L'intenzione nella pratica marziale

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L'intenzione nella pratica marziale
« on: October 04, 2010, 09:36:59 am »
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Questo pezzo tratto da "I tre poteri segreti del taiji Quan, corpo mente ed energia" del Maestro Flavio Daniele, esplica chiaramente cosa io penso dell'utilizzo dell'intenzione nella pratica marziale! Se avete altri pezzi di libri che parlano dell'argomento vi sarei grato se li postasse! A voi la parola!  :)

YI NIAN - attenzione, volontà cosciente, intenzione
L'attività della mente non si ferma mai, l'uomo normale è continuamente coinvolto in un dialogo interiore senza sosta,  che impedisce la calma ed agita i pensieri come il vento le acque di un lago. I maestri paragonano questo stato ad una scimmia ubriaca che si agita incessantemente, e il pensiero ad un cavallo che scalpita irrequieto.
La quiete del pensiero cosciente, che presiede all'equilibrio di tutte le attività dell'organismo, è la condizione minima indispensabile per avviare il processo di pacificazione (Jing) della mente (Yi). Yi Jing è il nome dello stato della mente pacificata, da cui sgorga un pensiero puro e trasparente come acqua di sorgente.

"Come giù nell'acqua limpida si vedono la sabbia, la ghiaia ed il colore diverso delle pietruzze, soltanto a cagione della sua trasparenza. Chi cerca la via della salvezza, bisogna che abbia la mente  in egual modo limpidissima."
   ( P. F. Ronconi " Le Vie del Buddhismo", ediz. Basaia ).

Lo strumento principale dell’Yi Jing è l'attenzione, strettamente legata alla capacità di concentrazione, che a sua volta, altro non è che la focalizzazione volontaria dell'attenzione. Pacificazione, attenzione, concentrazione e intenzione, sono fortemente correlate in una specie di "circolo virtuoso"   che si autoalimenta. Ci sono molti modi per entrare nel "flusso", di sicuro la capacità di focalizzarsi in maniera esclusiva ed intenzionale su quello che si sta facendo, in uno stato di profonda concentrazione ne rappresenta l'essenza.

"Attento come un gatto che punta un topo". Questa immagine, spesso abusata, sintetizza in maniera esemplare, nell'immaginario collettivo, l'archetipo della perfetta attenzione. Ma l'attenzione di cui parliamo nel contesto del presente lavoro è di ordine diverso ed è peculiare dell'essere umano. Essa è nello stesso tempo una delle capacità più elevate e meno sviluppate che possediamo: l'attenzione cosciente. Pochi sono coloro che hanno sviluppato questa attenzione volontaria, la maggior parte, l'hanno vissuta sporadicamente in situazioni fortuite, ma non ne possiedono il minimo controllo. Vediamo, quindi, di chiarire la differenza sostanziale che intercorre fra l'attenzione istintuale  di un gatto  affamato e l'attenzione cosciente  dell'essere umano. Il gatto non ha possibilità di scelta, l'istinto della fame lo obbliga alla concentrazione totale di tutte le sue energie sul cibo-topo. Tutti gli animali hanno queste risposte coatte e reattive sotto l'impulso degli istinti fondamentali. Anche gli esseri umani sono soggetti a questi stessi istinti che condizionano il comportamento e impongono una attenzione intensa in determinate situazioni: pericoli di vita, forte eccitazione sessuale ecc. Sono situazioni molto particolari che hanno un gusto particolare, come certe rare spezie dal sapore intenso ed eccitante. Escludendo queste rare situazioni che polarizzano automaticamente e istantaneamente la nostra attenzione, la vita di tutti i giorni sembra immersa in una specie di brodo esistenziale senza gusto. Probabilmente, è la ricerca di questo gusto forte e il bisogno di ritrovare quell'unità interiore perduta, non più necessaria nelle condizioni di vita troppo confortevoli della nostra civiltà tecnologica, che porta molte persone a praticare alcuni sport particolarmente pericolosi. Questo tipo di attenzione non cosciente, non è il risultato di una scelta, si produce spontaneo quando per un caso fortuito, le condizioni interne (istinti, bisogni, desideri) e quelle esterne coincidono.
La vera attenzione, al contrario, nasce dalla scelta consapevole di orientare e focalizzare l'intento o volontà della mente nella direzione scelta, indipendentemente da qualsiasi necessità o condizione esterna.
Questa capacità di astrazione, propria dell’uomo, che abbiamo chiamato attenzione cosciente, opportunamente sviluppata è la condizione indispensabile per una reale crescita interiore. Solo grazie ad essa possiamo staccarci dalle situazioni contingenti e volgere all'interno il nostro sguardo per attivare le enormi potenzialità interiori.

