendoka, in seiza, pone le dita della mano destra come appoggio alle dita della mano sinistra con i palmi e i pollici a formare un cerchio all'altezza dell'ombelico, questo semplice gesto, ha un profondo significato filosofico, la forza dello spirito della persona si manifesta nella perfezione del cerchio formato, se i pollici sono deboli e il cerchio si spezza formando una specie di "cuore" il praticante è troppo debole, se invece i pollici sono in eccessiva pressione si forma una specie di "goccia" anziché di cerchio, il praticante in questo caso usa troppa forza e quindi non ha controllo, così come se dovesse sovrapporre i pollici o non farli toccare tra di loro, mancherebbe di equilibrio tra forza e controllo.

Questo è solo un esempio, e sarei ben felice di continuare questa discussione con altri praticanti.
Molto interessante :thsit:
Un altro esempio molto bello della permeazione della spiritualità shintobuddista nel Karate e nel Budo in generale è la ritualità del saluto e i significati profondi in cui si radica, che vanno ben al di là del mero esercizio di una formalità esteticamente bella da vedere.
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Offline Kuro

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Re:La spiritualità della scherma giapponese
« Reply #3 on: August 12, 2012, 15:03:58 pm »
0
Il saluto si può definire come la sintesi di un rispetto molto più elevato del gesto stesso, vi ricordo che nelle arti marziali ci si picchia e ci si mena, si rompono nasi, si storcono ginocchia, caviglie e polsi, ma questo si sa che è il costo per il miglioramento, è l'ostacolo con cui ci si scontra.
Rispettare i propri compagni non significa non rompergli il naso, ma significa fare in modo che costoro migliorino, così come anche i nostri compagni devono fare di tutto, il proprio meglio, perché tutti possano migliorare; Nel kendo, ad esempio, quando si riceve un colpo fuori armatura, e che quindi potrebbe fare male, si accetta in silenzio mentre chi ha sbagliata chiede umilmente perdono.

Rispettare i propri compagni significa ringraziarli personalmente alla fine della lezione perché rimanga un armonia e un equilibrio nel dojo stesso.

Allenarsi senza voglia, saltare gli allenamenti perché c'è qualche difficoltà facilmente superabile, o cose simili è una grave mancanza di rispetto verso i propri compagni di Dojo, che, privi di alcuni elementi, si alleneranno peggio; anche parlare e avere poca disciplina è una mancanza di rispetto, distrarre altri allievi distrae tutti e non si progredisce, e se le arti marziali sono una via da percorrere ecco che non si va da nessuna parte.


In risposta alle origini del Karate:
Vedendo da cosa nasce il Karate, e ahimè sono cresciuto con la leggenda metropolitana :(, lo trovo del tutto privo e lontano da quella che è un'arte marziale tradizionale, posto come dici tu Ryujin, sembra un Hobby, e con tutto il rispetto, non praticherei un arte marziale per  passare il tempo.
Lontana dal Bu jutsu, ovvero l'arte della guerra, sebbene efficace, nel giappone medievale c'erano arti marziali assai più efficaci e a cui ci si poteva dedicare, anche disarmati.

Anche se ammetto che un buon insegnante di Karate sia in grado di disciplinare anche gli animi più irruenti, ne so qualcosa personalmente, non annovero la stessa disciplina tra le arti marziali, almeno quella agonistica, e su quella tradizionale ne potremmo parlare.

Scusate l'OT

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Offline Dipper

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Re:La spiritualità della scherma giapponese
« Reply #4 on: August 12, 2012, 15:18:51 pm »
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Nel saluto a mio avviso ci sono altri elementi importanti tra cui la gratitudine.

Spiego cosa significa il saluto per me (o meglio, come mi è stato insegnato).

All'inizio della lezione, quando si effettua il mokuso (si chiudono gli occhi e si rimane per qualche istante in silenzio) si cerca di sgomberare la mente da tutti i pensieri che devono restare fuori dall'allenamento. I problemi al lavoro, le tasche vuote, il battibecco con la ragazza... tutto in questi secondi viene lavato via.
Inchinandosi l'uno di fronte all'altro si mette come un segno: qui finisce la giornata con tutti i suoi cazzi e adesso inizia la lezione, ci si prepara a dare il massimo, tutto il resto rimane fuori dalla porta del dojo.

