PARTE XX
… la notte degli spiriti
Sapevo che uno dei ricercatori di arti del sud est asiatico era questo Draeger.
Comprai il libro come seconda scelta, non essendo specifico ma un lavoro generico. Comunque discretamente compilato. Buona sezione dedicata alle note e alla bibliografia. Buona soprattutto sulle arti marziali cinesi e giapponesi. Meno su quelle tailandesi, birmane, pakistane, indiane e indonesiane. Molto meno su quelle filippine. Conoscendole in modo più approfondito e avendo letto altro materiale in lingua inglese sapevo che la fonte dalla quale era stato preso il materiale riguardante il Kali-Ecsrima filippino non era più considerato all’altezza da molti esperti.
Fonte unica, tra l’altro. Un po’ poco. Un vecchio libro scritto nel 1957. Smentito poi in vari punti.
Non sapendo se la stessa sorte fosse toccata a quelle indonesiane, mi informai su usi e costumi delle arti marziali indonesiane, sulle armi, sugli stili, tentando di avere un’infarinatura generale dell’argomento.
Diverse pagine erano dedicate al kris. Accenni storici, disegni, sezioni e descrizioni della forgiatura e delle caratteristiche generali dell’arma.
Un buon punto di partenza, poteva servirmi per una interessante lettura oltre al resto del materiale reperibile in rete e da prendere quindi con le dovute ‘molle’.
Avevo sempre preso sottogamba il kris, o keris, come arma. Avevo letto e sentito che nello scontro tra pirati e culture diverse si usava colpire il kris con lame più grosse e pesanti tra la parte alta della lama e il manico, riuscendo così a romperlo facilmente rendendolo inutilizzabile. Per me il kris era quello del sud delle Filippine, dell’isola di Mindanao. Una vera e propria spada per potenti fendenti. Grande più del doppio dei kris indonesiani e malesi. Ma ora quell’oggetto acquisiva via via nuovi significati e l’aspetto marziale era l’ultimo a interessarmi. A mano a mano che leggevo e me ne interessavo scoprivo quanto fosse interessante l’oggetto in sé. I materiali, la manifattura, il disegno, le sezioni, la forma, le decine e decine di modi per chiamare la stessa cosa nelle diverse zone e i numerosi nomi dati alle varie sezioni dell’arma. Non era un semplice oggetto, ma un gioiello, qualcosa di sacro e come tale andava affrontato.
Principalmente un kris è composto da più parti.
Escludendo il fodero, considerato un’opera d’arte a sé e fatto principalmente da due parti: il corpo del fodero (batang o pendok), ossia dove alloggia la lama, che può essere di legno, di bronzo, quando era utilizzato come protezione, ma anche d’argento o oro con diamanti.
Nella parte alta, all’imboccatura, v’è una sezione trasversale più o meno allungata che generalmente ha la forma di una nave o vascello (sampir o warangka). I materiali posso variare dal legno, all’avorio, al corno di bufalo o al fossile.
L’arma vera e propria ha un’impugnatura (ukiran, ulu) che può generalmente essere lavorata e recare incisioni in legno, avorio, corno, oro. Le forme dell’impugnatura differiscono in base alle aree geografiche dell’arcipelago, dando luogo ad una infinità di varianti più o meno pregiate.
Tra impugnatura e lama v’è un anello (mendak, penongkoh) in metallo più o meno prezioso che fa a sua volta da unione tra impugnatura e un pomello metallico (selut) che precede e fissa la lama stessa.
L’anima del kris è la sua lama (mata kris). Dalla forma (dapur) serpentina o dritta. Può variare dall’essere quasi perfettamente dritta all’avere fino a circa venti ‘curve’. La lama può essere di vari tipi di materiali: ferro meteoritico contenente nickel e titanio, acciaio o più di essi mescolati.
La base della lama (gaja) ha una peculiare forma allungata e appuntita (aring) e fa come da guardia alla mano che lo impugna. Il lato opposto può variare nelle forme e nei disegni, ricordando la proboscide di un elefante o recare altri disegni caratteristici quali forme di serpenti o draghi fino all’essere perfettamente dritta. Ogni singola parte del kris è talmente curata e lavorata, da quelli più preziosi a quelli più semplici, da renderlo quasi sempre una vera e propria opera d’arte unica.
Ciò che Walter mi disse di fare con il succo di limone riguardava il tirar fuori il pamor dalla lama.
Tradurre termini nati in un’altra lingua e che sono così caratteristici di oggetti di altre culture è sempre rischioso. Pamor può avere diversi significati. Può riguardare il materiale della lama, i disegni e le venature formate dal metallo o dai più metalli con cui è stata fatta. Dal tipo di pietra e dal suo disegno originario. Ogni disegno è unico, ogni venatura è irripetibile e non programmabile come risultato, colore o sfumatura. Non possono esistere, quindi, due kris uguali. Il pamor di un kris è considerato un dono di Dio. Ma pamor può essere anche la forma o le striature impresse o intagliate nella lama. Come una vera e propria serie di impronte digitali dell’oggetto. Verticali, orizzontali, colorate in mille sfumature, più o meno brillanti o riflettenti luce, il pamor parla e comunica al proprio possessore o a chi lo ha creato. Il termine è anche usato per indicare la manifattura e il materiale della lama.
