Precetto interpretato, dai più, allora come adesso, come una sorta d’insegnamento morale di controllo dell’aggressività. Interpretazione che ha creato, e continua ancora a creare, un travisamento su uno dei principi strategici più importanti delle arti marziali: sapere cogliere l’attimo, agire senza intenzioni (wu wei).
Yagyu Munemori, spadaccino del Giappone medievale, insegnava che “la chiave della vittoria è nel lasciare che l’avversario compia la prima mossa”, lo stesso Musashi raccomandava di “vincere quando l’avversario attacca”. Perché questo insistere nel lasciare l’iniziativa all’avversario? Come è possibile che “partendo dopo si arriva prima”
come insegna, anche, il Taiji Quan?
Quello che è certo che non si attacca per primi non per una sorta di “cavalleresco” comportamento, né tantomeno per un’etica da “oratorio marziale”, ma per un principio strategico, scoperto sperimentalmente dai maestri del passato, che affonda le sue radici nella capacità del nostro sistema nervoso di re-agire in maniera diretta e immediata ad uno
stimolo (pericolo) che minaccia la nostra incolumità fisica, meglio di quanto si possa fare con una qualsiasi azione programmata e super allenata.
L’azione, essendo intenzionale, e l’attacco lo è quasi sempre, a meno di non essere arrivati ai vertici dell’arte, si svolge lungo un percorso (neurale) pensiero-azione che coinvolge la mente che, per quanto rapida, sarà sempre più lenta della semplice re-azione che, invece, “bypassa” qualsiasi processo mentale.
Sinteticamente: l’uomo reagisce in modo più rapido di quanto agisca. Questo principio strategico ha oggi anche una dimostrazione scientifica fatta alla Birminghan University, dove analizzando centinaia di volontari che si sfidavano a duello con delle pistole elettroniche, hanno scoperto che chi estraeva per secondo (re-agiva) era mediamente 21 millisecondi (circa un quinto di secondo) più rapido di chi estraeva (agiva) per primo.
Nel mio libro “Le Tre Vie del Tao”, uscito nel 1997 a proposito del combattimento istintivo scrivevo:
”… L’allenamento al combattimento istintivo è privo di schemi precostituiti e di movimenti standardizzati. Bisogna imparare a “sentire” l’energia dell’altro e a rispondere in funzione del suo movimento, non bisogna “ragionare”; solo così si possono eseguire delle tecniche
differenti una dietro l’altra in maniera rapida e veloce.”. E più avanti “…La guida dell’istinto è più veloce, più sottile, più assoluta ed è in relazione diretta con la realtà più di quanto non sia la mente conscia.”.
Se così non fosse, pochi tra noi raggiungerebbero la maggiore età: al primo inciampo cadremmo rovinosamente per terra, la prima classica tegola in caduta libera ci spaccherebbe la testa. Per fortuna madre natura ci ha fornito un software di pronto intervento, che ci permette di sopravvivere, non solo quando scivoliamo su una banale buccia di banana, ma anche quando ci troviamo in situazioni estreme di pericolo.
Situazioni che fanno emergere spontaneamente qualità extra-ordinarie che non sappiamo di possedere. Qualità insite nel nostro sistema nervoso che si manifestano perché la mente pensante, cortocircuitata dall’evento straordinario, non può interferire con l’intelligenza naturale del corpo che sa cosa fare senza pensare (cfr. il libro di Flavio Daniele: Xin Yi Quan – L’Arte del Combattimento Istintivo – Ponchiroli editori).
La domanda che si pone ora è: come allenare questa spontaneità reattiva? Come farla emergere? Come evitare che la mente pensante blocchi l’agire spontaneo (wu wei)? Ci sono sostanzialmente due vie: una più impegnativa dal punto di vista fisico, l’altra più impegnativa dal punto di vista mentale. Per quanto riguarda i risultati pratici, almeno nelle fasi iniziali, le due vie si equivalgono.
