Anche tu,nella opacita' di termini tendi comunque a riferirti a pratiche fisiche, assegnando quelle "psicologiche" ad un altro piano,giusto?
In passato, in Giappone, si scoprì che le persone che praticavano arti marziali erano più calme e controllate, più padrone di ogni situazione.
Così le si rispolverò e le si reintrodusse come pratiche per tutti, per donare ai civili quella calma e quella padronanza di se dei guerrieri.
Nonostante le evidenze contrarie a questa idea, ancora oggi si esportano le arti marziali come via alla difesa personale ed alla padronanza di se.
Il mio punto di vista (discutibile, ma del quale sono ormai certo) è che l'atteggiamento osservato in passato su quei guerrieri non derivasse dalla pratica delle discipline da combattimento ma dall'ESPERIENZA DI GUERRA.
Quelle persone avevano visto la morte in faccia, avevano ucciso e avevano visto cose che gli altri non avevano visto. Questo li portava ad essere meno sensibili agli alti e bassi della vita quotidiana, che al confronto di certe esperienze perdono di intensità e di volume.
Per cui, limitatamente alla mia piccola esperienza come buttafuori, ho notato spessissimo come il giovane in gran forma e molto allenato in qualche arte, magari pure campione di combattimento, nelle risse fosse meno padrone di se e degli altri rispetto a persone meno in forma, meno allenate e capaci ma padrone della situazione per esperienza e per assetto mentale da predatore.
Certo, l'ideale è avere tutte e tre le caratteristiche, mente, corpo, addestramento.
Ma se dovessi scegliere per forza sceglierei la mente.
Perché è un'arma micidiale, se vengono considerate armi le mani dei pugili non oso pensare a cosa può essere paragonata una mente affilata ed esperta.
Spesso ci riferiamo alla DP come ad una serie di abilità sportive, di movimenti e di nozioni.
Come dire che saper tirare un grilletto, avere la forza nel dito per farlo, la mira e la tecnica per colpire un bersaglio di paglia equivalga a riuscire senza esitazioni a sparare ad un essere umano a bruciapelo guardandolo negli occhi.
A questo proposito è molto interessante l'ultimo romanzo che ho letto, "caduta libera". la storia di un cecchino nella seconda guerra cecena.
Lui si è formato fin da bambino andando a caccia col nonno, uccidendo.
Dall'altra parte i cecchini erano contractors arruolati perchè campioni sportivi di tiro a segno, senza capacità predatorie ed esperienza militare.
Lui li uccideva tutti.
Interessante il suo punto di vista: "per me era come cacciare, solo che cacciavo uomini armati e capaci di rispondere al fuoco [...] mi piaceva andare a caccia di uomini".
Questo è un punto di vista importante, perchè invece ai militari si insegna a depersonalizzare il nemico, a vederlo come un bersaglio di carta in modo che non esitino. Diventano così dei pivelli bravi a sparare, non diversi da quei campioni sportivi di tiro a segno.
E infatti il 75% dei soldati anche convinti torna spesso traumatizzatissimo dalla guerra.
Lui sapeva che erano uomini come lui, ed accettava il fatto che stesse cacciando uomini, non bersagli, non "nemici della patria".