Dalla discussione sulla sudditanza psicologica (
https://www.artistimarziali.org/forum/index.php?topic=17023.255), riporto questo, che riassume bene alcuni aspetti della mia situazione attuale:
Mi permetto un piccolo aneddoto personale collegato[1]: Quest'anno mi sto allenando, principalmente per motivi economici e altri impegni di studio e non-lavoro, una volta sola a settimana. Il maestro mi spinge sempre per far le gare, perché è nella sua mentalità. Io gli spiego i miei motivi, poi aggiungo che, oltre a non sentirmi preparato per lo sparring con un allenamento a settimana (la preparazione atletica specifica cerco di farla a casa tre volte a settimana, per conto mio, seguendo suggerimenti del mio amico istruttore, che invece non mi ha mai fatto pressioni in tal senso). Gli dissi infine sinceramente, a cuore aperto, che, se proprio voleva che io facessi una garetta di No-Gi, l'avrei fatta per fare una nuova esperienza, mettermi alla prova e migliorarmi come lottatore; non per la competizione in sé, perché non mi interessava, non è mai stata nella mia mentalità. Al che, lui mi ha guardato un po' titubante e mi fa "ma tu, se entri sul tatami, mi rappresenti...". Non me l'ha più chiesto, il rapporto con lui rimane buono e io continuo ad allenarmi, anche se considerato meno rispetto agli agonisti (dal mio amico istruttore no, il rapporto è ottimo e mi ha detto di non preoccuparmi). Ho avuto l'impressione che il problema sia stato la mancanza della parola "Vincere" ad ogni frase e della ripetizione letterale dei suoi discorsi, come fanno i ragazzi diciottenni, che si buttano subito nell'agonismo. Ma era quello che pensavo. Non tutti gli agonisti, ma la maggior parte condivide quel trend, pur essendo bravissimi ragazzi e molto gentili quando ci si allena (mi suggeriscono tecniche ecc...: è bello fare sparring con loro).
Insomma, pur essendo un istruttore bravissimo tecnicamente e molto appassionato (ci tiene davvero ai suoi ragazzi), mi ha fatto un po'rimanere male e parlo quindi di sudditanza per questo, anche in quegli ambienti. Mi piace però tanto allenarmi con loro, non capisco perché un'attività così piacevole e ricca di contenuti debba essere "sporcata" da queste cose[2]. Ripeto per l'ultima volta, con tutte le differenze del caso.
In risposta agli amici che sono intervenuti a rispondere così gentilmente, dico che sono pienamente d'accordo con voi che un'atleta non motivato per l'agonismo è meglio non mandarlo. Grazie a tutti per i vostri interventi.
Ma soprattutto la questione è "non preparato". A monte del discorso, ad una persona che viene una volta a settimana, non bisognerebbe nemmeno proporlo. La mia proposta era la ricerca di una mediazione tra le mie esigenze e quelle del maestro. Ne capisco i motivi: ha visto che sono giovane, mi piace allenarmi e mi impegno.
Diciamo che ho l'impressione di essere considerato "un tizio strano": qualcuno che non è come gli amatori principalmente curiosi, che se ne vanno dopo il primo circuito o il primo sparring oppure semplicemente si disinteressano dopo pochi mesi, né come gli agonisti, perché, pur allenandosi, non è interessato a far gare (almeno con tutte le condizioni del caso, sopra spiegate).
Ad es. vedo che, rispetto a chi si allena due, tre o quattro volte a settimana, il mio processo di apprendimento, pur essendoci, è necessariamente molto più lento, come anche l'abitudine ad essere più vario nello sparring, soprattutto a terra e a non fossilizzarmi sulle tecniche di base imparate. (mi trovo particolarmente bene con le leve a braccia e polsi: Kimura (la mia preferita
), "mano de vaca", americane e leve a quattro in generale, meno sugli arm bar/jujigatame: forse per l'abitudine a lavorare solo sulle braccia e con le braccia nel Tuishou e nelle tecniche di Qinna?). Questa "rigidità tecnica" è il mio attuale problema, su cui sto lavorando. E' normale per chi inizia a lottare?
Per il resto, in realtà è un bell'ambiente, mi ci trovo bene e mi piace come insegnano gli istruttori, che sono bravi e preparati. Condivido la soddisfazione nell'allenamento delineata da Andy. Non tornerei assolutamente indietro nelle mie scelte, mi ci trovo benissimo e mi stimola sempre di più.
Il fatto è anche che sto mantenendo una parte dei lavori dell'Yiquan e del Taijiquan, allenandomi in maniera quasi-autonoma ormai, sia nell'allenamento personale (intervallandolo in giorni alterni a quello per la lotta, come sedute di defaticamento), sia insegnando per la prima volta (forse non proprio la prima, perché come volontariato avevo messo su un progetto di Qigong per gli anziani della casa di riposo, durato due anni circa) in alcune "lezioni sperimentali" di Taijiquan nel paesino in cui vivo, da Gennaio ormai, che spero che prima o poi si trasformino in un vero e proprio corso
[3]. I pochi entusiasti e appassionati "allievi" che ho mi stanno dando davvero delle soddisfazioni.
[4] Tuttavia, capisco anche che questa dicotomia (importante per la "completezza" della mia pratica marziale personale) sia possibile solo in quanto amatore: un agonista non può dedicarsi ad altre cose che non ciò che è funzionale alle competizioni. Questo è un altro motivo della mia titubanza sulle gare. Nulla toglie che l'allenamento della lotta, per la sua sincerità, stia insinuandosi come un'ossessione sempre di più nelle mie "celluline grigie", come direbbe Poirot.