PARTE XI – "Show Good... or Don't Show!"
“Andate a dormire o vi allenate con noi?”. La domanda a bruciapelo di Walter ancora riecheggia nella mia testa tra un orecchio e l’altro come una palla di ping pong. Quei tipi, dopo una giornata intera di allenamento, dopo una serata a parlare di arti marziali, avevano voglia di allenarsi? Con noi sconosciuti? Abituato ai seminari in cui il gran maestro di turno dà piccoli spunti col contagocce per non svelare i propri segreti, non credevo a ciò che avevo appena sentito chiedere. E se a Alberto non avesse fatto piacere? E se volessero usarci per allenarsi loro e usarci come sacchi? E se avessero voluto invece sodomizzarci? Tra di noi c’erano due altri istruttori più avanzati di me dell’associazione, e ritenni opportuno accettare l’invito in quanto essendo Andrea, l’istruttore di Frosinone, molto vicino a Alberto, non vi sarebbe stato nulla di nascosto o fatto alle sue spalle. E poi, erano stati stesso loro ad invitarci. Così, dopo esserci guardati stupiti, accettammo l’invito e salimmo a piedi le scale che ci avrebbero portati in camera loro. Io, Andrea da Frosinone, Vitaliano da Assisi e Domenico dalla Calabria. A bassa voce, mentre percorrevamo il corridoio espressi il mio timore principale e quello secondario: “ragazzi, questi o ci inculano o ci menano”. Non riuscivo a credere come i tre olandesi potessero invitare degli sconosciuti in camera per allenarsi e non a fini di lucro mostrarci il Pukulan senza secondi fini.
Entrai non senza imbarazzo. Personalmente mi sentivo un po’ a disagio. L’idea di essere lì e ricevere informazioni da loro senza poter dare nulla in cambio non mi faceva stare a posto con la coscienza. Cosa avevo fatto per avere gratis altro Pukulan? A che scopo chiederci di salire e allenarsi con noi quando avrebbero potuto farlo tra di loro e molto meglio? Pensai che probabilmente dovevamo fare da ‘carne da allenamento’.
Si appoggiarono sul letto di fronte a noi. Walter al centro, Anand alla sua destra e Olivier a sinistra. Io rimasi in piedi.
Walter ruppe il ghiaccio. “Allora ragazzi.. vi siete divertiti oggi? Vi è piaciuto?”. Con molta cialtroneria abbozzai un si sorridendo quasi a mostrargli che si, avevo gradito, ma che nella mia carriera marziale ne avevo visti di esperti in gamba come loro. Non amo sbavare dietro ai personaggi famosi e se mi trovo avanti a qualcuno che ne sa più di me lo lascio aprirsi e parlare per saggiare le sue conoscenze e quanto ha voglia di ‘dare’ di se stesso. Così feci. Parlai poco, chiesi poco. Inoltre avevo timore di approfittare della loro disponibilità. I due istruttori di Frosinone e di Assisi più anziani di me dal punto di vista della militanza nell’associazione risposero ad alta voce e furono più estroversi. I rapporti deterioratisi con Alberto e il clima di spionaggio cui ebbi modo di assistere in alcune occasioni mi suggerirono di fare da testimone più che da protagonista di quella sera, restando in secondo piano. Non volevo che il giorno dopo si potesse dire che io avevo incalzato con le domande tentando di rubare chissà quali segreti del Silat. Ero certo che i particolari di quella notte in camera sarebbero giunti a Alberto e al suo più accondiscendente socio Emilio. Così fu. Il rapporto di fiducia s’era già incrinato alcuni mesi prima e avevo iniziato a muovermi con circospezione in seno a quell’associazione. Mi fidavo di non più di un paio di persone ormai: Simone di Aprilia e Giovanni di Alba. Gli altri li vedevo come un meccanismo piramidale facenti riferimento a Alberto all’apice e gli altri a scalare, intenti a passarsi indiscrezioni e informazioni per segnalare i comportamenti del loro collega. Il perché di quel clima da Kgb non lo compresi mai e ne mi curai più di comprenderlo in seguito. Certi meccanismi di controllo dopo un po’ si smascherano da soli e ci si adatta o si finisce col sentirsi scomodi. Un perverso meccanismo dei rapporti umani insegnante-allievo che si sarebbe reinnescato anni dopo: diversa arte, diverse persone, stessi meccanismi.
“Forza”, continuò Walter, “chiedeteci quello che volete”. Stupore!
