Spesso e volentieri quando si parla di difesa personale il rischio di veder crearsi una grande confusione è molto alto.
Sia che si parli di una disciplina o di una semplice esigenza individuale, la tendenza è quella di fare un bel minestrone in cui si sovrappongono piani che andrebbero tenuti separati e di peccare di cecità, in questo caso, ahinoi, spesso per incapacità, o mancanza di volontà, di guardare più in là del proprio orto.
Ciò detto, è spesso imbarazzante notare come ci sia spesso ancora poca chiarezza su cosa sia una situazione di DP (premetto che nn farò alcun riferimento a valutazioni psicologiche individuali sia perchè la situazione è varia sia perchè nn mi arrogo tale presunzione): una situazione di DP, lo ripetiamo, è qualsiasi situazione in cui sia seriamente e concretamente a rischio la nostra incolumità fisica o quella di una persona a noi cara, situazione tale per cui ogni nostro comportamento prima ancora che giustificato è immediato.
E' ovvio, ma giova ripeterlo, che la rigidità della definizione della situazione di DP e l'associare il termine "rischio" alla eventualità del decesso o di grossi e gravi danni, esclude categoricamente reazioni da Rambo per azioni banalmente risolvibili.
Nell'ambito della casistica delle situazioni considerbaili come DP è possibile tracciare una sorta di filo conduttore che nn solo lega ambiti diversi fra di loro ma che rappresenta anche una sorta di guida elementare per chiunque sia interessato all'argomento.
A riguardo possiamo individuare 3 macroaree definibili come "capacità" necessarie.
CAPACITA' DI PREVENZIONELa prima delle capacità è quella se vogliamo più banale, ossia un pericolo, o un rischio, nn è tale se siamo in grado di prevenirlo o di evitare di correrlo.
Ma già da questo periodo è agevole accorgersi di come banalità nn sempre si sposi con semplicità, soprattutto in campi dove entrano in gioco elementi "pericolosissimi" come l'ego individuale o il cd "contesto sociale".
A ciò si aggiunga che il concetto di prevenzione è spesso lo scudo dietro a cui si nasconde chi ha una concezione eccessivamente semplicistica di determinate situazioni o ancor più spesso è un concetto sbandierato da chi cerca di nascondere la propria inadeguatezza a un determinato modus operandi.
Prevenire un pericolo implica innanzitutto la capacità di riconoscere un pericolo e di sapere anche elaborare l'evoluzione che una situazione apparentemente innocua possa avere.
Per fare ciò il primo grande aiuto viene dall'essere calati nella realtà che ci circonda: giornali, tv, internet, esperienze di vita quotidiana sono tutti elementi che concorrono a formare una adeguata capacità di prevenzione; c'è poi un ulteriore elemento di natura psicologica...quello che per i detrattori coinciderebbe con la paranoia, ma che per esperienza personale è qualcosa di molto simile, se nn addirittura coincidente, con l'atteggiamento di qualsiasi assennato padre di famiglia (o madre per par condicio) quando è fuori con i figli.
Tutto questo nn può cmq essere lasciato come serie di conoscenze disgiunte all'interno del nostro cervello, chè la cosa sarebbe assolutamente deleteria al dunque, ma deve trovare una sorta di raccordo nella nostra testa fino a diventare nn dico un piccolo mantra individuale ma un elemento naturale del nostro essere.