La prima, direbbe il M° Xu è “hard work”, perché richiede di mettersi uno di fronte all’altro e provare e riprovare finché, non sai come, ma c’è l’hai fatta. Questa via da una parte ha il pregio di essere abbastanza veloce, ma dall’altra ha l’inconveniente che con il passare del tempo, calando la prestanza fisica e appannandosi i riflessi, perde d’efficacia e non porta oltre un certo livello perché si sa fare, ma non si sa come lo si fa, e, quindi, non avendo la conoscenza dei vari passaggi del processo, non sappiamo dove intervenire, su cosa lavorare per migliorare il nostro livello.
La seconda via è “smart work” perché richiede, oltre agli aspetti tecnici, un lavoro d’ascolto e di comprensione delle proprie potenzialità sia fisiche sia mentali, richiede di lavorare sulla trasformazione non sull’azione, richiede di rendere il corpo consapevole non solo di quello che fa, ma come lo fa e perché lo fa. Solo così il corpo si trasforma(in)azione, si trasforma nel e con il suo agire, diventa un corpo istintivo in grado
di sentire l’energia e le intenzioni dell’altro. Diventa uno specchio che ri-flette senza previsioni, senza anticipazioni ogni cosa, non un istante prima, non un istante dopo: si è solamente lì dove si deve essere, senza nulla fare, senza nulla volere, senza nulla pensare, solo ri-flettere, solo re-agire (cfr. il libro di Flavio Daniele - “Scienza, Tao e Arte del Combattere”– Luni edizioni).
La trasformazione, ovviamente, coinvolge anche la mente e le sue cinque qualità di base (volontà, attenzione, concentrazione, coscienza, consapevolezza) che, da semplici qualità psicologiche, devono diventare forze interiori, per fare emergere la capacità intuitiva di cogliere l’attimo (l’occasione).
Solo così la volontà cosciente è in grado di interagire con la mente-cuore (xin in cinese – shin in giapponese), solo così l’attenzione non si logora nell’attesa e la concentrazione non diventa tensione, solo così la nostra coscienza evolvendosi nella conoscenza diventa consapevolezza del giusto modo di agire e del giusto modo di porsi nel confrontarsi con un avversario, in modo da non essere avversi alla sua azione, ma nello stesso verso così, come dice il Taiji Quan, nel tuo attacco (azione) c’è la mia difesa (re-azione).
L’altro lavoro riguarda qualità psicofisiche come centratura, allineamento, radicamento ecc. sulle quali non dico niente, avendole trattate innumerevoli volte negli articoli scritti nel corso degli anni, mentre vorrei completare il discorso della respirazione e le sue implicazione con la pratica marziale, aperto con mio ultimo articolo (il Potere del Respiro) su Samurai.
L’alchimia del respiro
Come abbiamo visto nell’articolo sopraccitato, il binomio respiro-energia è fondamentale in tutte le discipline orientali, la sua influenza sugli aspetti psicofisici ed emotivi può essere testimoniata da tutti, ma pochi hanno esperienza del respiro come forza propulsiva per muoversi rapidi, veloci e senza sforzo. Ancora meno sono quelli che sanno adottare la respirazione alle diverse situazioni della pratica, ci si limita ad inspirare ed espirare, non sapendo come fare per evitare di sentirsi come un bue al traino quando si va in debito d’ossigeno, non sapendo come fare per trasformare un “problema” in una opportunità: inspirare non è solo prendere ossigeno, ma è anche accumulare forza; espirare non è solo
emettere anidride carbonica, ma emettere forza. Quando Musashi dice “colpire in un respiro” non si riferisce solo alla rapidità del gesto, ma principalmente, e qui sta il segreto, al potere del respiro per dare forza e vigore al colpo.
Nel presente articolo, visto i limiti imposti dalla parola scritta, non possiamo addentrarci nelle diverse tecniche respiratorie e nel modo di usare il respiro nelle differenti situazioni per cui, semplificando al massimo, diciamo che la respirazione corretta da utilizzare durante la pratica è la respirazione addominale che, a sua volta, si divide in respirazione addominale naturale e respirazione addominale inversa.