L’istruttore di Assisi incalzò Walter con le domande. Una tecnica, poi l’altra, quel particolare, quella posizione, e se io reagisco così, e se mi muovo così…. I tre olandesi si alternavano nelle risposte, dando le proprie interpretazioni senza contrastarsi. Ognuno di loro arricchiva della propria esperienza la spiegazione dell’altro senza accavallamenti. Le domande erano precise, le risposte semplici e concrete. Niente movimenti superflui, massima semplicità. Walter era assai meno duro nelle entrate, non causando eccessivo dolore. Era lì per spiegare e lasciarci comprendere in modo rilassato i dettagli senza lasciare che il timore di una botta forte potesse farci sfuggire i meccanismi.
Lo spazio era ristretto. Walter illustrava alcuni passi della posizione/spostamento ‘Cinque’ e di come fosse semplice, per lui, impattare verso la caviglia o il malleolo dell’aggressore. Indossava mocassini e la suola di cuoio venne a baciare le ossa delle nostre caviglie e malleoli lasciando che intravedessimo solo un lieve spostamento delle sue spalle, distogliendo la nostra attenzione per il dolore mentre le sue braccia controllavano impattando decisamente le nostre e lasciando arrivare le sue nocche alla punta del nostro mento. Lo fece ‘sentire’ a tutti. Rimanere concentrati su cosa facessero le sue braccia mentre il dolore alle gambe si faceva sentire in modo pungente era difficile, e per quanto tentassimo di prepararci all’impatto, sapendo in anticipo cosa avrebbe fatto, fu difficile evitare e contrattaccare. Ogni tecnica era accompagnata da tante varianti, ma tutte logiche e semplici, niente movimenti eccessivi, tutto strettissimo, attuabile in quello spazio stretto tra i letti e una scrivania.
Restammo in quella camera per più di due ore. Occasioni di vedere altro e poi altro non mancarono. Capitò che fu difficile seguire tutti quando Walter mostrava alcuni movimenti e principi a uno di noi e Olivier o Anand erano presi a spiegare i loro ad un altro. Fu illuminante e le tecniche erano intervallate da numerosi aneddoti di vecchi maestri e dei loro modi di fare.
Tornarono a sedersi di fronte a noi. Si parlò di tecniche e di comportamento reciproco, di combattimento e non solo.
Walter, di nuovo seduto tra i suoi due amici, spiegò: “Come dicevo questa mattina, per noi il Pukulan è molto importante. Non è solo un’Arte Marziale, ma uno stile di vita. Se lo si vuole praticare lo si deve fare in modo completo. Il Pukulan influenza tutto ciò che siamo e la pratica e l’Arte non finisce con l’allenamento, è qualcosa che c’è sempre. Sempre lì. Entra nel carattere della persona. Lo influenza e ne è influenzato. Il mio Pukulan sarà quindi diverso da quello di Anand o di Olivier. Assorbe dal mio carattere e dalle mie esperienze, ma allo stesso tempo plasma il carattere attraverso anni di allenamento duro. Il dolore cambia le persone. Qualche volta le migliora e qualche volta le peggiora, questo dipende dalle predisposizioni. Dall’indole di base. Dipende dal praticante. Tuttavia cerchiamo di far restare l’Arte per pochi. Pochi elementi selezionati. Solo così ci assicuriamo uno standard elevato. I perditempo li eliminiamo, ma spesso si eliminano da soli. Le Arti Marziali, come le intendiamo noi, non sono per tutti. Il Pukulan lo è ancor meno. Ma allo stesso tempo, praticare qualcosa escluso alle masse ci avvicina. Ci rende partecipi di qualcosa di unico. Io considero Olivier e Anand miei fratelli. Loro sanno che io ci sono sempre e io so che loro ci saranno sempre per me. Noi sentiamo se c’è qualcosa che non va nelle vite l’uno dell’altro, ci aiutiamo e allo stesso tempo sentiamo la presenza degli anziani e dei nostri predecessori, il loro sguardo benevolente o meno. Io so che come posso chiedere a loro due, posso chiedere ‘aiuto’ agli antenati dell’Arte, se secondo loro mi sarò comportato bene. Noi diciamo ‘se vendi la tua Arte vendi te stesso’. Se mi sarò comportato bene loro mi aiuteranno nell’apprendimento e nei miglioramenti. Ma devo meritarlo. Allenandomi e rispettando ciò che pratico, me e gli altri. Nel Pukulan si