Ecco cosa dice il Buddha a proposito dell'attenzione:
      "L'attenzione conduce all'immortalità, la disattenzione alla morte; gli attenti non muoiono mai, i disattenti sono come morti".  E più avanti: " Praticano la  disattenzione gli uomini stolti e senza discernimento; ma l'intelligente custodisce l'attenzione, al pari del tesoro più prezioso. "
 ( "Le Vie del Buddhismo" di Pio Filippani Ronconi - ediz. Basaia )

A queste due qualità dell'attenzione (l'istintiva,  che negli uomini e negli animali nasce dal gioco degli istinti, e la cosciente, tipica dell'essere umano, sganciata dalla circostanze e poco sviluppata) corrispondono due qualità della volontà, quella che nasce dalle pulsioni istintuali e dai nostri bisogni elementari, e quella di ordine superiore, frutto del loro controllo e superamento. La prima, molto spesso, nasce dalla paura e dal conseguente bisogno di potere, che ci porta ad accumulare beni materiali d’ogni tipo per colmare quel senso di vuoto esistenziale che ci attanaglia, nonostante che le condizioni esterne siano quanto di più confortante e rassicurante ci possa essere; la seconda,  invece, frutto di uno sforzo cosciente di una personalità matura e consapevole, in grado di dare un senso alla propria vita sia in termini materiali sia di progresso interiore, è quella che viene chiamata  intento o volontà della mente 

         Un attenzione forte è frutto di un intento  inflessibile .

Chi, dopo anni di pratica, non ha raggiunto dei risultati apprezzabili, può doverlo anche alla mancanza di attenzione e volontà: senza di esse non si sviluppa  la percezione della propria energia interna (Qi). Molti sono i praticanti che, pur seguendo la disciplina con amore e diligenza, non avendo sviluppato la consapevolezza interiore non fanno progressi //, perché non riescono a decodificare i messaggi  del corpo e sono ingannati dalle loro stesse sensazioni.
All'inizio è importante concentrarsi sulle forme da imparare per eseguire correttamente i movimenti, con la pratica la loro esecuzione diventa più semplice, i movimenti fisici meno impegnativi e di fatto possono essere fatti in maniera automatica, senza la necessità di uno sforzo cosciente. Spesso a questo punto, la pratica diviene ‘routine’ meccanica e lo sviluppo risulta compromesso, perché non si presta sufficiente attenzione  a quello che si fa, esternamente sembra Taiji, in realtà è un guscio vuoto. Al contrario, la pratica, necessita di una ricerca esperienziale attiva e concreta fino al limite dell'identificazione, che inizia con la focalizzazione del pensiero cosciente sugli aspetti più esterni (movimenti parassiti, tensioni muscolari, blocchi energetici ecc.) e che procede per stadi successivi, fino alla presa di coscienza di qualunque fenomeno possa emergere, sia esso fisico, emozionale o mentale. Chi pratica deve essere ben cosciente di ciò che gli accade senza distrarsi mai, con vigile attenzione deve essere in grado di percepire i mutamenti e le trasformazioni che avvengono all'interno del suo corpo: solo così diventa padrone di sé stesso ed è quindi in grado di orientare la sua mente, in modo che possa guidare, in maniera consapevole, tutto il processo di sviluppo. 
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Offline Yuen-Ming

