Come combattere da uominiArticolo di Barret Hooper tratto dal “Saturday Post” di gennaio 2002
La parola su cui mi soffermo è “dissanguare”. Dissanguare. Fra “dissalatore” e “dissoluto” sul vocabolario, significa far uscire il sangue. Di solito significa la morte. Uno si aspetta di sentirla associata a un autopsia o a una storia di vampiri, oppure a una puntata di X-Files.
Con una lama di 15 cm puntata addosso, è normale che mi senta un po’ anemico. Uno scatto e un arco sotto il mio mento, e la mia gola verrebbe aperta. Ovviamente, non è il sanguinamento che mi preoccuperebbe(?!) ma piuttosto il danno ai muscoli, tendini e legamenti, che mi lascerebbe come un burattino inanimato.
Il corpo umano ha più di 650 muscoli e 100 giunture, tenuti insieme da cartilagini e tendini, cioè parti morbide, deboli. E il mio avversario, Vladimir Vasiliev (che io chiamo “L’Impalatore”) li conosce tutti. “E’ importante imparare a lavorare sui punti sensibili del corpo”, dice nel suo forte accento russo. A differenza di quanto si vede nei film, il combattimento col coltello è sapere dove colpire per far “scoprire” una persona, perché “non si vince col coltello, si sopravvive e basta”.
Vasiliev è il capo istruttore della scuola di Arte Marziale Russa a Thornhill, a nord di Toronto, che offre “niente limitazioni e risultati rapidi”. Lo scovai su una rivista di arti marziali, in mezzo alle pubblicità di un qualcosa chiamato “Dim Mak: Tocco della Morte” e di video didattici tipo “Ottieni la tua cintura nera di Karate in 10 lezioni”.
Probabilmente non lo avrei notato, se non avessi riconosciuto il numero telefonico e il distretto postale di Toronto, a cui inviare messaggi e ordinazioni di materiale. Il suo annuncio riguardava l’Arte Marziale Russa o Systema, “un unico, pratico e devastante stile di difesa da qualsiasi attacco” basato su, diceva, “l’addestramento delle forze speciali russe”.
Forze Speciali Russe. Voiska Spetsjalnogo Naznachenja, o più semplicemente Spetsnaz. Creati nel 1974 per agire disgiuntamente dall’Armata Rossa, incarnavano la minaccia e il potere dello stato sovietico. Fu l’arma segreta dell’URSS durante la Guerra Fredda.
Fu infatti lo Spetsnaz ad eseguire il piano sovietico di rovesciare il governo afghano nel 1979, assaltando il palazzo presidenziale e assassinando il presidente Amin e la sua famiglia. Nel 1985, quando i terroristi conquistarono l’ambasciata sovietica a Beirut, fu sempre lo Spetsnaz a rapire quattro dei terroristi, decapitarne uno e spedirne al loro capo la testa chiusa in un sacco. Anche oggi, lo Spetsnaz è forse la forza più esclusiva del mondo; più dei Navy Seal o della Delta Force. Composto da cecchini, esperti di esplosivi e combattimento ravvicinato, esso gestisce operazioni di controterrorismo, salvataggio ostaggi, e ricognizione. Essi operano in Cecenia e nelle Repubbliche separatiste, e sembra anche in Afghanistan, impegnati segretamente nella caccia ad Osama Bin Laden. In marzo del 1999, una storia pubblicata su “Time” parlava di come ex Spetsnaz venissero usati come rinforzo “ombra” ed assassini perfetti per conto della Mafia Russa.
Vladimir Vadiliev è un veterano degli Spetsnaz, con circa 10 anni di servizio alle spalle, un “guerriero dei gruppi speciali” che troveresti in una storia di Tom Clancy, e in effetti è un operativo che ne addestrò anche degli altri. E si è offerto di usare la sua preparazione marziale per trasformarmi in una perfetta e spietata macchina per uccidere.