Questo concetto è perfettamente comprensibile facendo riferimento al lavoro di Jeff Cooper, ex colonnello dell'esercito americano prestato poi al mercato della sicurezza civile, che ha eleborato un metodo per acquisire la cd consapevolezza della situazione, metodo basato su una scuola cromatica di cui cito solo quello strettamente pertinente a questa prima parte del discorso (per una visione ampia e chiara fate riferimento al sito Kali.it che ha una pagina perfettamente dedicata all'argomento e da cui copio il seguente paragrafo):
Condizione GiallaRilassati, ma consapevoli di dove siamo e cosa stiamo facendo. Se siamo in auto prestiamo attenzione a cosa fa l’auto davanti a noi e quella dietro, agli incroci prima di partire controlliamo sempre a destra e sinistra prima di attraversarlo, al parcheggio controlliamo brevemente chi c’è intorno a noi prima di salire in auto. A piedi riusciamo a districarci tra la folla senza investire nessuno. Questa dovrebbe essere la perenne condizione in cui dovremmo essere quando siamo in luoghi affollati. Non è affatto paranoia, semplicemente prestiamo limitatamente attenzione a ciò che accade intorno a noi a breve distanza.Credo che questo spazzi via ogni dubbio e renda abbastanza agevole per chiunque operare una sorta di esame di coscienza al fine di verificare che il nostro ricorrere alla "prevenzione" nn sia una parola vuota ma una vera e propria linea di condotta, ovviamente senza estremismi ed isterismi (e nn vergognatevi se siete fra quelli che nn perdono di vista la porta del ristorante...).
Questa cosa ci porta però all'elemento "ego", perchè se da un lato possiamo operare questo tipo di introspezione, dall'altro per molti di noi potrebbe essere complicato fare proprio il motto di un noto istruttore del settore che dice che "l'eroe è colui che torna a casa dai suoi integro la sera".
In soldoni la prevenzione è nulla, e nullificabile, se nn è accompagnata a un determinato modo di essere.
CAPACITA' DI ELUSIONERicorrendo alla citazione del sottovalutatissimo maestro Gump, "la merda capita"!
E'inutile prendersi in giro e illudersi, per quanto uno possa essere bravo, sveglio ed accorto, è possibile (senza condannarci ad una paranoica attesa) che un bel giorno il fato congiuri contro di noi e ci metta nel mezzo di una situazione pessima, situazione che può variare dal semplice rapportarsi con un bullo esagitato a quella di un vero e proprio crimine violento contro di noi.
Si parla a riguardo di elusione proprio per il significato etimologico di schivare qualcosa o qualcuno con astuzia, astuzia che nel nostro caso è data dal possesso della prima capacità citata.
In questo caso, dando per scontato che il nostro ego nn solo sia stato educato ma venga rinchiuso in qualche meandro del nostro cervello, assume un'importanza vitale comprendere, ove sia possibile, fino a quando sarà fattibile salvare il salvabile e quando sia, e come, necessario passare all'azione.
In caso di semplici rogne degeneranti, che cmq ahinoi più di una volta hanno visto scapparci il morto, bisogna riconoscere il punto in cui la normale escalation diventa esplosione del conflitto.
In questo caso quello che ci interessa è la fase prima del probabile scontro o quella che precede, con tempistica diversa, la messa in atto di determinati progetti criminali (al riguardo è prezioso riferimento il lavoro di Geoff Thompson sui concetti di Dialogue, Deception, Distraction e Destruction); in tale fase assume una notevole importanza il nostro modo di rapportarci alla situazione e all'individuo che abbiamo davanti: un atteggiamento calmo ma sicuro, conciliante ma nn eccessivamente remissivo, determinato ma senza dare l'impressione di essere una minaccia, è in genere l'atteggiamento fondamentale per affrontare tutte, o buona parte almeno, le peggiori
situazioni possibili, tenendo proprio a mente che le tanto vituperate tecniche di gestione di situazioni con armi da taglio o da fuoco si fondano principalmente in un fine ed intenso lavoro psicologico svolto dalla vittima, lavoro che sarebbe probabilmente inficiato da un atteggiamento diverso da quelli citati.
Per quanto riguarda la capacità di elusione, lo strumento principe a cui far ricorso è il cd "scenario training" e l'uso della regola del "what if" (cosa succede se...); da entrambe discendono anche valutazioni di natura tecnica che esamineremo più in là ma discende in primis la possibilità di visualizzare molteplici situazione e valutare la miglior opzione possibile prima ancora della nostra eventuale reazione (cosa che tra l'altro rappresenta la norma per tutti coloro che, a vario titolo intesa, si occupano di sicurezza).