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #1 on: October 04, 2010, 10:19:53 am »
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L'attività della mente non si ferma mai, l'uomo normale è continuamente coinvolto in un dialogo interiore senza sosta,  che impedisce la calma ed agita i pensieri come il vento le acque di un lago. I maestri paragonano questo stato ad una scimmia ubriaca che si agita incessantemente, e il pensiero ad un cavallo che scalpita irrequieto.

Se posso, la citazione corretta sarebbe 心猿意馬 'la scimmia/cuore, il cavallo/mente'.
Il proverbio si riferisce al fatto che il cuore, sede delle emozioni e del desiderio, non sta mai fermo come una scimmia e la mente, con i suoi pensieri, corre continuamente come un cavallo

YM

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Offline XinYiMan

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #2 on: October 04, 2010, 10:23:32 am »
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L'attività della mente non si ferma mai, l'uomo normale è continuamente coinvolto in un dialogo interiore senza sosta,  che impedisce la calma ed agita i pensieri come il vento le acque di un lago. I maestri paragonano questo stato ad una scimmia ubriaca che si agita incessantemente, e il pensiero ad un cavallo che scalpita irrequieto.

Se posso, la citazione corretta sarebbe 心猿意馬 'la scimmia/cuore, il cavallo/mente'.
Il proverbio si riferisce al fatto che il cuore, sede delle emozioni e del desiderio, non sta mai fermo come una scimmia e la mente, con i suoi pensieri, corre continuamente come un cavallo

YM
Grazie per il contributo!
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lü dongbin

Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #3 on: October 04, 2010, 14:13:23 pm »
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Ecco cosa dice il Buddha a proposito dell'attenzione:
"L'attenzione conduce all'immortalità, la disattenzione alla morte; gli attenti non muoiono mai, i disattenti sono come morti".  E più avanti: " Praticano la  disattenzione gli uomini stolti e senza discernimento; ma l'intelligente custodisce l'attenzione, al pari del tesoro più prezioso. "
 ( "Le Vie del Buddhismo" di Pio Filippani Ronconi - ediz. Basaia )
Se posso specificare meglio le due frasi citate provengono dal Dhammapada, Appamāda Vagga, versi gemelli, sulla consapevolezza.
Il Verso 21 può essere tradotto così:
"La consapevolezza conduce alla vita eterna, l'inconsapevolezza alla morte. Chi si è risvegliato alla propria natura non muore, l'inconsapevole vive come già morto.21
Il passo successivo citato cioè il 26 può essere tradotto così:
L'inconsapevole agisce distrattamente. Il saggio invece custodisce la sua consapevolezza come il bene più prezioso.
http://www.dhamma.it/jsps/portal/tipitaka/dhammapada.jsp
L'uso fatto sopra mi sembra improprio.

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Offline XinYiMan

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #4 on: October 04, 2010, 16:02:02 pm »
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Vi ringrazio per le precisazioni, però visto che avete chiamato in causa la “consapevolezza” per completare il discorso vi allego la parte del libro sulla consapevolezza e sulle altre qualità di base della mente in modo da dare più ampio spazio alla discussione visto che tanti leggono ma pochi rispondono.



Consapevolezza     
La consapevolezza è comunemente intesa come "essere coscienti di ...", ma in realtà è qualcosa di più complesso che presuppone anche un vero e proprio processo di conoscenza.
Quindi:

“Consapevolezza come processo dinamico di conoscenza che permette di prendere coscienza di.... “.

