Probabilmente non mi sbaglio se dico che da bambini ci siamo sentiti almeno una volta Bruce Lee, Antonio Hinoky, Mazinga, Kenshiro, nostro fratello maggiore, nostro cugino…boh…chi più ne ha più ne metta. Ma una volta passata la sbornia cinematografica e una volta smesso di idealizzare chi sta più avanti di noi, rimane la ferrea volontà di imparare a difendersi e l’irresistibile attrazione (almeno per me) nei confronti della meccanica dei movimenti insita nella logica di qualunque forma marziale. Sarà per questo che fondamentalmente mi piacciono tutte, proprio perché in ognuna trovo possibili applicazioni reali e per lo stesso motivo trovo sia quasi impossibile padroneggiarne diverse allo stesso livello.
Non so cosa ne pensate voi, ma crescendo, provando, riprovando, cambiando palestre, tecniche, impostazioni, buona parte della crescita effettiva dipende dall’assunto azione-reazione che nel caso delle arti marziali è dato dai compagni d’allenamento. Fatta eccezione per il lavoro al sacco, che almeno nella boxe ha una ovvia necessità di impostazione tecnica e di ritorno oggettivo, va fatta sempre la distinzione tra allenamento singolo, sparring e “allenamento col compagno”.
Sparring e allenamento col compagno potrebbero in teoria essere la stessa cosa, ma esistono delle differenze. Buoni compagni d’allenamento si diventa (mi ci metto anch’io ovviamente). Capire quando affondare, quando mettere in difficoltà, quando alleggerire, quando favorire il fluire della tecnica, quando interrompere per riportare le cose nel giusto ordine, quando essere collaborativo, quando no, quando evitare la zuffa… è certamente indice di maturità marziale e di una sorta di crescita in divenire.
Possono sembrare piccolezze, ma sono le stesse piccolezze che in anni passati in palestra fanno la differenza fra un ottimo praticante ed uno medio-scarso. Se non hai buoni compagni di allenamento il tuo percorso diventa lento e come minimo sarà inefficace (che poi è ancora peggio).
Infatti la tipica condizione orientale di maestro-allievo è per l’appunto rara e non rientra in un’ottica di diffusione di massa nel mondo occidentale. Si potrebbe dire che prendere lezioni private direttamente da un istruttore privato potrebbe avvicinarsi a questa condizione. Ma quanti sono gli istruttori che in questa circostanza accettano davvero di fare quella sorta di downgrade per “allenare” il principiante? E in che modo riuscirà a mediare l’esigenza economica con le reali qualità dell’allievo che ha di fronte?
La palestra di fatto dovrebbe essere il luogo ideale per aver a che fare con personalità diverse, caratteri diversi, e dunque diversi modi di interpretare le tecniche, di reagire agli stimoli, il che come concetto si avvicina di più a ciò che potresti trovare in strada. Ma spesso capita di allenarsi con compagni “diversamente motivati”, con enormi differenze iniziali di impostazione, di background, di obiettivi, e l’importanza di un buon allenamento in coppia non viene sempre colta.
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