BOXE, SAMBO O LOTTA NEL FANGO…Articolo di Vladimir Vasiliev pubblicato il 4 luglio 2007
Questa cosa mi successe quando avevo 14 anni.
Sono cresciuto a Tver, una dura città industriale, 2 ore a nord di Mosca. Stavo a casa solo nel fine settimana, mentre gli altri 5 giorni frequentavo una scuola piena di orfani e ragazzi molto “duri”, provenienti da famiglie davvero disagiate. Di conseguenza, le arti marziali erano fra le cose che ci interessavano di più. Su 13 ragazzi della mia classe ben 12 facevano boxe, mentre uno praticava lotta Sambo. Ovviamente, ero molto scettico riguardo quel ragazzo, e avevo una maggior considerazione del pugilato. Usare i pugni mi sembrava molto più utile ed efficace, solo due o tre buoni colpi e vincevi (oppure potevi scappare, se non altro perché eri ancora in piedi).
Il nostro istruttore di Boxe, un atleta riconosciuto a livello nazionale, che venne nella nostra scuola ad insegnare, ci parlava a lungo “dell’importanza dell’esperienza reale”, quindi noi provavamo a far lavorare i nostri pugni ogni volta fosse possibile. I suoi metodi didattici si basavano sulla sua taglia e massa (poco meno di due metri per più di 110 kili). Per noi, giovani entusiasti, lui era come un gigante capace di mettere KO un cavallo. Provavamo a copiare il suo modo di combattere tipico da peso massimo europeo, cioè piazzato, compatto e dai pugni potentissimi. L’unico problema era che eravamo tutti magri e agili, e provavamo a combattere come se fossimo grandi e massicci. Deve essere stato molto divertente guardarci. Me ne accorsi dopo, durante le mie prime competizioni, quando vidi altri pugili, e rimasi sorpreso dai tanti altri modi di combattere.
Gli scontri da strada erano una cosa molto frequente; erano veloci, spesso cruenti e coinvolgevano molta gente. Specialmente al suolo, non ho mai visto una presa o uno strangolamento applicati con pulizia esecutiva. Tutte le mosse di lotta erano mischiate con pugni e calci, compreso l’uso di armi varie come pietre, bastoni e catene. Dato che eravamo giovani, gli scontri non duravano più di un minuto, fino a che il primo che gridava “La polizia!” non ci faceva scappare via di lì il più velocemente possibile. Chi veniva acciuffato sul luogo dello scontro veniva inesorabilmente rimproverato e arrestato. Inoltre, andarsene da lì con gli abiti strappati, sporchi e sanguinanti, avrebbe significato la stessa cosa. Perciò, le tattiche pugilistiche erano le preferite; un forte e potente pugno che risolveva subito la discussione era quindi il nostro obbiettivo e pezzo di bravura.
C’era una barzelletta, in cui uno chiedeva a un pugile come fosse stato il suo incontro. Il pugile rispose ”Se non avessero spento la luce, avrei distrutto il mio avversario..”
A me questo sembrava la prova di quanto magnifico doveva essere un pugno: la persona non avrebbe dovuto neanche accorgersi di essere andata KO.
Detto questo, mi piacerebbe raccontarvi una mia esperienza che credo notevole per il totale miscuglio di arti marziali, tempo inclemente, differenza di età e taglia e coinvolgimento emotivo. Un giorno, mentre stavo a casa, notai che un mio caro amico del mio condominio aveva un sacco di graffi e ferite. Quando gli chiesi il perché, mi disse che il suo patrigno si era ubriacato e aveva picchiato sua madre, e quando cercò di proteggerla venne picchiato anche lui. Questo mi fece arrabbiare tantissimo, e quindi decisi di sistemare immediatamente la questione.
Devo confessarvi che a quell’età ero davvero piccolo, pesavo circa 50 kili, mentre il suo patrigno aveva circa 40 anni e pesava quasi cento kili. La cosa avvenne a fianco del nostro palazzo, vicino una staccionata. Era autunno, sera tardi, molto scuro, con della pioggia leggera e densa. C’era una piattaforma di cemento per pattinare sul ghiaccio, che era molto sporca e fangosa.