La palestra di Vasiliev è vicina a una scuola di ballo, sul retro di un fabbricato industriale. I gradini di una scala metallica conducono all’unica porta, e una scritta sul vetro riporta “Arte Marziale Russa – Systema”
Dentro, i muri dell’anticamera sono tappezzati di articoli di giornale sulla scuola e delle foto suggestive: un cecchino che prende la mira, un team che assalta un edificio. Su una mensola c’è qualche video didattico: Defense Against Mass Attacks, Russian Mega Fighting, Knife Fighting and Throwing, Gun Disarming.
Ci sono anche delle riviste, con Jet Li e Jackie Chan sulla copertina. L’area dove ci si allena è decorata da una bandiera del Canada, una della Russia Postcomunista e una dello Spetsnaz, con il suo simbolo del pipistrello nero sullo sfondo blu chiaro. I colpitori sono impilati in un angolo insieme a un assortimento di mazze, coltelli e spade.
Alcuni neon chiari e qualche finestra sono l’unica fonte di luce. Odora come la palestra di una comune scuola superiore. Quando entrai, la lezione era in corso, e sembrava una scena di Fight Club. C’erano circa 20 persone, tutti maschi e atletici, in maglietta e mimetica, che si attaccavano a vicenda.
Vasiliev osserva con le mani sui fianchi, calmo. Mi aspettavo qualcuno tipo Dolph Lundgren, il pugile russo di Rocky IV, qualcuno più grosso e più “squadrato”, più “macchinoso”. Ma Vasiliev sembra davvero uno normale.
Di media altezza e costituzione, ha capelli corti, scuri, con un pò di grigio ai lati, un volto amichevole e sincero accentuato delle rughe d’espressione. Quando si avvicina a me per salutarmi, c’è un qualcosa di tipicamente russo o tipicamente militare che mi colpisce subito. Sorride apertamente presentandosi, aggiungendo “Fai pure delle domande” prima di tornare alla lezione. Il Systema è l’ultima proposta nella difesa personale. E’ come un nuovo Ninjutsu (la letale arte degli assassini vestiti di nero del Giappone feudale, resa famosa da molti film degli anni 80).
Ed ha fatto guadagnare a Vasiliev una buona reputazione nell’ambiente marziale internazionale. E’ apparso su testate come Combat e American Survival Guide. He stato citato in una storia apparsa su maxim riguardante le unità commando d’elite alla “Rambo”: Berretti Verdi, SAS britannici e, ovviamente, gli Spetsnaz. La sua versione dell’arte marziale russa (RMA) - ci sono cose simili, come il Sambo, che ha anche la dimensione sportiva – è stata analizzata e scomposta da esperti della difesa personale su riviste come Inside Kung Fu e Black Belt.
Il Systema è un originale stile di combattimento corpo a corpo che risale al X secolo. Per secoli la Russia è stata attaccata da invasori europei e asiatici: Variaghi (vichinghi svedesi), Sciti, Bulgari del Volga e i Mongoli dell’Orda d’Oro di Gengis Khan ne sono solo alcuni. Nel tempo, i guerrieri russi svilupparono pertanto un sistema che fosse adattabile ed efficace in ogni condizione di scontro e contro qualsiasi nemico.
Non si imparano delle tecniche precodificate, come nei kata, o ad imitare degli animali, come in alcuni stili di Kung Fu tipo quelli della tigre o della scimmia. Dopo la presa del potere da parte dei Comunisti nel 1917, tutte le tradizioni antiche vennero soppresse. Ma le autorità riconobbero l’utilità delle arti marziali russe, e le riservarono per l’addestramento delle loro unità speciali. Per decenni, l’addestramento venne coperto da segreto, come il mitico stile Shaolin, fino a che Vasiliev ruppe il silenzio diventandone il primo e principale praticante fuori dalla Russia.