Lavando il mio kris con il succo di limone avrei dovuto non solo pulirlo e liberarlo dalle impurità del tempo e dalla sporcizia, ma rendergli omaggio. Come salutarlo.
Approfondii il discorso con Walter che gentilmente mi diede tante altre informazioni a riguardo.
Mi spiegò ad esempio che il kris, appena terminato, veniva lavato con arsenico, succo di limone e sale anche per far risaltare al massimo e dare brillantezza al pamor. Ma non solo.
“Uno dei modi per scoprire se il tuo kris ha un valore in termini di materiale, manifattura, ossia chi lo ha forgiato e storia è tentare di capire se ti trasmette qualcosa impugnandolo”. Mi disse. “Cerca di capire se ‘senti’ qualcosa. Che sensazioni ti da. Brividi, ricordi, immagini, prurito, calore, formicolio o altro. Se ti da sensazioni piacevoli, sgradevoli o perfettamente nulla”.
“Non so Walter”. Dissi. “A essere sincero non ci ho mai fatto caso”.
“Ok, adesso lo sai. Prendi il tuo kris e mettilo sotto al cuscino quando dormi”, aggiunse.
“Scherzi?”, chiesi divertito.
Risposta negativa. “Puoi crederci o meno. Ma è uno dei modi tradizionali per capirlo”.
Decisi di testare queste teorie. Non mi impressionavano poiché scettico. Non avevo nulla da perdere.
“Ok. Lo farò! Spiegami come”.
“Certo. Come ti ho detto, prima di tutto lavalo col succo di limone. Toglierà le impurità, e se è un kris originale e di valore simbolico gli renderai omaggio. Renderai omaggio alla lama, a chi l’ha forgiata e allo spirito che vive in essa, se ve n’è uno”.
“Ok. Poi? Devo metterlo sotto al mio cuscino?”.
“Si. Vai a dormire. Prendi il kris e mettilo sotto al cuscino. Potrebbe darti informazioni, sogni, incubi, sensazioni in genere. O nulla”.
Aggiunse poi: “Oggi è Martedì. Hai mai sentito parlare di ‘jumat kliwon’?”.
“No, Walter. Non ho mai sentito queste parole. Cosa vuol dire?”.
“E’ una festività del calendario Giavanese”. Spiegò.
“ Diverso dal calendario Gregoriano o Islamico. Il jumat kliwon avviene ogni trentacinque giorni. E’ molto complicato da spiegare. Per capirci, corrisponde alla notte che precede uno speciale Venerì. Tra Giovedì e Venerdì notte. Tutti gli spiriti e la magia in genere sono più potenti in quella notte. Il kebatinan ne è favorito. Riti, offerte, tutto ciò che è spirituale in quella speciale notte è amplificato. Jumat kliwon è la notte degli spiriti”.
“Capisco”. Aggiunsi. Ma in realtà ci stavo capendo poco e nulla.
Ricordo di avergli fatto ripetere la stessa cosa due o tre volte.
D’altronde si chiacchierava in inglese e occasioni in cui mancava il termine anglosassone per esprimere concetti che dall’indonesiano erano sempre stati tradotti in olandese erano frequenti.
In fine aggiunse: “Jumat kliwon è questo giovedì notte. Prova!”.
Mancavano due giorni. Gli dissi che avrei fatto l’esperimento.
Mi organizzai con discrezione e pudore.
Arrivò il Giovedì.
Sotto occhi sbalorditi e compassionevoli di chi assistette alla scena, lavai il kris col succo di limone e il risultato fu duplice: la lama si pulì in modo considerevole. Da grigio sporco e opaco assunse un po’ di lucidità e brillantezza. Il manico in legno si pulì divenendo molto più chiaro.
Nulla di magico. Avevo appurato con certezza solo una cosa. Che prima di essere originale e autentico, il mio kris era soprattutto lurido.
E ora, la notte.
Per evitare di dovermi svegliare infilzato e dover correre al più vicino ospedale con stigmate da kris e relativa imbarazzante giustificazione, data la discreta punta del kris, lo avvolsi in un panno.
Lo posi sotto al cuscino e salutai il giorno chiudendo gli occhi e sperando in qualche segno.
Ricordo perfettamente cosa sognai.
Nulla!
Nulla al punto che al risveglio ci misi tempo a ricordarmi del mio esperimento notturno.
Ciò fu dovuto anche al fatto che il mio kris, sempre avvolto nel panno, era a terra accanto al letto.
Non sapevo da quanto fosse lì. Se fosse caduto subito o a metà nottata. Forse era quello il motivo per il quale non avevo ricevuto segni dal mio oggetto?
Sorrisi e lo raccolsi. Non ritentai l’esperimento. Ma nel caso, farovvi tosto sapere.
Tra quel Giovedì e quel Venerdì appresi due cose importanti sul mio kris: che non solo era lurido, ma cosa ancora più importante, soffriva di claustrofobia o era allergico agli acari da cuscino.