In entrambi i casi la visione di determinati video e il semplice porsi domande è vitale e questa capacità, per quanto possa sembrare assurdo, può essere ulteriormente affinata facendo riferimento ai tanti film diciamo di azione che girano che, indipendentemente da alcune soluzioni più spettacolari, spesso presentano scenari che nn è assolutamente detto che nn possano capitare.
In più tale lavoro può essere fatto come semplice gioco mentale individuale: ideare una situazione e cercare di risolverla è un modo perfetto di plasmare la nostra mente.
Va da sè poi che lo "scenario training" possa, con modi più o meno differenti, essere anche riprodotto in palestra o in contesti addestrativi con altri soggetti; tale allenamento, per quanto diverso in alcuni casi dalla realtà nuda e cruda, è cmq in grado di mostrarci nn solo quale sarà la nostra reazione ma anche dove dobbiamo operare dei cambiamenti, fornendo cmq sempre a tutti ulteriori elementi di riflessione.
CAPACITA' DI FOCALIZZAZIONESia nel caso di un'aggressione violenta sia nel caso di una evidente azione criminale (i due piani spesso si sovrappongono) nei nostri confronti, la capacità di focalizzazione, pur avendo in origine identica dignità, è sicuramente la più importante delle tre capacità dal momento che rappresenta l'ultimo baluardo che ci separa da conseguenze potenzialmente nefaste.
Ricordando ancora una volta il sopracitato concetto di eroe, la capacità di focalizzazione può essere intesa come la capacità in virtù della quale, indipendentemente dalla situazione, il nostro cervello resta concentrato e settato sull'obiettivo primario di uscire il più velocemente possibile dai guai e possibilmente con il minor danno possibile (anche se in ottica di DP a mio giudizio è buona norma accettare l'idea che un quantitativo X di danno possa essere una eventualità); parafrasando una terminologia militare potremmo dire che il disimpegno è la strategia fondamentale in ogni situazione di difesa personale.
Dando per scontato che prevenzione ed elusione nn abbiano dato risultati, è lecito domandarsi come si possa ottenere un risultato del genere.
Dalla casistica è possibile delineare 3 situazioni ad hoc, di 2 di queste vedremo come siano strettamente attinenti a quello che embrionalmente potremo considerare come "allenamento" inteso nel senso della pratica di palestra; tali situazioni sono:
- Naturale corso degli eventi
- Fuga
- Eliminazione della minaccia
Il
naturale corso degli eventi è intuitivo come concetto, come a un esagitato potrebbe bastare un calcio sulla nostra portiera, una spinta convincente o anche un pugno parato per veder resettare la sua voglia di scontro così a un criminale lucido e determinato (che è quello che per assurdo converrebbe incontrare) potrebbe bastare la consegna del portafoglio o l'ottenimento di quanto richiesto per lasciarci tornare alla nostra vita.
E' assolutamente importante però tenere a mente che nel naturale corso degli eventi il nostro nn sia un ruolo meramente passivo; la nostra possibilità di condizionare l'evento varia di volta in volta, ma diventa determinante nei casi in cui con noi siano coinvolte persone "nn addestrate" e il cielo ci scampi che nn siano bambini.
In questa fase rientrano alcuni dei concetti delineati riguardo la capacità di elusione.
La
fuga è un concetto teoricamente perfetto da sè, giova però ricordare che il dire che "la miglior difesa è la fuga" rischia di diventare un altro mantra vuoto al pari di quello sulla prevenzione a cui ho fatto riferimento prima se nn ci si rende conto che la fuga va cmq costruita e resa possibile.
