Mi spiace citare sempre lui, ma è il solo che ho conosciuto ad avere combattuto per la vita per un bel periodo nell'immediato dopoguerra.
Il maestro Kase, proprio sulla scorta della propria esperienza, definiva "gioco" quanto accadeva sul tatami, ma non in senso dispregiativo, anzi, era un sostenitore della necessità e della validità di una variante sportiva del Karate, semplicemente distingueva situazioni e finalità.
Nel senso che, in certe condizioni era necessario puntare ad annientare l'aggressore in modo netto e rapido per potersi difendere dagli altri, nella dimensione sportiva è l'esatto opposto diventa necessario poter fare senza andare oltre certi rischi.
Nella situazione per la vita, si trattava di un lampo, nella situazione sportiva c'è da occupare un round anche a favor di spettacolo.
Però, penso che solo passandoci in un certo modo se ne possa parlare con cognizione di causa, non per sentito dire ne per aver avuto una o due disavventure.