Il patrigno, grosso, brutale e ubriaco, come un mostro arrabbiato, stava camminando sul fango, quando spavaldamente emersi di fronte a lui…
Pieno di indignazione, mi mossi verso di lui gridandogli perché mai avesse fatto una cosa simile, e di non farlo mai più. Mi guardò con stupore. La sua rabbia stava crescendo di pari passo con la sua mano che si alzava, forse per colpirmi o per spingermi via. Il mio anno di pratica della boxe non era stato vano, le parole del mio istruttore mi echeggiavano nella testa: “con la tua taglia e la tua velocità…colpisci per primo!”. E io gli abbattei sulla mascella un potente gancio… infatti lui cadde subito in ginocchio, e io mi meravigliai compiaciuto della mia potenza. Un attimo dopo, mi resi conto che se era caduto, era perché era ubriaco ed era scivolato sul fango. Non era l’unico ad essere scivolato: stavo cadendo anch’io, di fianco a lui. Si rimise in piedi e tentò di tenermi giù. Fu allora che mi pentii del mio scetticismo sulla lotta e la mia totale assenza di pratica nel combattimento a terra. Incredibilmente, trovai alcune “zone vuote” dove la sua pressione era meno forte, e vi scivolai attraverso, sul fango. Mentre era ancora carponi, gli diedi un calcio. Mi afferrò la gamba e senza sforzo mi fece scivolare giù. La paura della morte mista alla voglia di vivere diedero un bel contributo alla velocità con la quale mi rimisi in piedi. Sovrastandolo, lo colpii ancora. Cadde. Ancora una volta non fu per via della potenza del mio colpo, ma perché era ubriaco e il terreno era molto scivoloso.
A quel punto fui in grado di dargli un calcio, il più forte possibile. (Ora so bene che calciare in preda alle emozioni non è una cosa saggia, in un combattimento, infatti devi sempre calcolare la tua forza in base alla situazione). Allora non lo sapevo, e il mio calcio mi fece scivolare e atterrare di piatto con la schiena. Lo avevo colpito nelle costole, di sicuro molto dolorosamente, perché la sua intenzione di uccidermi si trasformò in una rabbia totale. Come feci per alzarmi, afferrò la parte superiore del mio maglione come un animale impazzito. Potevo vederlo dalla sua faccia che stava per finirmi lì per lì, e questo mi fece fare qualcosa di insolito…
La sua stretta era così potente, la sua faccia così furiosa e io ero così disperato che scivolai fuori dal mio maglione come un serpente abbandona la pelle. Scivolai ancor prima di sentire le sue mani su di me. E fu così che mi salvai…
Sentimmo entrambi il classico grido “Chiamate la polizia!!!”. La moglie dell’uomo era lì. Ovviamente, quando la polizia fosse arrivata, lei avrebbe testimoniato totalmente contro di me. Così, mentre lui si fermò per un istante, scappai via come mai avevo fatto, concludendo lo scontro come al solito. Non avevo neanche la maglietta sotto quel maglione, ed ero sporco di fango dalla testa ai piedi, quindi dovevo pure evitare le aree più illuminate, per tornare a casa.
Per tutto il tempo mi meravigliavo del perché il mio amico, che era lì, non fosse corso in mio aiuto. Dopo mi resi conto che l’intera battaglia non era durata più di trenta secondi. Un’altra cosa che mi aveva scosso era la perdita del maglione. Ne avevo così pochi che perderne solo uno era per me davvero un grosso problema.
Per le settimane e i mesi seguenti, quest’uomo continuò a cercare di spararmi con il suo fucile da caccia, ma questa è un’altra storia.
Fu davvero uno scontro memorabile, per me. Avendo avuto molta abilità nelle risse da strada, fino a quel punto, questo combattimento mi fece guardare le cose in maniera diversa. Affrontai qualcosa di nuovo, un uomo più grande di me, con diversa forza, tecnica, psicologia e “completezza”. Questo mi diede un sacco di domande in seguito. Nessuna delle arti da combattimento che ho visto negli anni a venire mi ha dato delle risposte esaurienti. Solo dopo che ebbi praticato il Systema per un po’, capii la chiave per il successo: stare calmo, rendersi conto del fatto che ogni singola situazione dà diverse opzioni di reazione, movimento continuo, muovere il corpo senza l’aiuto di braccia e gambe, e l’inutilità di tentare di sopraffare un avversario più grande, pesante ed esperto. Ci vidi anche un errore comune in molti scontri: quando la gente si fissa con gli abiti, e cerca invano di strapparli dalla stretta dell’avversario.
In più, molte altre volte ho notato come l’assumere una posizione per preparare un colpo renda visibili, afferrabili e quindi vulnerabili. Ho notato come negli alterchi, se prendi l’impegno di aiutare un amico, lui possa anche non sentirsi obbligato a ricambiare, quindi è meglio avere degli amici da entrambe le parti. E infine, mentre la cosa essenziale della sopravvivenza sia non soccombere alla paura, ho scoperto che c’è un tipo di paura “emotivamente coraggiosa” che ci fa muovere agevolmente, e quindi sopravvivere, anche se non ci dà propriamente tutto il controllo che possiamo invece ottenere allenandoci nel Systema. Statemi bene!
Link all’articolo originale:
http://www.russianmartialart.com/main.php?page=article_info&articles_id=18&language_id=1&osCsid=f21148617bce1676387e87c493a47972