Allo stato attuale, ci sono 26 scuole nel mondo in cui gli istruttori sono stati addestrati e autorizzati da Vasiliev ad insegnare il Systema. Allievi di ogni tipo e nazione si recano a Thornhill per studiare con lui. Molti sono già esperti di altre arti marziali, altri vogliono migliorare la loro abilità o mettersi alla prova (una cintura nera di Aikido aveva programmato di andare ad allenarsi con la polizia di Tokio, ma una volta visto i video di Vasiliev, optò per il Canada).
Ci sono molti ricchi uomini d’affari che vogliono dei bodyguard bene addestrati, e un certo numero di persone con un passato professionale nelle forze dell’ordine e in quelle armate, come Marines e Rangers degli USA, membri della Legione Straniera Francese e dell’esercito britannico, e una guardia del corpo della famiglia reale dell’Arabia Saudita.
Nella lezione vedo un allievo attaccare Vasiliev torcendogli il braccio dietro la schiena, che con un piccolo movimento ondeggiante si libera e gli intrappola polso e gomito in una presa dolorosa. Non ho idea di come abbia fatto a liberarsi, e credo neanche l’allievo.
Vasiliev allora invita un altro gruppetto di allievi ad attaccarlo. A differenza dei film, dove i cattivi attaccano uno alla volta, loro lo circondano e lo colpiscono contemporaneamente da più direzioni. Calciano, danno pugni, lo afferrano, ma lui si muove senza sforzo, piroettando, abbassandosi e ridirezionando i loro stessi colpi su mascelle, teste, cosce, mura, pavimento e così via.
Fra una cosa e l’altra, si sofferma sui punti e gli angoli di pressione; spiega che “le spalle possono essere spezzate come un ala di pollo”. Infatti, l’autodifesa è il fine ultimo del Systema, ma il vecchio adagio “la miglior difesa è l’offesa” è una cosa scontata, nelle lezioni di Vasiliev. “Il movimento è la chiave”, fa notare, “non il colpo”. A differenza del Karate, dice, non c’è il “difendere l’aria”. Pugni e calci sono bloccati molto vicino al corpo. “Porta a te l’avversario, non inseguirlo”. I calci sono dati raramente al di sopra della vita. “E’ molto più utile colpire gli stinchi, le ginocchia e le anche. Ci vuole meno energia ed è più veloce, e rende più difficile farsi attaccare”.
A volte, qualche allievo cerca di fare qualcosa di più “carino” tipo tirargli un calcio alla testa o uno ruotato (molti sono cinture nere in altre arti). “Non fate cose alla Jackie Chan”, li rimprovera scherzosamente, dopo aver deviato abilmente questi attacchi.
Come nella Capoeira brasiliana, molti dei movimenti del Systema possono essere trovati nelle danze tradizionali russe, il che spiega perché a volte Vasiliev sembra ballare una Hopak ucraina, al ritmo di una musica che riesce ad ascoltare solo lui. “E’ come un balletto, anzi va oltre”, mi dice dopo un allievo. Altre volte sembra come se facesse breakdance, dispensando al contempo piccoli e rapidi colpi accompagnati scherzosamente da i suoi vocalizzi da fumetto (Bum! Bam! Pow!).
La sua tecnica può non convincere, a prima vista: gli allievi sembrano cooperare troppo nel farsi mettere nel sacco da Vasiliev e dai suoi movimenti ondeggianti. Ma a un certo punto inizio ad accorgermi di piccoli particolari nel suo modo di muoversi.
Questo, come scoprii dopo, è uno degli aspetti unici del Systema. Gli allievi imparano a schivare gli attacchi tenendo il proprio corpo fluido e muovendo solo la parte che viene minacciata.
Jacob Goldblatt, una cintura nera di Aikido trasferitosi qui sei mesi fa per studiare il Systema, riporta una storia raccontatagli da Vasiliev. Una volta, mentre stava su un treno con altri operativi come lui, il convoglio frenò bruscamente e un’anziana signora letteralmente “volò” verso di loro. “Invece di acchiapparla al volo, come avrebbe fatto chiunque, il mio collega si scansò automaticamente, lasciandola cadere per terra!”.
