FRA L’INCUDINE E IL MARTELLO
Pescara, 2006.
-Allora va bene, ci vediamo venerdì.
Ero contento, quel martedì sera. Avevo avuto la possibilità di guadagnarmi qualcosina per coprire un po’ le spese. Avendo comunque già visto spesso il mio futuro collega al lavoro, e confidando in quel po’ di buon senso che mi aveva sempre fatto stare abbastanza lontano dai guai, pensavo che in fondo me la sarei cavata bene, ma nei giorni seguenti ogni tanto provavo comunque una leggera sensazione di ansia, la stessa che continuavo ad avere almeno nei primi istanti di ogni esame all'università. La stessa che hai quando sai che devi aspettarti l’inaspettato.
Arrivo finalmente al locale, con un po’ di ritardo e in condizioni non troppo ottimali.
La mattina ho dovuto seguire due corsi, e dal pomeriggio sono stato fuori città alle prove del gruppo cover di Glenn Danzig. Poi quelli del gruppo mi hanno accompagnato direttamente lì, e ho dovuto chiedere di poter appoggiare il basso dietro al bancone. L’ultima volta che ho mangiato qualcosa era ancora giorno.
Anyway, mi prendo il caffè, ed esco fuori per fumare.
Fino a quel momento ero andato lì solo qualche volta, da cliente, in piena serata, con un pacco di persone dentro e fuori. Ora ci dovevo lavorare, e già dalle 10 di sera, quando lì davanti c’era solo qualcuno che voleva concludere degnamente la giornata dopo essere stato in giro a cazzeggiare già dal pomeriggio….un po’ come me, del resto. Mi guardavo intorno, cercando di osservare, capire e identificare qualsiasi cosa che mi tornasse utile in quel lavoro per me “insolito”. Le caratteristiche del posto, i punti sensibili, il tipo di gente che ci veniva abitualmente…non avevo ricevuto una vera formazione, e cercavo di compensare con quel po’ di intelligenza che mi avanzava dallo studio e dalla musica.
A fianco del locale c’è il condominio. Gente che entra ed esce anche a tutte le ore, e che poco gradisce vedere gente seduta davanti al portone in atteggiamenti poco consoni alla loro idea di “civiltà”.
Più in là, oltre la stradina losca n.1, c’è il locale tamarro in cui mi hanno detto che vanno gli zingari e i truzzi del luogo. Che per fortuna, rispetto a quelli delle mie parti, sono dei vip di Beverly Hills. Ancora più in là, le famose scale da inseguimento anni 70.
All’altro fianco del locale c’è la gioielleria. Si, la gioielleria. Una gioielleria con l’allarme collegato alla serranda. Bastava appoggiarsi per farlo scattare. Più in là, c’era la stradina losca n.2, dove chi si avventurava per fare pipì o altro veniva fulminato dal riflettore collegato alla videocamera di sicurezza attivato dal sensore di movimento, e qualche volta tornava indietro bestemmiando e richiudendosi la patta (per fortuna le ragazze non facevano neanche in tempo a sedersi). A ‘sto punto potevano metterci anche un po’ di mine antiuomo.
Ora che ho monitorato il luogo, posso passare alle persone. Pochissima gente ancora, che parla, beve, fuma e sembra stare tranquilla. Forse mi faccio troppi problemi.
Sono uscito per fumare, quindi prendo le sigarette. Il mio collega esce, e se l’accende pure lui. Mi sposto lentamente per appoggiarmi a un auto, tanto per iniziare a tenere uno straccio di postazione strategica.
Ma appena mi appoggio, due ragazzi che fino a un attimo prima stavano parlando tranquillamente vicino alla serranda maledetta, appartenenti a quella nuova razza di punkabbestia che ai concerti preferiscono i rave, partono in zuffa spingendosi e dandosi pugni per fortuna moolto imprecisi.
Butto la sigaretta (!!) e parto verso quello che mi dà le spalle e che mi sembra il più problematico. Lo prendo in una specie di mezzo full nelson (è un po’ più piccolo di me) e lo tiro via da quell’altro, e per fortuna mi ricordo subito di spostare la testa di lato per evitare eventuali capate sul naso.
Dopo un secondo, anche il mio collega interviene e blocca quell’altro, e finalmente sento l’allarme, scattato nell’istante in quei due rompipalle si sono sbattuti contro la serranda. Quello che ho bloccato si calma subito, io lo lascio ma non mi viene da dire niente mentre lo guardo un po’ incarognito. Per fortuna il mio collega li conosce, e inizia a ruggire addosso a entrambi, poi si allontana un po’ verso la stradina losca n.1 con quell’altro, che invece continua ancora a sclerare rumorosamente. Poi ho saputo che era il figlio di un noto avvocato, e in quanto tale il mio collega si era guardato bene dallo strapazzarlo, limitandosi a offrirgli una sigaretta e a fargli pazientemente da baby sitter.
Voglio allontanare anche quell’altro, ma mi dice che nella colluttazione ha perso un piercing a terra. Gli dico che gli do una mano a cercarlo, mentre l’allarme ormai mi si sta conficcando nelle orecchie. Poi lo ritroviamo. Sento che è calmo per davvero, quindi gli chiedo cosa fosse successo.
-Niente, ha detto una cosa che non doveva dire.
-Ok, cazzi vostri..
Poi se ne andò, l’allarme si spense, e sembrò che fosse tutto finito lì. Purtroppo non mi avevano detto che l’allarme era anche collegato direttamente con il proprietario e le FFOO.
Pochissimi (a me sembrarono pochi) minuti dopo, arrivò il proprietario della gioielleria. Stava davvero incazzato..
Scese dall’auto come una furia, e, sempre sclerando, aprì in frettissima e controllò che dentro fosse tutto a posto. Purtroppo non avevo visto che c’erano delle bottiglie vuote sul pianerottolo dell’entrata, e lui le spinse via con un calcio facendole rotolare rumorosamente, commentando anche questa scocciatura fra le tante che sembrava gli desse quel locale. Ovviamente, sopraggiunse con lui anche una volante dei CC, ma per fortuna il brigadiere sembrava più calmo.
Mi ascoltai praticamente in silenzio, da solo e a sguardo medio-basso quasi tutto lo sclero di quello là e tutto il cazziatone del brigadiere, dato che il mio collega stava ancora occupandosi del suo cliente tenendolo lontano dalla scena del crimine. Poi finalmente anche il titolare del locale uscì e venne a scusarsi per l’accaduto, dandomi modo di uscire da quel bombardamento (legittimo) di rotture di palle. Quindi tutti si stancarono finalmente di parlare e gesticolare, e io nel frattempo mi era acceso un’altra sigaretta. Saluti, ancora scuse, giustificazioni, e ancora saluti. I due se ne vanno, e io torno alla porta insieme al titolare.
-Cerca di evitare che succedano queste cose, per favore. Questi qua attorno non aspettano altro per farci chiudere. Vedi cosa puoi fare.
Lo rassicurai con una espressione del viso, aggiungendoci un “va bene”. Il mio coinquilino, studente di psicologia, mi spiegò in seguito che quella che avevo usato si chiamava “assertività”. Me’cojoni..
Il mio collega nel frattempo aveva convinto il tipo a sgommare, e si avvicinò a me con la faccia fra lo scocciato e il divertito, con l’ennesima sigaretta accesa fra le dita.
-Oh, ma alla fine, che è successo?
-Che ho iniziato bene, proprio bene..