Questo prende lo spunto da mesi passati a discutere e confrontarsi. Nasce dalle poche certezze e dai moltissimi dubbi che ho dopo quasi dieci anni di pratica, a volte costante, a volte saltuaria. Nasce anche da discussione partecipate in altre sezioni che col karate, penseranno tanti, non centrano nulla; in particolare, parlo delle am del sud-est.
è un post lungo, e lo dividerò in due parti.
Tutto nasce dalla mia partecipazione ad uno stage federale; il maestro è un signore giapponese di una certa età, vicino ai settanta e dalla chioma argentata. Vive ed insegna a Roma, e chi ha un’età di quaranta o più, lo conosce senz’altro.
Ci presentano, dato che ero una giovane cintura marrone di oltre quarant’anni, mi incollo a lui come una piattola per tutta la giornata e, tra una lezione e l’altra, lo bombardo di domande.
Nella pausa pranzo, ci sediamo su un gradino, ci dividiamo i panini e la birra e ci fumiamo una bella sigaretta, discorrendo del più e del meno. Persona gioviale, alla mano e sempre educatissima.
Riprendiamo la lezione con altro stile, partecipo un po’ assente, perché ho LA domanda da fare. Non ci penso su altro tempo, mi avvicino al maestro e gli domando: “Maestro, cos’è veramente il karate?”
Lui mi guarda, ha capito sicuramente i dubbi che mi porto dietro e mi dice: “mettiti in guardia per un po’ di kumite”. Iniziamo uno sparring di point, qualche finta, qualche tecnica di gamba, poi lui entra con uno giaku che farà la storia degli giaku; un po’ mi sorprende, un po’ mi fermo ad ammirare la tecnica perfetta: dalla spinta della pianata del piede, alla rotazione delle anche, alle spalle. Il colpo entra con un bel “paf” sulla giacca del karategi… due millimetri dalla pelle. La pacca si sente, e due centimetri di allungo in più mi avrebbero sfondato. C’era tutto: potenza, precisione, tecnica. “questo è sport” mi dice.
Si rimette in guardia e mi chiede “sei disposto a farti un paio di lividi?”. Cazzo, quando vuoi.
Mi metto in guardia, alzo i pugni, stringo le braccia al busto (so che adesso si fa sul serio) e gli chiedo “pugno o calcio?”
Lui mi risponde “se qualcuno ti vuole menare, ti domanda prima come ti deve suonare?”
Sono di guardia sinistra, invece di provare il jab, parto con un gancio sinistro, protendendo il corpo.
Scusate se me la meno, ma credo proprio fosse un bel cross.
Tempo zero e lui parte… al momento sento solo male al braccio, poi alla bamba sinistra, poi al petto e poi sono a terra, col suo pugno a due centimetri dalla faccia. “questo è karate” mi dice.
Mentre bestemmio generazioni di defunti di più persone a caso, mi aiuta a rialzarmi, mi massaggia il braccio, mi aiuta a riprendere una respirazione normale e mi spiega quello che è successo.
Adesso, entra il gioco la discussione con Claudio e Umberto sulle am sud-est. Quello che ho subito è stato quello che loro chiamano il gunting, ovvero la demolizione dell’avversario.
Innanzitutto, è entrato sul mio braccio non per parare, ma per percuotere la muscolatura, un ade uke ruotato che impatta sui muscoli del bicipite; avevo troppo male al braccio per provare a reagire con un altro pugno o qualcos’altro. poi è sceso tipo zenkutsudachi, ma entrando col ginocchio nella mia gamba sinistra, percuotendola e spostandola all’esterno. Lì ho perso l’equilibrio, sarei andato a terra, ero a portata di tiro di un gancio corto, di una ginocchiata, di una gomitata… invece, mi ha spinto con l’avambraccio di traverso sul petto, una botta mica male, a spezzare il fiato. Infine, mi ha trascinato a terra con una mezza rotazione, il suo fianco sul mio e ha fintato un pugno al viso.