Una conoscenza, ovvio, che non scaturisce da un sapere esclusivamente mentale, intellettuale e astratto; ma da un sapere d’ordine diverso, diretto e immediato che nasce dall'esperienza di tutto il corpo e la mente, un sapere che è pratica attiva con tutto il proprio essere.
Dopo questa definizione di carattere generale, passiamo a precisare i contenuti di diversi tipi di consapevolezza che, pur avendo identica funzionalità, sono però differenti nel centro focale, agendo a diversi livelli di sviluppo. Abbiamo così la consapevolezza della forma corporea (Xing), dell'energia vitale (Qi) e della mente-cuore (Xin).
La suddivisione, data la loro naturale interdipendenza, è solo formale, non sostanziale: ogni problema inerente ad ognuna di esse, come pure ogni cosciente miglioramento, ha ripercussione sulle altre.

La consapevolezza corporea, che è il punto di partenza che apre la strada alle altre due, possiamo definirla come “la conoscenza di sé stessi attraverso il corpo”.

Conoscenza che prende l'avvio dall'immagine soggettiva che ognuno ha del proprio corpo, che si sviluppa per mezzo della percezione del proprio organismo dall'interno, sia per quanto riguarda la sua forma o struttura corporea  (Xing), sia per quanto riguarda le posizioni o posture (Shi) che può assumere nello spazio. Per comprendere meglio come avviene il processo di percezione che ci permette di costruire l'immagine del nostro corpo è opportuno introdurre il concetto di quello che in fisiologia è chiamato, analogamente ai cinque sensi, senso propriocettivo.
Dal punto di vista anatomico è presente in una forma molto ramificata in tutto l'organismo. I suoi recettori, definiti propriocettori, sono situati  in tutti i muscoli, tendini, legamenti e articolazioni dell'apparato motorio. Possedendo un livello molto alto di specificità informativa, i propriocettori ci forniscono le informazioni sulla postura del corpo.
Questa capacità sensoriale, che si aggiunge agli altri cinque sensi, la possiamo sinteticamente definire il “senso della percezione interiore di sé”, perché registrando ogni cambiamento posturale, ci permette di prendere coscienza di noi stessi. A rigor di termini è un senso cinestetico, in grado, quindi, di percepire le sensazioni provocate dal movimento (dal greco kinein, “muovere” e aisthetikòs, capace di sentire). Le informazioni cinestetiche sono la fonte più importante delle componenti spaziali e temporali della percezione umana: attraverso di esse, non solo prendiamo coscienza del nostro corpo, ma interagiamo con l'ambiente circostante. Da ciò si deduce che lo sviluppo della consapevolezza corporea non è un processo statico ma qualcosa che dinamicamente si costruisce, si struttura e si destruttura nel continuo rapporto con il mondo.
Operativamente, il praticante deve essere attento ad ogni movimento e posizione del corpo, deve affinare sempre di più la sua capacità di percezione delle variazioni toniche dei muscoli raffinando oltre misura la sensibilità cinestetica per sentire quali parti troppo tese devono essere rilassate,  e quali troppo deboli, invece, devono essere rinforzate; deve, quindi, rendere il suo corpo “intelligente” e “vivo”, deve essere in grado di differenziare la parte destra dalla sinistra, l'alta dalla bassa, l'anteriore dalla posteriore, il centro dalla periferia.

Dalla differenziazione delle varie parti strutturali deve essere in grado di passare all'integrazione, armonizzando la destra con la sinistra, l'alta con la bassa... e così di seguito in un processo di apprendimento sempre più sottile e raffinato in grado di ristabilire l'equilibrio dinamico di tutta la struttura corporea in maniera efficace ed economica. 

