PARTE X - "Indovina che ti racconto a cena?"...
Arrivai in pizzeria con gli altri ragazzi dell’albergo. Il lungo tavolo a forma di L era già per metà occupato dai partecipanti. Presi posto nel gruppo dei miei colleghi di corso. Spalle all’uscita e a parte del resto del tavolo. Ero quasi all’angolo dell’angolo interno. Di fronte a me, spostato più verso sinistra c’era Emilio. Superato l’angolo, ben visibili, i tre olandesi. Olivier al centro, Walter quasi di fronte a Alberto che faceva da traduttore. La sua voce mi giungeva da dietro le spalle e per guardarlo avrei dovuto pormi lateralmente sulla sedia e dare le spalle a chi era seduto alla mia destra. Si discuteva del più e del meno, della giornata, dei programmi di insegnamento dell’associazione. Antipasto, birra e pizza per tutti. Per gran parte del tempo chiacchierai con coloro che conoscevo e con i quali avevo più confidenza. Avrei desiderato porre tante domande a Walter, Olivier e Anand, ma la distanza era troppa e non ho mai amato infastidire con domande su domande. Inoltre, gli ospiti avrebbero sicuramente preferito mangiare tranquillamente senza essere importunati sull’argomento arti marziali persino in un momento di svago. Si parlò di quello.
L’argomento principale furono le arti marziali e alcuni divertenti aneddoti legati a come gli altri percepiscono la passione che accomunava noi tutti.
Il ruolo principale che Walter e Anand si ritagliarono quella sera fu lasciar fare a Olivier da mattatore. Non smise un attimo di raccontare e descrivere luoghi, persone, tradizioni, parlare dei viaggi, dell’Indonesia. I suoi due compagni di allenamento ridevano ricordando e confermando quanto Olivier ad alta voce narrasse.
All’improvviso si iniziò a parlare in modo più serio. Alberto chiese a Olivier se gli andasse di parlare del Kebatinan, l’aspetto mistico delle arti marziali indonesiane.
Non avevo mai sentito parlare o letto nulla sull’argomento. A dire il vero, fino a quei giorni non avevo mai letto nulla di particolare e specifico sulle arti marziali indonesiane. Possedevo molti libri sulle arti marziali filippine. Alcuni capitoli includevano riferimenti, accenni, ma mai nulla di specifico e approfondito. Per me un kris indonesiano o malese era un coltello. Nulla più. Sapevo solo che fosse un’arma simbolo, spesso data al raggiungimento della maggiore età o dello status di guerriero. Più un’arma da cerimonia che da combattimento. Diverso comunque dalla sua controparte filippina utilizzata come vera e propria arma da fendente dai gruppi Moros dell’isola di Mindanao nel Sud delle Filippine. Non conoscevo nulla neanche delle pratiche magiche o esoteriche dell’arcipelago malese, di come la cultura indonesiana e Javanese ne fosse intrisa. Java è un calderone di gruppi etnici in cui filosofie, credenze, persino all’apparenza contrastanti, sono fuse e mescolate in un unico corpus. Metafisica, misticismo, magia, panteismo, animismo, filosofia, ricerca di ‘sé’, spirito universale, tecniche di meditazione, caos, destino, divinità e demoni; tutto è racchiuso e racchiude altro, svela e viene svelato da altro come pezzi monodimensionali di un’astratta matrioska. Le numerose influenze culturali dell’Indonesia sono concentrate nel Kebatinan rendendolo ricco quanto misteriose impurità rendono più ricco e unico un grosso gioiello di ambra.
I praticanti di Silat sono soliti dire ‘non c’è Silat senza Kebatinan’ e l’uno anticipa o segue l’altro come un piede anticipa o segue l’altro.
Sono sempre stato un curioso. Allo stesso tempo amo leggere e capire i diversi modi che ha l’uomo di rapportarsi al divino. Amo leggere di religioni, ma non mi ritengo un credente in senso puro. Sono affascinato da come in diverse culture il divino venga interpretato e adattato alla diversa cultura dei luoghi in cui viene ospitato. Cercando di non preferire o scegliere tento di assorbire l’essenza del popolo in questione. Quando si pratica un’arte marziale credo sia fondamentale capirne l’intima natura addentrandosi nella cultura, nella filosofia, nella religione, nella storia del popolo, di conseguenza, nella storia dell’arte marziale che da quel popolo è nata che ne fa da sfondo. Non importa quanto assurdi possano sembrare i suoi assunti, ciò che conta è che siano parte integrante del background dei concetti, dei movimenti e dell’arte che si è scelto di praticare.
