la mia impressione è infatti che i bunkai della mia scuola siano tecnicamente eccellenti, bellissimi, e via discorrendo... ma scarsamente pratici...
Capisco perfettamente quello che provi, perchè anche per le forme del Kung-fu vale lo stesso.
Se il problema è l'applicazione in combattimenti, datti pace fratello. Le forme servono ad imparare ed a perfezionarsi, ma non sono facili da portare sul piano reale del combattimento.
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Allora perchè studiarle se il mio obbiettivo è imparare il combattimento?
Diciamo così.
Picchiarsi o azzuffarsi è una cosa, combattere è tutta un'altra cosa.
Nel concetto di combattere si incontrano più possibili livelli, dal reagire con X proprietà tecnica alle iniziative conclamate di un avversario, all'anticipare quelle iniziative, puntando al determinare le stesse, fino al poter vincere in assenza di scontro fisico.
Il fatto che determinati gesti (tecniche) non funzionino, di per sè è illogico, poichè qualsiasi cosa, per funzionare, necessita di essere concreta, tangibile, dotata di ingranaggi o circuiti, diversamente non può ne funzionare ne disfunzionare, gli ingranaggi, nello specifico, insieme ai circuiti, li abbiamo noi (articolazioni, sistema nervoso) e solo noi possiamo o meno funzionare.
Il punto è che, spesso, la tecnica eseguita non è una tecnica posseduta da chi la esegue, spesso ci si affida alla memoria, sia per quanto riguarda i movimenti da compiere e in quale sequenza, sia per quanto riguarda il collegamento di quei movimenti con i corrispondenti movimenti dell'avversario.
Così, nulla può funzionare, il tempo per attingere alla memoria e alla comprensione cosciente non c'è!
La tecnica è solo e soltanto tecnica, a prescindere dal suo opposto, la si apprende e la si interiorizza, poi sarà il corpo, guidato dall'istinto, a tirar fuori questo o quel movimento, il più immediato e spontaneo nella tal situazione, ed è li che si deve puntare a far finire le "tecniche".
Le aplicazioni didattiche, servono solo per poter studiare con un compagno il tal movimento, per avere la tranquillità di non far cose a vuoto inutilmente, ma si tratta solo di strumenti occasionali.
Un maestro davvero bravo e preparato, troverà decine di risposte allo stesso attacco, decine di possibili utilizzi e interpretazioni di un movimento, ma lo insegnerà puro, così come è, con pochi, chiari e semplici esempi di applicazione.
L'attenzione in combattimento deve essere rivolta al far terminare lo scontro se non si è riusciti a prevenirlo,
al non essere sopraffatti, al non farsi colpire, all'uscire dagli attacchi, anticipandoli, rimanendo padroni di noi stessi e dell'area di scontro, in modo da difendersi tutelando la propria incolumità.
Invece, spessissimo, è rivolta solo all'avversario, alle sue mani o agli occhi, comunque al "piccolo" rispetto al contesto generale, andando quindi a ridurre il campo visivo, la possibilità e la capacità di percezione del pericolo e della situazione, finendo con l'essere vulnerabili a tutto ciò che non è nel campo di attenzione visiva.
Fino a che si cerca ostinatamente un senso logico ad un gesto, si rimarrà schiavi della logica e della memoria, limitando il gesto stesso a quella sola spiegazione che ci ha convinto, cosicchè quel gesto possa avere un senso solo nella remota possibilità che quella precisa situazione e sequenza di gesti dell'avversario si verifichi.
Combattere è quella cosa che accade quando ragionare ha fallito, sarebbe il caso di dire al cervello cosciente "fatti da parte, ora tocca a me" o chi ha fallito (il ragionare) non potrà che continuare a fallire.