Alla fine della lezione, andiamo nel suo ufficio per continuare il discorso. A volte la sua mente è più veloce in russo che la sua lingua in inglese, così sua moglie Valerie si unisce a noi per tradurre. E’ una fisioterapista, immigrata qui da Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) alla fine degli anni ‘80. Si sono sposati nel 1992, e hanno due figlie.
Seduto di fronte a me, lontano dalla sala della palestra dove ha appena trascorso un ora e mezza strapazzando i suoi allievi, Vasiliev non ha l’aria di un killer. Gli potresti sedere a fianco in autobus e non notarlo. E’ anche questo che ne ha fatto un ottimo candidato per lo Spetsnaz . “Loro cercano qualcuno che abbia un aspetto normale, medio, in grado di mischiarsi alla folla, che non dia nell’occhio e che sappia compiere la missione, qualcuno che sia diverso da Arnold”, dice indicando una sua foto sulla scrivania con la moglie e Schwarzenegger. “Devi essere in grado di sparire in un bosco, tra la gente, sparire in una stanza vuota”.
Vasiliev è cresciuto a Tver’, una città industriale 200 chilometri a nordest di Mosca. Suo padre era un generale dell’Armata Rossa, che morì quando lui era piccolo. Ha una sorella e un fratello, anche se non può dire di più poiché, come molto del suo passato operativo, è ancora coperto da segreto.
Il servizio militare era obbligatorio nell’URSS, quindi dopo il diploma Vasiliev venne arruolato. Insieme ad altri giovani promettenti, venne poi scelto da un superiore che faceva ricerche fra le reclute per entrare negli Spetsnaz. (Gli atleti dell’unione Sovietica, specialmente quelli di discipline come lotta, arti marziali e tiro sportivo sono sempre stati una buona base da cui attingere personale).
Time riporta una frase di un ex ufficiale degli Spetsnaz: “Si dice che se non finisci in prigione, finisci negli Spetsnaz”. Vasiliev si è trovato molto spesso in risse e scontri da strada. “In Russia, queste cose sono normali”, dice, “la gente è sempre pronta a partire. E’ normale per la nostra cultura. Succede per strada, nei bar, nei ristoranti, dovunque. Quando combattevo, durava tutto così poco che alla fine vedevo la gente a terra e non mi ricordavo che fosse successo e cosa avessi fatto”.
Nello Spetsnaz, Vasiliev fu proposto per una delle Unità Operazioni Speciali, un gruppo di elite così segreto che molti dei suoi membri non sapevano di farne parte anche per parecchi mesi o anni. Solo i più alti in grado erano al corrente della sua esistenza.
Queste unità venivano attivate per le operazioni ad alto rischio per conto del KGB e di altri organi governativi. Nel gergo dell’Intelligence, si occupavano dei “lavori bagnati”, cioè incarichi come rapimenti e assassinii. Vasiliev ha studiato Karate e Boxe, e si è allenato con un misterioso combattente di circa settant’anni chiamato “Zio Piotr”, il cui stile è derivato dall’aver avuto a che fare con gli “ultimi” fra i guerrieri Samurai. “Si basava su reazione istantanea, e lasciavi solo la prima mossa all’avversario”.