Mi avvicino personalmente a questi temi con curiosità e con un necessario quanto cauto distacco. Con un profondo interesse reso impermeabile da una sottile patina di scetticismo.
L’Indonesia e Java sono un territorio molto fertile per queste credenze. L’animismo era alla base di tutto e la religione prevalente sull’isola. Il credere in determinate ‘potenze’, negli spiriti della natura e in quelli dei morti, invisibili e immanenti in tutto, luoghi, persone e oggetti era comune e ordinario. Con l’avvento dell’Induismo, prima e dell’Islam, poi, la religione autoctona venne ulteriormente arricchita di elementi esterni come ad esempio il Sufismo. Ogni aspetto fu in forma maggiore o minore assorbito dai locali gruppi etnici, tendendo ad un aspetto piuttosto di un altro. Il risultato fu una originale e unica forma di Sincretismo mistico e religioso. Nonostante i diversi gruppi etnici avessero adottato una religione piuttosto che un’altra, il background culturale e storico non mancava di fare sentire una certa influenza. Ma del background storico, mistico e culturale delle arti marziali indonesiane e del Pukulan in particolare vi sarà spazio in seguito per parlarne.
Quella sera rimasi piacevolmente affascinato dai racconti di Olivier, proiettandomi con la mente nei luoghi, nei vicoli protagonisti dei suoi racconti. Per rispetto a coloro che narrarono quegli episodi non mi addentrerò nei particolari. Storie di richieste agli spiriti di luoghi, di kris magici posti a protezione sugli usci delle case e di anime ivi residenti a cui poter chiedere poteri e capacità marziali. Di strani rituali compiuti mediante petali di rosa, di ricerche di anziani e leggendari maestri, di possessioni animali, di mani che diventano come artigli e delle capacità acquisite medianti tali pratiche.
L’atmosfera era informale e il tono di voce di Olivier era quello di qualcuno che parla con scioltezza e naturalezza di tali argomenti con un fare allo stesso tempo rispettoso e divertito.
La cena proseguì piacevolmente e l’atmosfera era amichevole.
Non si sentiva la loro presenza come quella di esperti venuti da fuori a regalarci chissà quale conoscenza o chissà quali rivelazioni marziali. Non era una cena di circostanza, dovuta perché impossibilitati a rifiutarsi per cortesia. Loro si divertivano quanto e più di noi, con Olivier concentrato a protrarre la serata a piatti svuotati, avanti ad un amaro e a un caffè e in attesa che le facce dei ristoratori iniziassero a diventare impazienti invocando, senza proferir favella, l’agognata chiusura.
La serata al ristorante terminò e ci salutammo tutti, dandoci l’appuntamento per la seconda giornata del seminario. Ci incamminammo verso l’albergo, l’aria era fredda e umida e le spalle di ognuno di noi erano sollevate a protezione del collo dall’attacco degli spifferi. Avanti a noi i tre olandesi e a seguire noi, io e i miei colleghi istruttori venuti dalle altre regioni d’Italia.
Tutti eravamo diretti al medesimo albergo. Ci si rincontrò nella hall, in fila per prendere le chiavi delle camere, sorriso, un rapido scambio di battute in lingua neutra, l’inglese, poi alcuni dei ragazzi decisero di avventurarsi coraggiosamente nella gelida nebbia alla ricerca di un locale notturno mentre noi altri optammo per il riposo.
Mi chiesi più di una volta se tutti quei racconti non fossero stati programmati dai tre stranieri per prenderci per il culo e li immaginai a fine serata nella loro camera a ricordarsi e descriversi ridendo le facce di noi italiani che si erano sciroppati le loro storielle inventate, precotte o più o meno improvvisate.
Ma così non fu.
Loro non avrebbero riso sbeffeggiandosi di noi, mentre noi restanti quattro non avremmo raggiunto il sospirato riposo se non a notte inoltrata, poco prima delle tre del mattino.
Ci aspettavano altre due ore circa di inaspettato allenamento notturno.