Eccolo qui:
TENGUIl termine
tengu (天狗), in cinese
tiangou, letteralmente significa “cane celeste”, anche se nell’iconografia classica questa specie di creatura delle foreste non ha niente che sembra accomunarla a un cane.
Secondo alcuni studiosi, i tengu potrebbero comunque derivare da una trasformazione iconografica della divinità indiana alata Garuda, che unendosi al culto giapponese delle divinità montane (yama no kami), avrebbe creato il primo tipo di rappresentazione, quella di karasutengu, che presenta ali, testa e becco da corvo.
Solo successivamente, vediamo che l’iconografia li presenta come konohatengu o yamabushitengu, che in alcuni casi mantengono sempre le ali, ma presentano sembianze umani, con un lungo naso.
Alcuni studiosi, tra cui De Visser, autore di quello che potrebbe essere considerato il primo articolo di un occidentale su questo argomento, redatto nel 1908, ritengono che il nome originario cinese derivi da una meteora che avrebbe colpito la Cina durante il VI secolo a.C., la cui coda sembrava richiamare la forma di un cane.
I Tengu, comunque, giunsero in Giappone probabilmente con l’arrivo del Buddhismo dalla Corea nel VI secolo d.C., fondendosi con diversi elementi dell’allegoria shinto, tanto che in alcuni miti popolari li si fanno discendere dal furente dio Susanoo Omikoto, fratello della dea Amaterasu Omikami, divinità primordiale del Sole.
Le caratteristiche principali e comuni dei tengu sono:
- la possibilità di mutare forma (umana o animale);
- la capacità di spostarsi da un luogo all’altro istantaneamente;
- la capacità di insidiarsi nei sogni delle persone;
- Le abilità marziali.
I primi riferimenti a queste curiose creature appaiono già nella letteratura dell’VIII secolo, in particolare associandole al monte Kurama, luogo in cui, secondo il Gikeiki (Scritti su Yoshitsune del XIV secolo), il giovane Minamoto no Yoshitsune venne addestrato alle arti guerriere, e in particolare, nel kenjutsu dal Kurama Tengu. Grazie a questi insegnamenti, egli sarebbe poi riuscito nelle campagne tra il 1184 e il 1185 a battere i Taira, e a far ottenere al fratello Yoritomo il pieno controllo militare e politico del paese. Ovviamente, si tratta di un testo scritto ben dopo i fatti che narra, per elevare la figura tradizionale di Yoshitsune, uno dei personaggi più amati della cultura giapponese come eroe perdente.
Secondo alcuni storici, come Turnbull, la figura del tengu come abile combattente deriverebbe da una rivisitazione dell’immaginario collettivo di alcuni gruppi di briganti e fuorilegge nascosti tra le foreste e le montagne del Giappone del XIII e XIV secolo, che avendo una grande esperienza nell’uso delle armi grazie alle loro razzie e imboscate tra i boschi dell’epoca, erano considerati estremamente abili, ma imprendibili proprio come si riteneva fossero i tengu.
Vediamo l’evoluzione nei secoli dell’aspetto e delle caratteristiche dei tengu.
Inizialmente, come anticipato, la forma più comune era quella del karasutengu, raffigurato appunto con un corpo da uomo, muso ed ali da corvo e possenti artigli, e che aveva l’abitudine di rapire adulti, bambini e tutti coloro che danneggiavano volontariamente le foreste, rilasciandoli anche dopo anni, ma in uno stato di demenza perpetua.
Successivamente, a partire dal XII secolo in poi, il tengu inizia a cambiare forma, divenendo lo yamabushitengu, in cui rimangono le ali corvine, ma l’aspetto fisico è quello di un essere umano, caratterizzato però da un lungo naso (simbolo del loro odio nei confronti della presunzione), dalla faccia rosso fuoco, dalla possibilità di volare sia che abbiano o meno le ali, indossano un abbigliamento da monaco, con il caratteristico copricapo piccolo e nero degli shugenja (il tokin), con i geta ai piedi, spesso sventolando un ventaglio magico fatto di piume d’uccello.
Nel Konjakumonogatari (degli inizi XII secolo) si narra che fossero nemici del Buddhismo, prendendosi semplicemente gioco dei monaci, oppure arrivavano addirittura ad appiccare il fuoco ai monasteri. Mentre, nel Tenguzoshiemaki (della fine XIII secolo) risulterebbero essere dei monaci buddhisti che, avendo utilizzato le capacità magico spirituali acquisite durante le prove ascetiche per scopi personali, si sarebbero tramutati dopo la loro morte in questa specie di demoni folletti.
In questa forma, sia la letteratura che la tradizione popolare ci narrano di tengu benevoli, che spesso usano i loro poteri e la loro propensione a prendersi gioco di tutti per aiutare chi ne ha bisogno. In particolare, assistiamo a racconti in cui i tengu si prendono gioco dei monaci buddhisti falsi e corrotti, oppure dei samurai arroganti che usavano la loro forza per infierire sui deboli. Tanto che, da distruttori di templi, furono considerati nel periodo Tokugawa addirittura i protettori del Dharma e iniziarono ad essere scolpiti nelle vicinanze di templi e monasteri, con una funzione simile a quella dei nostri occidentalissimi gargoyle sulle chiese.
Esistono ancora oggi culti particolari, come quello a Doryo Daigongen, asceta della fine del XIV secolo, che secondo la tradizione, dopo aver acquisito particolari capacità magiche grazie alle ascesi montane, prese i voti come monaco Soto Zen. Alla sua morte nel 1411, avrebbe fatto voto di proteggere per sempre il suo monastero, trasformandosi in un tengu.
Da lì si è giunti a un'immagine mista del tengu, in cui appaiono entrambi i caratteri, con aspetto corvini, ma abbigliamento e elementi sacri, come il bastone con i sei anelli, tipici degli yamabushi.
Grazie quindi a l'unione degli elementi religiosi, marziali e mistici, spesso si è associato anche durante il periodo Tokugawa l'immagine del Tengu alle abilità magiche-marziali del ninja, sfociando in moltissime rappresentazioni del tatro kabuki, in cui spesso chi addestra un particolare personaggio noto per le sua abilità, ad esempio, nel kenjutsu, è un maestro tengu vestito di nero.
Addirittura, alcuni elmi da guerra riprendevano le sembianze dei tengu
Si assiste purtroppo, anche a aberrazioni culturali moderne, in cui alcuni associano impropriamente tengu-ninja