Nella respirazione naturale, quando s’inspira il diaframma scende e l’addome si espande, quando si espira il diaframma sale e l’addome rientra; nella respirazione inversa quando si inspira e il diaframma scende l’addome, al contrario, rientra, quando si espira il diaframma sale e l’addome si espande. Questa contrapposizione dinamica (yin/yang) tra diaframma e addome nelle due fasi respiratorie, opportunamente allenata, trasforma il nostro tronco in un potente propulsore pneumatico che migliora il rendimento globale del corpo, aumentando notevolmente la potenza dei nostri colpi e riducendo al minimo lo sforzo fisico.
Ecco perché, nelle arti marziali, la respirazione da adottare è quella inversa, che permette di coniugare qualità opposte come potenza ed elasticità, stabilità e dinamicità, allineamento e centratura. Nello Xin Yi Quan, l’arte marziale interna conosciuta per la sua efficacia nel combattimento, si dice: quando vai indietro inspira, quando vai avanti espira, inspirando ritrai l’addome (Foto 2a) e porta il respiro verso i reni e tra le scapole (no nel petto), espirando lascialo scendere nella profondità del Dantian (addome) (Foto3a). Forse, ai più, questo far rientrare l’addome inspirando potrà sembrare “rischioso”, perché pensano di “svuotarsi”, ma non è così.
In realtà, ritrarre l’addome mente si sta inspirando e il diaframma sta scendendo, crea nella cavità addomino-toracica, per una evidente riduzione del suo volume, una considerevole pressione interna. Pressione interna che svolge, oltre a una efficace resistenza ai colpi, anche la funzione di a) tendere come un arco la colonna vertebrale, b) allargare tutti i muscoli della schiena come quelli di un gatto pronto a balzare sul topo (foto 2b) e c) lanciare le tecniche come dei dardi anche mentre si sta inspirando e ritraendo (Foto 2: una mano para, l’altra, contemporaneamente colpisce). In sintesi: la respirazione inversa mi permette di emettere la forza (fa jin) durante entrambi i cicli respiratori. Annullando la fase inspirare-caricare non sono mai vuoto, posso colpire mentre espiro o mentre inspiro, posso colpire andando indietro o uscendo di lato, alzandomi
o abbassandomi, perché i miei arti, da leve biomeccaniche che si possono aprire (spingere) o chiudere (tirare) sotto l’azione sinergica dei muscoli agonisti e antagonisti, diventano stantuffi pneumatici sempre attivi sia in apertura sia in chiusura.
Per capire l’importanza della respirazione inversa, dovete fare mente locale a come il vostro corpo si comporta e quali sono le modificazioni fisiologiche interne quando reagite a un rumore improvviso, o quando fate un balzo per evitare un oggetto all’ultimo istante, o ancora quando fate uno starnuto o quando vi stirate. In tutte queste situazioni il corpo si comporta naturalmente sempre alla stessa maniera: inspira vigorosamente ritraendo l’addome, facendo muovere istantaneamente tutto il corpo. Adesso provate a inspirare espandendo l’addome (respirazione naturale), e noterete che il corpo non risponde con la stessa immediatezza: in una situazione reale, se aveste per caso appoggiato la vostra mano su una piastra rovente, la ritrarreste cotta a puntino. Inspirare ed espandere ci connette alla terra (ottimo quando dobbiamo contrastare), inspirare e ritrarre ci connette al cielo (ottimo quando dobbiamo scattare come fulmini). Ecco perché madre natura ci fa inspirare ritraendo l’addome quando dobbiamo re-agire prontamente a un pericolo.
Così è! Il segreto del Wu Wei (l’agire senza intenzioni - muoversi senza sforzo), è in realtà lasciare fare alla natura, e lo scopo della pratica non è altro che un corso di rieducazione per riappropriarci dell’agire naturale.
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