Differenziazione e integrazione sono le facce yin e yang di un unico processo che ci permette di capire la giusta ripartizione gerarchica e funzionale delle componenti fondamentali del nostro sistema psicofisico. Per esempio, capire che la parte anteriore del corpo, con le sue ampie zone ricettive è Yin, mentre la posteriore, con le sue zone a predominanza tonica è Yang, è fondamentale per non commettere errori che possono inficiare il lavoro di anni. Infatti il dorso, che con la sua solidità garantisce stabilità ed erezione alla colonna vertebrale, è complementare alla necessaria flessibilità della parte anteriore. Invertire questi ruoli solidificando, come avviene nelle palestre di body building, la parte anteriore con degli esercizi che sviluppano in maniera eccessiva le fasce muscolari locali, significa non solo alterare la giusta gerarchia funzionale, ma ignorare dove risiede la vera forza.
Altra fondamentale ripartizione funzionale è quella tra centro e periferia del corpo, e quindi tra forza centralizzata e periferica. E' dai potenti muscoli del centro che partono gli impulsi motori in una struttura efficiente ed armonizzata. La presa di coscienza di queste gerarchie funzionali ci permette di compiere correttamente qualsiasi azione sia nella vita quotidiana sia durante l'esecuzione di una tecnica marziale.
Senza sviluppo cosciente della consapevolezza corporea non c'è progresso nella pratica, perché non creandosi la fusione armonica  tra Yi (pensiero cosciente), Xing (forma corporea) e Qi (energia interna) manca il giusto modo di agire. Lo sviluppo della consapevolezza, è opportuno sottolinearlo, non significa semplicemente una vaga sensazione di stare bene nella propria pelle, ma è una reale sensazione di forza e vigore interno, che può con gli opportuni esercizi essere trasformata in forza fisica (Qi Sheng Jin).

Infine, la consapevolezza della mente-cuore, è la presa di coscienza dei propri processi mentali e delle proprie emozioni; è una attenzione continua  ai propri stati interiori,  che sviluppa la capacità introspettiva della mente di osservare sé stessa, la sua esperienza e le sue emozioni.


Intuizione (Le cinque qualità della mente)             

"Il Pensiero di una Mente Pura è Pura Intuizione"


Quando la mente è libera dai pensieri che la distraggono, i sensi funzionano in maniera chiara e finalizzata.
Quando la mente è chiara e trasparente come le limpide acque di un lago di montagna, allora riflette tutto quello che le sta attorno.

Questa capacità di una mente pacificata di entrare in risonanza con l'ambiente circostante, cogliendone le sottili sfumature, costituisce la base per lo sviluppo di un'altra caratteristica fondamentale: l'intuizione.

L'intuizione appartiene al regno dello spirito, e come lo spirito non può essere allenata direttamente, è un frutto che sorge spontaneo quando tutte le condizioni giuste coincidono. Come un contadino non lavora sul frutto, ma sul terreno e sulla pianta, così per sviluppare l'intuizione bisogna lavorare sul rilassamento e sulla pace interiore. Il contadino sa per esperienza che per ottenere dei buoni risultati non deve forzare la natura, ma deve seguirla e aiutarla  nel suo compito. Non può tirare il grano per farlo crescere più in fretta, ma deve avere un’infinita pazienza per farlo giungere a maturazione. Sa che non è  lui a cagionarla, ma è ben conscio degli sforzi quotidiani che deve compiere affinché la natura svolga al meglio la sua azione. Analogamente si deve comportare il praticante. Ogni tensione fisica o emotiva allontana l'obiettivo: andare oltre per eccesso di tensione è lo stesso che rimanere indietro, in ambedue i casi non si coglie il bersaglio. Bisogna liberarsi di ogni tensione e portare l'attenzione sui giusti mezzi e sul giusto modo di fare; solo allora si svilupperà quella tranquillità che assicura l'efficacia dello sforzo, e un bel giorno l'obiettivo sarà raggiunto in modo del tutto spontaneo. Sarà come cogliere un frutto maturo, un premio naturale prodotto dall'unione armonica delle cinque qualità della mente (Volontà, Attenzione, Concentrazione, Coscienza, Consapevolezza ), che sono, metaforicamente, come le dita di una mano che agendo assieme staccano il frutto maturo dall'albero.


