IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #60 on: May 14, 2011, 14:44:11 pm »
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non ho mai amato infastidire con domande su domande.
L' opposto del sottoscritto, in pratica.

Tutto Torna

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Offline gyria

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #61 on: May 14, 2011, 19:49:40 pm »
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Per seguire.

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #62 on: May 17, 2011, 10:54:10 am »
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PARTE XI – "Show Good... or Don't Show!"

 

“Andate a dormire o vi allenate con noi?”. La domanda a bruciapelo di Walter ancora riecheggia nella mia testa tra un orecchio e l’altro come una palla di ping pong. Quei tipi, dopo una giornata intera di allenamento, dopo una serata a parlare di arti marziali, avevano voglia di allenarsi? Con noi sconosciuti? Abituato ai seminari in cui il gran maestro di turno dà piccoli spunti col contagocce per non svelare i propri segreti, non credevo a ciò che avevo appena sentito chiedere. E se a Alberto non avesse fatto piacere? E se volessero usarci per allenarsi loro e usarci come sacchi? E se avessero voluto invece sodomizzarci? Tra di noi c’erano due altri istruttori più avanzati di me dell’associazione, e ritenni opportuno accettare l’invito in quanto essendo Andrea, l’istruttore di Frosinone, molto vicino a Alberto, non vi sarebbe stato nulla di nascosto o fatto alle sue spalle. E poi, erano stati stesso loro ad invitarci. Così, dopo esserci guardati stupiti, accettammo l’invito e salimmo a piedi le scale che ci avrebbero portati in camera loro. Io, Andrea da Frosinone, Vitaliano da Assisi e Domenico dalla Calabria. A bassa voce, mentre percorrevamo il corridoio espressi il mio timore principale e quello secondario: “ragazzi, questi o ci inculano o ci menano”. Non riuscivo a credere come i tre olandesi potessero invitare degli sconosciuti in camera per allenarsi e non a fini di lucro mostrarci il Pukulan senza secondi fini.

Entrai non senza imbarazzo. Personalmente mi sentivo un po’ a disagio. L’idea di essere lì e ricevere informazioni da loro senza poter dare nulla in cambio non mi faceva stare a posto con la coscienza. Cosa avevo fatto per avere gratis altro Pukulan? A che scopo chiederci di salire e allenarsi con noi quando avrebbero potuto farlo tra di loro e molto meglio? Pensai che probabilmente dovevamo fare da ‘carne da allenamento’.

Si appoggiarono sul letto di fronte a noi. Walter al centro, Anand alla sua destra e Olivier a sinistra. Io rimasi in piedi.

Walter ruppe il ghiaccio. “Allora ragazzi.. vi siete divertiti oggi? Vi è piaciuto?”. Con molta cialtroneria abbozzai un si sorridendo quasi a mostrargli che si, avevo gradito, ma che nella mia carriera marziale ne avevo visti di esperti in gamba come loro. Non amo sbavare dietro ai personaggi famosi e se mi trovo avanti a qualcuno che ne sa più di me lo lascio aprirsi e parlare per saggiare le sue conoscenze e quanto ha voglia di ‘dare’ di se stesso. Così feci. Parlai poco, chiesi poco. Inoltre avevo timore di approfittare della loro disponibilità. I due istruttori di Frosinone e di Assisi più anziani di me dal punto di vista della militanza nell’associazione risposero ad alta voce e furono più estroversi. I rapporti deterioratisi con Alberto e il clima di spionaggio cui ebbi modo di assistere in alcune occasioni mi suggerirono di fare da testimone più che da protagonista di quella sera, restando in secondo piano. Non volevo che il giorno dopo si potesse dire che io avevo incalzato con le domande tentando di rubare chissà quali segreti del Silat. Ero certo che i particolari di quella notte in camera sarebbero giunti a Alberto e al suo più accondiscendente socio Emilio. Così fu. Il rapporto di fiducia s’era già incrinato alcuni mesi prima e avevo iniziato a muovermi con circospezione in seno a quell’associazione. Mi fidavo di non più di un paio di persone ormai: Simone di Aprilia e Giovanni di Alba. Gli altri li vedevo come un meccanismo piramidale facenti riferimento a Alberto all’apice e gli altri a scalare, intenti a passarsi indiscrezioni e informazioni per segnalare i comportamenti del loro collega. Il perché di quel clima da Kgb non lo compresi mai e ne mi curai più di comprenderlo in seguito. Certi meccanismi di controllo dopo un po’ si smascherano da soli e ci si adatta o si finisce col sentirsi scomodi. Un perverso meccanismo dei rapporti umani insegnante-allievo che si sarebbe reinnescato anni dopo: diversa arte, diverse persone, stessi meccanismi.