In più, l’addestramento degli Spetsnaz era davvero molto estremo. I suoi istruttori lo picchiavano tutti i giorni, dandogli anche delle scosse elettriche per irrobustirlo mentalmente. Gli torcevano il braccio dietro la schiena “fino a che iniziavi a gridare perché non ce la facevi davvero più”, quindi veniva punzecchiato con un coltello. “Volevano vedere fino a che punto potevi sopportare tutto ciò prima di crollare. Usavano anche alcuni esercizi per insegnarti a rilassarti durante il dolore e a scoprire altre risorse per resistere”. Si usavano anche delle nuotate in acque gelide (c’è un detto degli Spetsnaz che fa “L’acqua è troppo fredda per nuotarci solo se è già ghiaccio!”), e inoltre fu fatto cadere su enormi formicai e fatto mordere da migliaia di insetti. Veniva condotto negli obitori o presso incidenti gravi, e costretto a portare in braccio dei cadaveri, per renderlo meno sensibile al “sangue e al dolore”. Lo scopo, dice, è quello di creare un soldato “immune dal tormento psicologico di una battaglia. Volevano che le loro truppe speciali non avessero paura della morte”.
Vasiliev successivamente divenne istruttore, insegnando il Systema a membri dello Spetsnaz, agenti del KGB, polizia e bodyguards. Ma dopo più di 10 anni nell’esercito, Vasiliev si sentiva pronto per “vedere il mondo senza mitragliatrici”. Abbandonò l’esercito e qualche anno dopo, nel 1990, si trasferì a Toronto, dove visse facendo molti lavori, prima di incontrare Valerie.
Quando chiedo a Vasiliev di che tipo erano le sue missioni, risponde in russo. “Controspionaggio”, dice Valerie, “far sparire qualcosa, carpire informazioni, impossessarsi di un oggetto. O rapire, uccidere qualcuno”.
“Sei stato mai coinvolto in un rapimento o in un assassinio?”
Valerie guarda il marito e Vasiliev ha una breve pausa, prima di rispondere in inglese “Puoi dire che ne so qualcosa, che ero molto vicino a queste cose”. Conoscendo la reputazione dello Spetsnaz in Afghanistan, gli chiedo se c’è mai stato. Sorride e scuote le spalle. “Non posso dirlo. Se potessi lo direi, ma non posso.”
Ricordo un commento di un suo allievo dopo la lezione: “Ci sarebbe dovuto stare anche Vladimir, su uno di quei due aeri a New York”. I ragazzi scherzano spesso sul fatto che quando Vasiliev viaggia in aereo, bisognerebbe farlo sapere agli altri passeggeri. Però non è che scherzino e basta. “Per me sarebbe molto meglio, saprei cosa fare” dice, ma senza alcuna traccia di machismo alla John Waine. “I terroristi non sono quasi mai soli. Bisogna individuare il capo. Infatti il leader sarà il più calmo fra dio loro, e questo rivela subito chi è il più pericoloso. A quel punto, agisci”.
Vasiliev si è trovato per puro caso a fare questo lavoro,. Mentre si allenava presso un centro di aggregazione della comunità russa nella sua adottiva Toronto, dimostrò un paio di mosse a un amico, attirando anche altri amici e già qualche allievo, ai quali insegnava nello spazio della sua casa. Nel 1993, aprì la sua scuola, la prima del nord America in cui si praticasse l’arte marziale russa. Nel giro di sei mesi la sua palestra ha visto allenarsi più di 100 allievi, facendogli recuperare l’investimento iniziale di 10.000 dollari. Nel 1996 ha prodotto il suo primo video didattico, Knife Defense, di cui afferma che contiene “oltre 35 tecniche uniche ed efficaci per difendersi da QUALSIASI tipo di attacco col coltello. Nominato dalla European Knife Fighting Association come il miglior video dell’anno, include una spiegazione passo dopo passo su come difendersi da qualsiasi cosa, da mazze da baseball a nunchaku e spade ninja, oltre ovviamente a coltelli tascabili, da caccia, da macellaio e da lancio. (Il combattimento col coltello è una specialità degli Spetsnaz. Il coltello era un simbolo di onore, nell’antica Russia. I soldati vengono addestrati a lanciare due coltelli alla volta colpendo due bersagli diversi, usare una pala come un’ascia, e sputare delle lamette negli occhi del nemico). Da allora, Vasiliev ha prodotto 13 video, da Defence Inside a Car (nel caso di aggressione dal sedile posteriore o rapina/sequestro) fino a Improvised Weapons, nel quale usa una cintura per disarmare un aggressore e i denti di un pettine come una lama.