Così come il pollice è il dito più importante della mano, ed è quello più in grado d’interagire con tutte le altre dita, analogamente la volontà è la qualità fondamentale della mente e rappresenta il terreno di coltura su cui crescono possono svilupparsi tutte le altre: dalla volontà si sviluppa l’attenzione, e quando si è “volontariamente attenti“ si sviluppa la concentrazione. Quando si è in grado di “concentrarsi volontariamente” sui propri stati interiori senza interruzioni per il tempo che si desidera, allora si sviluppa un'introspezione così costante da fare emergere uno stato di coscienza più profondo, che produce una nuova dimensione di esperienza personale in perfetta armonia con la nostra fonte più vera.
Quando questo avviene la mente si apre ad una conoscenza d’ordine superiore che sviluppa la vera consapevolezza. La fusione armonica di queste cinque qualità della mente apre le porte della pura intuizione e lo Yi evolve nello Shen.


"Il Pensiero di una Mente Pura è Pura Intuizione"
 "La Pura Intuizione  è Pura Percezione" 
"La Pura Percezione è Pura Sensibilità" 


Sviluppare la sensibilità richiede un particolare lavoro sia sul corpo sia sulla mente: come una sensibilissima bilancia dobbiamo essere in grado di percepire le differenze e le variazioni toniche dei nostri muscoli e dei nostri stati emotivi; senza questa abilità non c'è apprendimento, né evoluzione nella capacità di apprendere. Rigidità ed eccessivo uso della forza tolgono sensibilità, mentre, al contrario sensibilità e leggerezza affinano la percezione, cosicché anche una piuma che sfiora il corpo possa essere avvertita. Tutto il corpo, e in particolare braccia e gambe, devono diventare come degli acuti sensori che tengono sotto controllo l'ambiente circostante e l'avversario, così sensibili da cogliere ogni minima variazione, per potere adeguare ogni azione a quella avversaria.
Se non si sviluppa la sensibilità, allora bisogna imparare ad essere veloci fisicamente per essere in grado di parare o schivare un eventuale attacco. Se invece si ha la piena  percezione dei movimenti dell’avversario, lo si può precedere anche con un movimento “relativamente lento”. Molto spesso, le tecniche più spettacolari nascondono, nella rapidità del gesto, una scarsa percezione.

I veri maestri non sono mai spettacolari, la loro azione è sempre perfettamente calibrata, poco o niente traspare all'esterno, fuori sembra lento, dentro è veloce come il fulmine.
"Chi è lento nello spirito deve essere veloce con il corpo"
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Offline Cobra75

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #5 on: October 04, 2010, 16:30:26 pm »
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A parte l'ennesima pubblicita' al Gran Maestro della Tartaruga ("DragonBall" n.d.r.), devo dire che l'intenzione e' tutto.
L'Yi Quan si basa sull'intenzione, oltre che sui principi presi dalle 3 arti marziali interne per eccellenza (Bagua Zhang,Taiji Quan,Xing Yi Quan).

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Iperbole

Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #6 on: October 04, 2010, 16:55:12 pm »
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A parte l'ennesima pubblicita' al Gran Maestro della Tartaruga ...

 XD

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Offline XinYiMan

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #7 on: October 04, 2010, 17:20:27 pm »
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Non è pubblicità, semplicemente se scrivo io delle pappardelle i miei colleghi si accorgono che non stò lavorando ma stò chattando! Siccome ho tramite un OCR riportato alcuni testi da formato cartaceo a digitale faccio dei copia incolla di quei pezzi che poi spiegano bene quello che coincide con il mio pensiero! Se mi metto a scrivere tanto per dare una risposta i miei colleghi capiscono che chatto e non lavoro! Quindi al posto di fare commenti inutili, magari qualcosa di più costruttivo del "l'intenzione è tutto" sarebbe più costruttivo!
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Iperbole

Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #8 on: October 04, 2010, 19:09:30 pm »
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Quindi al posto di fare commenti inutili, magari qualcosa di più costruttivo del "l'intenzione è tutto" sarebbe più costruttivo!

