È sempre più chiaro, anche per alcuni scienziati occidentali, che il buddismo ha una comprensione della relatività molto profonda, che è davvero quella di Galileo. La scienza occidentale la ha semplicemente declinata con delle equazioni. Dal punto di vista buddista si trattava in primo luogo di risolvere problemi umani, diminuire la sofferenza; la questione della comprensione della materia passava in secondo piano perché c'erano problemi più gravi, e sotto un certo punto di vista questo rimane vero anche ai nostri giorni... Quello che si sta scoprendo oggi è l'universalità delle leggi della materia e dello spirito. Siddharta Gautama l'aveva scoperto 2500 anni fa. Lui e i suoi discepoli hanno intuito questa universalità allo stesso livello di profondità di Galileo e di Einstein; troviamo infatti enunciati relativisti molto simili ai loro. Ad esempio un intero capitolo de Il cammino di mezzo di Nagarjuna, un erudito del II secolo a.C., analizza il movimento e dimostra che non esiste in sé: c'è una vacuità , ovvero un disapparire delle proprietà autonome degli oggetti e della proprietà del movimento che attribuiamo loro. «Posizione», «orientamento», «velocità», sono parole che non hanno un significato assoluto, ma rinviano a relazioni di coppia; esistono solamente delle interposizioni, degli interorientamenti e delle intervelocità. Nei testi buddisti si trova l'analisi del legame tra relatività e vacuità tanto per la materia quanto per lo spirito.
Ciò che è straordinario è che la relatività è un fatto evidente, salta agli occhi. Questa evidenza in effetti è stata messa in luce dalla scienza orientale dello spirito, ma è anche vero che non è stata sviluppata a livello delle sue conseguenze fisico-matematiche. In occidente, quando Galileo riscopre infine questa idea che il movimento non esiste in sé, che è nulla, come se non ci fosse – affermazioni che ritroviamo pressoché identiche nei testi buddisti – si situa in un altro sistema di riferimento e si prefigge diversi obiettivi. Galileo ha avuto l'intuizione di descrivere la relatività in termini matematici; infatti ci dice anche che «il libro della Natura è scritto in caratteri matematici». In Newton questa strada si chiarisce ancora di più. Il suo Philosophiae naturalis principia mathematica mostra che ciò che prima era filosofia , un discorso logico, potrebbe essere espresso con linguaggio matematico. Questa matematizzazione della filosofia è ciò che noi chiamiamo «fisica».
Si vede chiaramente in che modo la teoria di Einstein ha messo completamente in atto questo legame tra relatività, vacuità e libertà, ad esempio nel caso della gravitazione. Il legame è davvero straordinario perché è visibile a livello delle equazioni. È come se Einstein avesse «tradotto» la filosofia buddista in equazioni. Prendiamo il caso della gravitazione e della caduta dei corpi: tutti continuano a credere che esistà in sé. La grande scoperta di Einstein è stata quella di aver capito che essa invece non esiste, e che è sufficiente mettersi all'interno di un particolare sistema di coordinate come quello dei sistemi in caduta libera per vedere scomparire la gravitazione. Einstein ha fatto per la gravitazione ciò che Galileo aveva fatto per la velocità: ha intuito che niente nell'universo poteva essere chiamato «gravitazione» in maniera assoluta, e che tutte le proprietà che gli venivano attribuite localmente erano in definitiva un semplice effetto del cambiamento del sistema di riferimento. Noi avvertiamo la gravitazione perché non ci troviamo nel sistema di riferimento giusto; siamo infatti in un referenziale costantemente vincolato al suolo della Terra. Se ci ponessimo in un sistema di riferimento in caduta libera la gravitazione scomparirebbe. In un sistema di riferimento libero, chiamato anche geodesico, le proprietò del movimento sono quelle del movimento inerziale, ovvero le proprietà di un movimento libero spogliato di ogni genere di forza. È evidente quindi in che modo avviene questa tripla relaione tra relatività (la gravitazione non esiste in sé ma è relativa alle scelte del sistema di coordinate), vacuità (il concetto di gravitazione è privo di essenza, è una conseguenza del cambiamento di sistema di riferimento), e infine libertà (il sistema di riferimento libero che fa scomparire il campo di gravitazione permette un movimento rettilineo a velocità costante). Einstein scopre questa relazione tripla per quanto riguarda la gravitazione, ma è la stessa cosa che il Buddha enunciava a proposito dell'umanità. L'obiettivo che si era prefissato era quello di realizzare la libertà dello spirito, e l'idea di base era che esso è naturalmente libero, ma che noi non siamo in grado di percepire questa libertà perché siamo vincolati a un sistema di riferimento sbagliato. Secondo il Buddha sarebbe sufficiente porsi all'interno di un sistema di riferimento corretto per scoprire questa libertà naturale ed essenziale.
A mio avviso, attraverso questo tipo di ragionamento potremmo dimostrare in modo quasi logico che l'etica è indotta dall'idea di relatività-vacuità del buddismo. Se ammettessimo che niente di noi esiste in sé, né in senso fisico né in senso spirituale, che nessuno può definirsi se non in relazione con l'esterno, e che noi siamo l'insieme di tutte le nostre relazioni con gli altri e con il mondo, sarebbe chiaro che quando roviniamo le nostre relazioni stiamo rovinando anche noi stessi... Quindi non abbiamo scelta: tutte le azioni negative rivolte a ciò che abitualmente consideriamo come «esterno» rispetto a noi ci danneggiano; non per riflesso ma direttamente, dal momento che l'esterno siamo noi stessi. Siamo autocostituiti dalle nostre relazioni con l'esterno. Non si tratta di fare della morale. È la realtà.