è sempre fatto così, ma sappiamo che non tutti hanno agito allo stesso modo, cercando di trarne guadagni e commercializzare qualcosa che non avrebbe dovuto essere svenduto. Per questo non abbiamo problemi a mostrare dettagli, spiegare le tecniche, non abbiamo segreti. L’unico segreto, se proprio ne vogliamo cercare uno, è l’allenamento costante, anno dopo anno. Possiamo mostrarti una tecnica mille volte, ma se non la alleni è tutto inutile; e sappiamo che quella tecnica deve essere allenata per anni. Proprio per questo, nel Pukulan siamo tutti principianti. Non vi sono gradi, cinture, maestri, corsi veri e propri. Ci sono praticanti più anziani che per passione trasmettono le proprie conoscenza acquisite ad allievi più giovani. E parlo sempre di anzianità di pratica. Non insegnamo. Ci alleniamo semplicemente. Proprio per questo non abbiamo il minimo problema a mostrarvi tutto ciò che chiedete. Senza allenamento è inutile, ma amiamo mostrare ciò che amiamo tanto. L’Arte che pratichiamo. E se lo facciamo lo facciamo nel miglior modo possibile. Senza risparmiarci mai. Un'altra cosa che spesso ci diciamo è ‘show good… or don’t show!’. Ossia, ‘fallo bene o non farlo’, ‘dai il 100% o non dare nulla’, ‘dimostra bene ciò che sai fare o non dimostrare nulla’. E ciò per noi vale non solo nel Pukulan, ma nella vita in genere. Fa parte del nostro ‘Adat’, il nostro codice di comportamento tra noi e con gli altri. Mostriamo a chiunque, come abbiamo fatto con voi questa sera, ma sappiamo che abbiamo da imparare da tutti. Il corpo insegna, la carne insegna. E dalla vostra ‘carne’ stasera abbiamo appreso forse più di quanto voi avete appreso da noi in così poco tempo. Abbiamo visto cosa fate, come vi muovete, i vostri riflessi, abbiamo sbirciato, attraverso le vostre movenze, ritmi e strategie, ciò che è il vostro background marziale. Facendone tesoro. Non vi abbiamo insegnato nulla, il nostro, stasera, è stato uno scambio. Gli anziani, nel trasmettere l’Arte, da sempre fanno questo. Chiedono di essere attaccati e studiano il proprio allievo così come l’allievo studia le movenze del più esperto. Osserviamo sempre. Se avete altre domande, quindi, fatele senza problemi. Siamo qui per questo. Chiedeteci tutto ciò che volete sapere e saremo lieti di darvi qualunque risposta le nostre conoscenza ci permetteranno di darvi”.
Non avevo mai sentito parlare così delle Arti Marziali. Si sente spesso di persone che si allenano ancora alla vecchia maniera. Duramente, per pura passione. Una trasmissione di tipo familiare e non da iscrizione in palestra. Ero frastornato dalle informazioni che Walter Olivier e Anand ci davano. Rimanemmo con loro per quasi tre ore. Ci mostrarono tante cose, ce ne spiegarono altrettante. Tecniche, concetti, strategie, spostamenti. Avrei voluto una telecamera o un registratore per poter mostrare a chi si allenava con me persone come loro. Condividere. Tante furono le cose che ci spiegarono che il mio cervello iniziò a non assorbire più nulla nel timore che finito l’allenamento del giorno dopo, non avrei più visto praticanti come quelli, con quella tecnica, con quella mentalità, forse nella mia vita. Subentrò una certa malinconia. Quella dovuta al fatto che tutto ciò che stavo vedendo si sarebbe perso negli anni, scivolando via dalla mia memoria e riadattandomi agli standard marziali fatti di certificazioni, cinture e finti maestri autoproclamatisi tali dopo pochi anni di allenamento.
Si fece tardi e con tristezza salutammo e ringraziammo per la disponibilità.
Walter ci sorrise e salutandoci rispose: “Niente Grazie. Nel Pukulan non si ringrazia!”.
Presi sonno dopo molto tempo. Come se l’indomani avessi dovuto dare un esame a scuola, ripetevo e ripetevo quei movimenti, quelle frasi, per fissarle nella memoria. Mettervi un lucchetto e tenerle nel forziere dei ricordi.
I muscoli erano doloranti. La mente stanca. Frasi, aforismi e movimenti di quell’Arte bombardavano i miei pensieri non lasciandomi abbracciare dal sonno.
Mi aspettava il secondo giorno di seminario e avremmo visto cose diverse dal primo.