Senza perdersi in troppe spiegazioni, alcune delle quali cmq sono state delineate in precedenza, in ogni momento del "conflitto" il nostro cervello deve puntare al rapido allontanamento e ad una ridotta permanenza dentro di questo.
Una distrazione, una spinta...sono tutte occasioni che ci possono fornire una via di fuga che può essere rappresentata dall'infilarsi in macchina, in un locale, in un portone o dall'acquisire cmq una posizione più vantaggiosa magari anche per l'improvviso ritrovamento di strumenti che possano lavorare da "equalizzatori" oppure possiamo parlare di fuga vera e propria consistente nel darsela a gambe levate come Superman da giovane.
Da qui discende il primo concetto se vogliamo di natura tecnica ossia l'importanza dell'essere in forma ai fini di qualsiasi situazione di DP.
Sorvolando sugli elementi di stress psicofisico che inficiano la nostra "prestazione" in un contesto reale, appare evidente che il concetto dell' "essere in forma" nn possa essere inteso con i criteri del giudice di una gara di bellezza o di body building e fitness nè con la presenza di una muscolatura accentuata come alcuni atelti di sdc (muscolatura che è cmq la conseguenza di un certo tipo di lavoro e nn il fine) ma è cmq qualcosa che nn si può trattare con faciloneria.
Spesso e volentieri nei casi di aggressioni femminili che sono andate a vuoto, le persone coinvolte e uscite con successo erano tutte persone attive e abituate a fare lavorare il proprio corpo ad intensità variabili.
Questo ci consente di dire che "in forma" per la dp vuol dire intanto cercare di avere una percentuale di grasso che nn sia eccessiva: una variazione minima (si parla dell’1-2%) è in grado di migliorare sensibilmente la nostra mobilità e persino la nostra velocità, oltre a ridurre la zavorra che ci dobbiamo eventualmente portare appresso.
C’è poi un elemento più fisico rappresentato dalla abitudine del nostro corpo ad eseguire un determinato tipo di movimenti che coinvolgono insieme i gruppi muscolari maggiori; in questo caso è importante introdurre nella nostra routine di allenamento esercizi che siano funzionali a quello che potremmo dover fare ed è evidente che l’utilità di, cito a caso, un curl col manubrio nn sia minimamente paragonabile a dei piegamenti o ad esercizi che consentano di rafforzare il tronco o a quelli fatti con una resistenza operata magari da un’altra persona.
Questo dell’allenamento è ovviamente un mondo a sé che richiederebbe pagine e pagine di dissertazioni ma che fortunatamente oggi è meno avvolto dalle nebbie dell’ignoranza che per anni, colpevolmente, qualcuno ha contribuito a mantenere.
Mio personalissimo consiglio è che cercare di essere “più forti” aiuta (citius et fortius dicevano i romani).
Un ultimo elemento è dato invece dal come si fanno certe cose; partendo dal presupposto che una fase di “scontro” difficilmente supera i 10 secondi (oltre siamo già nell’ottica del combattimento) e che cmq in quella fase il nostro cuore vivrà uno stress difficilmente paragonabile ad altri tipi di stress, è buona norma inserire lavori che siano di questo tipo, per cui, sempre estremizzando, piuttosto che lavorare per 5 minuti alla medesima intensità, meglio lavorare per 5 minuti ma con alta intensità per 20-30 secondi e un recupero minimo prima di ricominciare per altri 20-30 secondi.
Ed è qui che operiamo un primo importantissimo passo verso il controllo del nostro corpo, e del dolore…., da parte della nostra testa, elemento imprescindibile per qualsiasi voglia di sopravvivenza
Su come delineare un programma di allenamento magari torneremo in futuro.
Intanto, anche qui, chiedetevi e chiediamoci se potremmo davvero fuggire.
L’eliminazione della minaccia è l’ultima delle opzioni contemplabili (il fallimento nn è un’opzione – Motto NASA) ed è quella per certi versi più attinente al macrocosmo delle AM e degli SDC, ossia quando è ora di menar le mani.
