Riguardo Oi e Mae, la prima e più semplice ragione è che coprono una distanza maggiore.
Andando più a fondo, la maggior percorrenza prescinde dalla distanza del bersaglio, torna utile nell'intento di sfondare, trapassare, andare oltre fissando assai più in là il bersaglio.
Il colpo caricato con la gamba posteriore, quando è un colpo dritto, assume maggiormente le fattezze del trave, ossia di una linea/catena cinetica più retta possibile, secondo il principio dell'ariete sfonda porte.
Il radicamento a terra aumenta e con esso la spinta, diminuiscono gli angoli aumentando la capacità di penetrazione, aumenta il percorso esattamente come accade nella differenza fra pistola e fucile, il lavoro dell'anca è più logico e dinamico.
Tutto questo, è ovviamente legato ad un prezzo, ovvero il maggior tempo d'esecuzione data la maggior distanza da percorrere.
Quindi, richiede una profonda interiorizzazione, una elevata precisione, una grande esplosività e un timing notevolissimo, che sia sen no sen piuttosto che go no sen.
Tutto questo necessita di tempi di apprendimento assai più lunghi, ripetizioni estenuanti, grande frustrazione determinata dal fatto che, nel frattempo, vediamo che mille altre cose riescono meglio e prima.
Quindi, spesso, si accantonano queste tecniche a causa della enorme difficoltà che spinge a ritenerle purmente formali.
Di fatto, se perquoto una cassa toracica, se colpisco un punto sensibile o molle, posso frustare il colpo, replicarlo con altri colpi a catena, ma se avessi solo quello a disposizione, se volessi sfondare un torace, dovrei puntare a trapassare, ad andare oltre il torace stesso, con la massima spinta possibile.
Ma il 3D è su tutte le "prime tecniche", non solo su quelle due.
Li mi sono dato una spiegazione di questo genere:
Per imparare in modo utile un'arte marziale, è necessario riappropriarsi della capacità e del metodo di apprendimento di un bimbo piccolo, non mutuato o filtrato dai troppi ragionamenti, primordiale, istintivo.
Quindi torna utile una didattica che mi imponga di scontrarmi con i limiti che la mente mi impone, con i suoi freni.
Cadere, per esempio, rotolarsi eccetera, insomma, padroneggiare il nostro spazio a 360°, alto e basso compresi, non solo davanti e dietro o destra e sinistra, è un processo del tutto naturale in prima infanzia, poi, gradulmente, perdiamo il contatto col suolo, dimentichiamo che abbiamo un sopra e, quando impariamo a cadere in un Dojo, ci scontriamo con una innata paura del suolo che da piccoli non avevamo, che il nostro cervello ha costruito, che dovremo superare ripartendo da terra ( in ginocchio) fino a poterlo fare da in piedi, saltando, venendo proiettati, situazione in cui chi proietta fa quasi tutto per la comodità del proiettato.
In pratica, secondo me, il percorso formativo, quello che dovrebbe condurre alcuni alla personalizzazione e alla crescita e ricerca personale, è come un cerchio, un cerchio che parte dal punto in cui si chiuderà per poi cnsentire l'inizio di un nuovo viaggio, non più uguale a tutti gli altri ma personale ed unico, il DO appunto.
Credo sia per questo che si comincia dalla fine.