la parte che più mi interessa è questa mi sembra un'ottima analisi per avere ulteriori punti di vista su un annosa questione
"Nei kata di Karate o nei taolu del Kung Fu ci sono le risposte a tutte le esigenze di un confronto globale. Però, evidentemente, un allenamento non idoneo, svuotandoli dei principi marziali, rende le tecniche contenute inapplicabili.
Di chi la colpa?
Che forse, all’improvviso, arti che si sono sviluppate sui campi di battaglia e hanno superato la
prova del tempo, non siano più in grado di rispondere alle esigenze di difesa in una banale rissa da strada? Non lo credo.
Credo, invece, che la colpa sia nel conflitto che vede contrapposte due fazioni: i modernisti e i tradizionalisti. I primi enfatizzando troppo l’aspetto sportivo, mettono sullo sfondo i principi marziali, pensandoli come un retaggio inutile di un passato ormai finito in contrapposizione con le moderne metodiche d’allenamento; i secondi, in molti casi, riducendo gli stessi principi ad un rituale ripetitivo svuotano la “pratica tradizionale” di quel valore formativo e di conoscenza profonda che si portava dietro.
La parola “tradizionale”, in taluni di questi ambienti, è spesso usata per perpetrare un insegnamento rigido che blocca qualsiasi creatività, costringendo le persone a ripetere schemi tecnici ingessati dove all’attacco A corrisponde la difesa B, dove il tale passaggio della forma X si applica solo in maniera Y. Dove, paradossalmente, in una escalation senza fine, per spiegare le applicazioni di una forma codificata
si inventa un’altra forma codificata, spostando così l’attenzione dalla comprensione creativa della tecnica alla
sterile memorizzazione tecnica.
Questa visione (marziale contro sportivo) non ha giovato a nessuno, infatti, da una parte ha impoverito lo spirito originario, fino al punto di rendere la arti marziali di difficile applicazione pratica al di fuori del dojo, dall’altra, l’arte diventata sport, dura solo il breve tempo della stagione agonistica, finita la quale, la maggior parte dei praticanti smette o migra verso altre realtà.
Comunque, duole dirlo, nella maggioranza dei casi, sia nel campo dei tradizionalisti sia in quello dei modernisti,
essendo l’attenzione rivolta principalmente alla gara nello studio delle forme ci si concentra solo sugli aspetti
fisico-atletici, finalizzando il gesto tecnico a soli fini stilistici, e nel combattimento libero si allenano solo quelle poche tecniche funzionali ad ottenere dei punti. Ovvio, che così facendo, s’imprigiona il praticante dentro schemi mentali limitanti che bloccano la crescita sia come sportivo sia come artista marziale.
Ora, fermo restando il valore educativo dello sport, che costituisce un ottimo sistema di sviluppo per alcuni aspetti psicofisici sarebbe ora, per non svuotare di valore le arti marziali, di adottare una didattica che curi anche quelle qualità che fanno di un praticante non solo un virtuoso della tecnica, ma anche un artista che attraverso la tecnica, intesa nel suo significato originario di arte del fare, esprima al meglio se stesso nei diversi contesti della vita: gara sportiva, difesa della propria incolumità fisica, ricerca interiore.
Qualità che per essere sviluppate richiedono una rivoluzione copernicana della didattica che vede al centro non questo o quel metodo, ma il praticante.
Mettere al centro colui che pratica significa capire che, al di là della visione modernista o tradizionalista, l’arte o la disciplina sportiva si realizzano attraverso lo sviluppo delle potenzialità/abilità del praticante."