Sono venduti sul sito della scuola, insieme ad altro merchandise come magliette, spille e mostrine dello Spetsnaz e coltelli da allenamento in metallo smussato. Anche se la loro produzione costa poco (spesso si tratta solo di Vasiliev e di altri allievi che dimostrano le tecniche nella sua palestra davanti alla videocamera), vengono venduti fra i 39.95 e i 69.95 dollari cadauno, e le vendite sono di circa 1000 video per ogni tipo, solo entro il primo anno di pubblicazione.
Vasiliev adesso viaggia parecchie volte all’anno per tenere stage in nord America e in Europa. E’ appena tornato da un week end di lezione in New Jersey. “Addestramento per Commando; strangolamenti, come strisciare silenziosamente in una foresta, agguati, cose del genere” dice.
Organizza perfino degli stage annuali a Toronto, che vedono come insegnante Mihail Rjabko, il suo istruttore allo Spetsinstitut, la segreta struttura di addestramento di cui si sa solo che si trovi a Mosca. Addestrato dall’età di 5 anni da una delle guardie del corpo di Stalin, Mihail Rjabko è stato reclutato dagli Spetsnaz all’età di 15 anni. Attualmente è il comandante tattico del team di salvataggio ostaggi e operazioni di antiterrorismo.
E’ grazie a lui e agli altri contatti che ha all’interno dell’apparato militare che Vasiliev riceve l’autorizzazione per portare non più di 30 allievi (almeno quello che se lo possono permettere economicamente) a Mosca ogni primavera per allenarsi con operativi delle unità salvataggio ostaggi e antiterrorismo degli Spetsnaz.
Questo fine settimana da turisti-allievi, offre un addestramento uguale a quello regolare, in una base delle forze speciali. Gli allievi vengono vestiti con le uniformi regolari e addestrati con una serie di esercizi: corpo a corpo, tiro dinamico, tattiche di guerra campale e una corsa su un carrarmato. Il prezzo del corso include anche un giro turistico per i luoghi più famosi di Mosca come la Piazza Rossa, il Kremlino e il Bolshoj.
Ma torniamo nel molto meno esotico locale di Thornhill. Qui la palestra risuona di vocalizzi indefiniti di sforzo e di dolore; lo specchio che ricopre il muro è appannato. “Ricordate di respirare. Se respirate, vi sentite vivi”, ripete Vasiliev “e non lottate. Non dovete voler andare in competizione. Non centra nulla chi è il più forte”.
Molto lontano dal tipo di istruttore tutto di un pezzo, Vasiliev sembra più come il signor Miyagi di Karate Kid, che guida gli studenti con il suo esempio. Scherza quando un attacco non va a segno, li riprende benevolmente quando vede errori e si spiega meglio se vede qualche espressione incerta.
“Alcuni di voi” dice, dopo un certo esercizio “alcuni di voi…”. Fa una pausa, studiando le facce visibilmente ansiose dei suoi studenti. “Non mi sembrano in gran forma”, dice prendendoli in giro. C’è una videocamera nell’angolo a riprendere la lezione, e lui, facendo incurante un brutto muso all’obbiettivo, si mette ghignando in posa come un culturista.
Nonostante ciò, l’addestramento è estenuante, basato sulla realtà dello scontro. Non ci sono sacchi, né esercizi “ipotetici”. “In molte arti marziali, molto tempo è dedicato a imparare ad assumere delle posture irreali e movimenti classici”, dice. “Questo non prepara un allievo per uno scontro autentico”. Qui, invece, si fanno flessioni ricevendo dei calcetti nello stomaco, in petto, sulla schiena e alle gambe.