Utilità della cosa? A livello pratico nulla, non mi insegna a prendere a calci i cattivi. E' un esercizio mentale, ci si allena a trovare il proprio centro, cosa che all'inizo è difficilissima ai più ma che, ripetendo nel tempo il saluto, si acquisisce e se ne diventa capaci anche senza fare necessariamente il saluto stesso, con tutte le ripercussioni positive che questo comporta.

Alla fine, sempre col mokuso, dopo una lezione (si spera) intensa, si rifiata un attimo ed è il momento di ringraziare.
I ragazzi mandano un pensiero di ringraziamento ai genitori, che li mantengono e permettono loro di frequentare la lezione. Chi è religioso ringrazia la sua divinità. In ogni caso si è grati soprattuto verso se' stessi per essersi impegnati al massimo, e si è grati del fatto che si ha avuto la salute e la forza necessaria per affrontare una nuova lezione ed imparare qualcosa.
Secondo il mio sensei esprimere mentalmente la propria gratitudine ha un effetto molto potente sullo spirito e si nota che è abbastanza coerente con la spiritualità shinto-buddista.

Capisco che per qualcuno sia imbarazzante adottare un rituale di un'altra cultura, ma chi lo fa, di solito, vi si sente vicino.
Io per esempio trovo molto più imbarazzanti molti elementi della cultura nostrana... è questione di affinità.

Ma non basta sgomberare la testa senza tante cerimonie? Non secondo le teorie più accreditate, l'effetto sulla mente di qualunque pratica è più forte se coadiuvato dal movimento del corpo, perchè spirito, mente e corpo sono collegati, e l'effetto è ancora maggiore se sono gesti che non si ripetono quotidianamente (dunque si sta dicendo alla propria mente che adesso inizia qualcosa di speciale, suggellandolo con un gesto).

Riguardo all'OT... credo che sia davvero troppo OT per sviluppare qui. Magari altrove :P
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Offline Kuro

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Re:La spiritualità della scherma giapponese
« Reply #5 on: August 12, 2012, 15:22:53 pm »
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Ovviamente c'è la gratitudine, ma visto che si parlava di un senso più profondo del saluto, ho voluto "approfondire" XD

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Offline The Doctor Sherlockit

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Re:La spiritualità della scherma giapponese
« Reply #6 on: August 12, 2012, 15:24:47 pm »
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In risposta alle origini del Karate:
Vedendo da cosa nasce il Karate, e ahimè sono cresciuto con la leggenda metropolitana :(, lo trovo del tutto privo e lontano da quella che è un'arte marziale tradizionale, posto come dici tu Ryujin, sembra un Hobby, e con tutto il rispetto, non praticherei un arte marziale per  passare il tempo.
Lontana dal Bu jutsu, ovvero l'arte della guerra, sebbene efficace, nel giappone medievale c'erano arti marziali assai più efficaci e a cui ci si poteva dedicare, anche disarmati.

Anche se ammetto che un buon insegnante di Karate sia in grado di disciplinare anche gli animi più irruenti, ne so qualcosa personalmente, non annovero la stessa disciplina tra le arti marziali, almeno quella agonistica, e su quella tradizionale ne potremmo parlare.

Scusate l'OT

in verità sei cosciente che oggi giorno, tolti i professionisti degli sport da combattimento e dei gruppi sportivi militari, tutti praticano arti marziali per hobby vero?

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Offline Dipper

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Re:La spiritualità della scherma giapponese
« Reply #7 on: August 12, 2012, 15:46:30 pm »
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Ovviamente c'è la gratitudine, ma visto che si parlava di un senso più profondo del saluto, ho voluto "approfondire" XD
Ma in realtà la gratitudine è un concetto molto più rappresentativo del shintobuddismo e per nulla scontato.
Infatti alla domanda "Perchè facciamo il saluto?" che periodicamente il mio sensei ripeteva, tutti coloro che non l'avevano mai sentita rispondevano "rispetto", e nessuno "gratitudine".
Generalmente nessuno, anche su internet, nemmeno quando interpellato cita la gratitudine.
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