Arriva inevitabilmente, nell’evoluzione delineata, il momento in cui lo scontro è tale al 100% con noi obbligati ad avere un ruolo attivo, in questo caso la regola è una ed una soltanto: abbattere la minaccia nel minor tempo possibile e col maggior danno possibile, ovviamente nn a noi, senza se e ma.
Prima ancora di scendere nel concreto però, occorre fare riferimento a un elemento che potremmo definire cronologico, ossia quando abbattere la minaccia.
Per quanto sia preferibile, quando si può scegliere, passare all’azione in risposta a una evidente apertura di ostilità, in alcuni casi l’attesa potrebbe essere deleteria, specialmente in tutte le situazioni in cui le variabili da considerare potrebbero essere troppe (presenza di più soggetti vittima, difficoltà di trovare una via di fugà, inquantificabilità della minaccia, ecc.).
In tutti quei casi in cui agire prima è consigliato possiamo parlare di premptive strikes (attacchi preventivi) che sono la transposizione concreta del noto detto “chi mena per primo mena due volte”, con la precisazione che un attacco preventivo dovrebbe essere ancor più definitivo di qualsiasi altro attacco.
E’ intuitivo come, essendo in questo caso l’azione condizionata da una nostra personale valutazione che per quanto plausibile nn è cmq sicura al 100%, ci sia una forte componente di rischio nel seguito delle nostre azioni ma personalmente ritengo che, se abbiamo mantenuto chiaro il concetto di cosa sia una situazione di DP e se abbiamo la consapevolezza di un grosso pericolo imminente, sia un rischio da correre assolutamente.
L’aver parlato di definitività di un attacco ci porta direttamente al caso in cui la nostra azione è la risposta ad un’altra azione precedente (potremmo parlare tranquillamente di reazione) e a come abbattere la minaccia.
Questo è un punto che ci consente di toccare l’argomento scottante della preparazione dal punto di vista marziale propriamente detto; ora, senza dover citare il mio bastardissimo curriculum e senza voler fare spot che nn sono nelle mie corde, la mia convinzione è che sia fondamentale cercare di avere una preparazione il più possibile ampia ai vari terreni di scontro intanto, senza se e ma; ciò detto nn è importante tanto quello che si fa ma come lo si fa e il come in questo caso ammette poche, se nn nessuna, deroghe.
Che sia una risposta o un attacco preventivo, io sono dell’idea che in ottica dp vada applicata intanto la regola trappattoniana del “Primo, nn prenderle” (lo stesso Sun Tzu diceva che l’invincibilità sta nella difesa), il che nn vuol dire nn prendere nessun tipo di colpo (per quanto aiuti…) ma essere cmq abituati ai colpi.
E’ evidente allora che qualsiasi allenamento serio nn possa prescindere dall’abitudine al contatto, vero e realistico, operato in ogni possibile condizione, coinvolgendo anche, banale nn è, il volto e il capo che sono le aree primarie di bersaglio e che sono anche in genere un punto debole per ogni persona.
Come questo possa e debba essere fatto nn sta a me dirlo ma nn è un segreto né un mistero, mi preme solamente dire che il tanto citato sparring (che in tutto il mondo vuol dire mero esercizio in coppia e solo da noi ha finito, erroneamente, per essere considerato da alcuni come qualcosa di fisso ed immutabile) è uno strumento prezioso fino a quando viene utilizzato e sviluppato in ottica di quello che abbiamo detto parlando di focalizzazione all’inizio, altrimenti rischia di essere un’altra cosa vuota o quantomeno poco utile.
Ma con l’abitudine ai colpi va di pari passo l’abitudine al caos e alla confusione, esterni ed interni, tipici di quei momenti, ignorare questo elemento (che può essere allenato da solo o insieme ai colpi) significa fare un lavoro a metà e sarebbe un peccato visto che, per paradosso, tale abitudine potrebbe rivelarsi ben più preziosa della semplice abitudine ai colpi.