“E’ un bene abituarsi ad essere colpiti”, spiega Vasiliev. (Stranamente, i colpi mi aiutano infatti a distrarmi dal dolore alle braccia delle flessioni). A un certo punto, dopo aver provato a dare una sventola al mio compagno di allenamento, mi sono ritrovato sbattuto a terra, senza fiato. Mi alzo in piedi e vedo il logo Russian Martial Art strappato dalla mia maglietta, per terra.
Poi passiamo alle tecniche di coltello. Gli allievi meno esperti usano dei coltelli in legno, mentre quelli più avanzati una replica in metallo smussato. Poi, quando si è in grado, si passa ad usare coltelli veri. Vasiliev dice che il coltello è uno strumento per aumentare la propria accortezza. “Si può essere bravi contro i pugni, ma i pugni a volte sono ovvi. I movimenti di un coltello sono brevi, rapidi e pericolosi. Non ci si può scherzare sopra”.
La forma e le dimensioni di un coltello spesso ne determinano il tipo di attacco. Vasiliev crede anche che possano rivelare molto di chi lo usa. “Quando vedi uno con un coltello dritto e semplice, è probabile che sia un persona tutto sommato a posto e più ragionevole”, spiega nel suo Guidebook.
“Ogni deviazione da questa forma basilare”, cioè curvo, con angoli strani, troppo lungo o corto “indicano una psiche più aggressiva, più predisposta alla violenza”.
(Ovviamente, non è una colpa pensare che portare un coltello con sé sia già l’indizio di una natura aggressiva).
Vasiliev ammette che le sue lezioni possono attirare delinquenti e altri indesiderabili, ma che li scopre subito dopo un paio di lezioni e, nonostante non abbia mai rifiutato a nessuno di insegnare, gli consiglia di fare qualcos’altro. Credo che i suoi argomenti siano molto persuasivi.
Mentre mi sto riposando dopo la lezione, esaminandomi le braccia per trovare tagli o abrasioni, Vasiliev si avvicina e mi fa notare che ho bisogno di sviluppare la mia energia psichica. Mi immagino chissà cosa, ma lui intende qualcosa di più pratico.
“La gente pensa che sia una specie di trucco mentale Jedi o riguardi vedere i morti” dice ridendo, “ma si tratta di rendere la mente più chiara possibile, senza distrazioni o pensieri. Perfezionando la tecnica, arrivi a un livello in cui la tecnica non esiste più. La smetti di pensare e il corpo reagisce istantaneamente all’avversario”.
Chiamatelo l’approccio del sesto senso all’autodifesa, dove l’intuito domina. “E’ come una vibrazione, positiva o negativa, che avvertiamo quando incontriamo qualcuno per la prima volta o quando ci sembra di essere osservati”. Per insegnare ai suoi allievi sintonizzarsi meglio su questa abilità, a volte vengono bendati per tutta la lezione. Durante il suo addestramento, Vasiliev afferma di aver fatto degli esercizi analoghi nei quali si identificava il colore di alcuni foglietti solo toccandoli, e si riconosceva dell’acqua semplice da quella avvelenata senza assaggiarla.
Prima di andarmene, ho un’ultima domanda per Vladimir, una che un mio amico mi ha posto a sua volta: “Puoi insegnarmi a uccidere un uomo in tre secondi?” (tutti i membri delle forze speciali dovrebbero saperlo fare, o no?).
Ride. “La gente infatti viene qui per quello”, risponde la moglie. “A volte qualcuno viene a sfidarlo, specialmente nei seminari. Vengono per provare a vedere se riescono a sorprenderlo, colpirlo, afferrarlo, in una parola a metterlo alla prova”.
“E’ un problema” conferma Vasiliev “ma temono comunque di farsi male, quindi non è una vera sfida”.
Chiedo di nuovo: “Ma tu puoi insegnarmi a uccidere un uomo in tre secondi?”.
Smette di sorridere, fa un pausa e mi guarda negli occhi. “Ma certo, altrimenti che ti alleni a fare?”.
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