... e fattela na risata !   ;)

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Offline Cobra75

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #9 on: October 04, 2010, 23:28:44 pm »
0
Quindi al posto di fare commenti inutili, magari qualcosa di più costruttivo del "l'intenzione è tutto" sarebbe più costruttivo!

... e fattela na risata !   ;)

Bravo Iperbole...

XinYiMan...almeno non faccio dei "copia-incolla"...se poi vogliamo parlare di "intenzione" decidiamo solo su che terreno:

- pub davanti ad una birra
- palestra facendo tui shou

 ;)


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Offline XinYiMan

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #10 on: October 05, 2010, 07:37:01 am »
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Quindi al posto di fare commenti inutili, magari qualcosa di più costruttivo del "l'intenzione è tutto" sarebbe più costruttivo!

... e fattela na risata !   ;)

Bravo Iperbole...

XinYiMan...almeno non faccio dei "copia-incolla"...se poi vogliamo parlare di "intenzione" decidiamo solo su che terreno:

- pub davanti ad una birra
- palestra facendo tui shou

 ;)

Bhe io ti avevo già invitato in passato ad allenarti una volta con me, non mi hai mai risposto, però un po di allenamento insieme non mi dispiacerebbe!
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Offline XinYiMan

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #11 on: October 05, 2010, 14:36:19 pm »
0
Inoltre parlare dei principi non è pubblicità, ma comprensione di una pratica corretta!  :)

Quindi al posto di fare commenti inutili, magari qualcosa di più costruttivo del "l'intenzione è tutto" sarebbe più costruttivo!

... e fattela na risata !   ;)
Ma la risata si fa se uno mette la faccina e dimostra che voleva scherzare e non essere offensivo in maniera velata!
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Offline Cobra75

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #12 on: October 05, 2010, 23:16:51 pm »
0
Inoltre parlare dei principi non è pubblicità, ma comprensione di una pratica corretta!  :)

Quindi al posto di fare commenti inutili, magari qualcosa di più costruttivo del "l'intenzione è tutto" sarebbe più costruttivo!

... e fattela na risata !   ;)
Ma la risata si fa se uno mette la faccina e dimostra che voleva scherzare e non essere offensivo in maniera velata!

Parlare di principi ok, ma puoi anche parlare di principi senza dire "nel 2° libro della genesi del Gran Maestro della Tartaruga si enuncia che...".
Si era gia' fatto un discorso sul NON fare pubblicita' ai propri maestri, ma tanto qui si prendon sempre fischi per fiaschi...

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Offline XinYiMan

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Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #13 on: October 06, 2010, 07:47:04 am »
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Certo e così un eventuale lettore occasionale pensa che quella è tutta farina del mio sacco. In altre sedi ho menzionato pezzi del libro di Sun Lu Tang e ho menzionato il nome, ma a tutti è andato bene! Perchè invece se è del mio Maestro no!?  :(
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lü dongbin

Re: L'intenzione nella pratica marziale
« Reply #14 on: October 06, 2010, 09:20:59 am »
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Certo e così un eventuale lettore occasionale pensa che quella è tutta farina del mio sacco. In altre sedi ho menzionato pezzi del libro di Sun Lu Tang e ho menzionato il nome, ma a tutti è andato bene! Perchè invece se è del mio Maestro no!? 
Personalmente ritengo corretto menzionare lo scrittore. Mi da il vantaggio di risparmiare eventuali soldi in stage, se capisco che non è in linea con il mio pensiero.
Però permettimi di avere la convinzione che quello che ha scritto SLT abbia altra caratura storico/pratica di ciò che oggi scrive FD.
Parere personale, chiaramente.