Chiarito come dobbiamo difenderci, arriva finalmente il momento di abbattere chi abbiamo davanti.
Abbattere abbiamo detto vuol dire in questo caso fare tanto danno e velocemente ed è evidente che questo ci obblighi a una prima scrematura tecnica, sia di cose che al dunque hanno un’alta probabilità di fallimento (per difficoltà nostre, per inapplicabilità generale, per dipendenza da fattori variabili) sia di cose che producono o possono produrre un danno nn elevato.
Ricordiamo ancora una volta che stiamo lottando per la nostra vita o quella di una persona cara e tutto quello che è nel mezzo fra il nn fare nulla e l’abbattere rischia di ritorcercisi contro.
Possiamo allora identificare dei bersagli che siano preferibili, come la testa, dal collo in su, le principali articolazioni o alcuni punti vulnerabili come possono essere i testicoli, l’area dei reni o il basso ventre.
Mio spassionato consiglio è quello di andare alla testa, come intesa sopra, tutte le volte che è possibile…come un cane si fionda sull’osso così deve essere il nostro approccio ogni volta che c’è lo spazio per farlo; la testa nn solo offre tanti punti deboli (occhi, naso, mento, capelli, orecchie) preziosi, ma consente anche di controllare facilmente una persona e, cosa importantissima, consente l’invio di messaggi al cervello dell’aggressore che questo nn può ignorare e che può agevolmente far volgere a nostro favore le sorti di uno scontro.
Sulle articolazioni si va per rompere, altrove puntando a fare danno.
E se si finisce a terra nn si aspetta Big John McCarty ma si punta a schizzare in piedi come se fossimo caduti su un letto di vetri e chiodi (e se l’altro si alza più lentamente per merito nostro meglio per noi).
Chiarita la questione dei bersagli, occorre fare riferimento a quali “armi” impiegare intese, ovviamente, come parti del nostro corpo; anche in questo caso lungi da me dar vita a guerre di religione su cosa sia meglio o peggio, la mia idea è che in ottica dp vada fatto tutto quello che faremmo se stessimo lottando con delle scarpe normali al centro di una pista di pattinaggio sul ghiaccio (e ognuno rifletta da solo)….se poi si chiede con cosa io dico che meno ci possiamo fare male (o più possiamo usare cose che fanno male…) meglio è…perché dobbiamo sempre tenerci pronti per un dopo che nn è detto che nn ci sia e che può essere di vario genere.
Ma a questo punto bisogna fare attenzione perché quest’ultimo elemento diciamo più fisico rischia di essere scollegato da quanto detto all’inizio sulla capacità di focalizzazione ed invece nn è così.
L’abbattere nn può prescindere dall’idea di uscire rapidamente dal conflitto ed è per questo il motivo per cui a noi nn deve assolutamente interessare punire un aggressore, sottometterlo, farci giustizia o fare sfoggio di ego ed abilità, ciò significa semplicemente che al dunque nn dobbiamo tirare assolutamente un colpo in più del necessario, perché quel colpo in più nn solo rallenta la nostra possibilità di uscita in sicurezza ma rischia di diventare altro (si pensi anche a risvolti giudiziari) e dai contorni indefiniti…e meno variabili ci sono meglio è.
Ancora una volta, si possono operare variazioni tattiche ma la strategia deve restare sempre la stessa.
E ognuno di noi anche in questo caso ha sufficienti strumenti di valutazione di quel che fa e/o dovrebbe fare.
Questo, pur con le necessarie semplificazioni o riduzioni apportate a certi argomenti (che sicuramente affronteremo in futuro) è il senso del mio dire che per la DP occorre un approccio olistico e se tralasciamo una delle capacità in questione è evidente che ci stiamo facendo un danno da soli.
In ogni caso, Stay safe my friends.