“Forza”, continuò Walter, “chiedeteci quello che volete”. Stupore!

L’istruttore di Assisi incalzò Walter con le domande. Una tecnica, poi l’altra, quel particolare, quella posizione, e se io reagisco così, e se mi muovo così…. I tre olandesi si alternavano nelle risposte, dando le proprie interpretazioni senza contrastarsi. Ognuno di loro arricchiva della propria esperienza la spiegazione dell’altro senza accavallamenti. Le domande erano precise, le risposte semplici e concrete. Niente movimenti superflui, massima semplicità. Walter era assai meno duro nelle entrate, non causando eccessivo dolore. Era lì per spiegare e lasciarci comprendere in modo rilassato i dettagli senza lasciare che il timore di una botta forte potesse farci sfuggire i meccanismi.

Lo spazio era ristretto. Walter illustrava alcuni passi della posizione/spostamento ‘Cinque’ e di come fosse semplice, per lui, impattare verso la caviglia o il malleolo dell’aggressore. Indossava mocassini e la suola di cuoio venne a baciare le ossa delle nostre caviglie e malleoli lasciando che intravedessimo solo un lieve spostamento delle sue spalle, distogliendo la nostra attenzione per il dolore mentre le sue braccia controllavano impattando decisamente le nostre e lasciando arrivare le sue nocche alla punta del nostro mento. Lo fece ‘sentire’ a tutti. Rimanere concentrati su cosa facessero le sue braccia mentre il dolore alle gambe si faceva sentire in modo pungente era difficile, e per quanto tentassimo di prepararci all’impatto, sapendo in anticipo cosa avrebbe fatto, fu difficile evitare e contrattaccare. Ogni tecnica era accompagnata da tante varianti, ma tutte logiche e semplici, niente movimenti eccessivi, tutto strettissimo, attuabile in quello spazio stretto tra i letti e una scrivania.

Restammo in quella camera per più di due ore. Occasioni di vedere altro e poi altro non mancarono. Capitò che fu difficile seguire tutti quando Walter mostrava alcuni movimenti e principi a uno di noi e Olivier o Anand erano presi a spiegare i loro ad un altro. Fu illuminante e le tecniche erano intervallate da numerosi aneddoti di vecchi maestri e dei loro modi di fare.

Tornarono a sedersi di fronte a noi. Si parlò di tecniche e di comportamento reciproco, di combattimento e non solo.

Walter, di nuovo seduto tra i suoi due amici, spiegò: “Come dicevo questa mattina, per noi il Pukulan è molto importante. Non è solo un’Arte Marziale, ma uno stile di vita. Se lo si vuole praticare lo si deve fare in modo completo. Il Pukulan influenza tutto ciò che siamo e la pratica e l’Arte non finisce con l’allenamento, è qualcosa che c’è sempre. Sempre lì. Entra nel carattere della persona. Lo influenza e ne è influenzato. Il mio Pukulan sarà quindi diverso da quello di Anand o di Olivier. Assorbe dal mio carattere e dalle mie esperienze, ma allo stesso tempo plasma il carattere attraverso anni di allenamento duro. Il dolore cambia le persone. Qualche volta le migliora e qualche volta le peggiora, questo dipende dalle predisposizioni. Dall’indole di base. Dipende dal praticante. Tuttavia cerchiamo di far restare l’Arte per pochi. Pochi elementi selezionati. Solo così ci assicuriamo uno standard elevato. I perditempo li eliminiamo, ma spesso si eliminano da soli. Le Arti Marziali, come le intendiamo noi, non sono per tutti. Il Pukulan lo è ancor meno. Ma allo stesso tempo, praticare qualcosa escluso alle masse ci avvicina. Ci rende partecipi di qualcosa di unico. Io considero Olivier e Anand miei fratelli. Loro sanno che io ci sono sempre e io so che loro ci saranno sempre per me. Noi sentiamo se c’è qualcosa che non va nelle vite l’uno dell’altro, ci aiutiamo e allo stesso tempo sentiamo la presenza degli anziani e dei nostri predecessori, il loro sguardo benevolente o meno. Io so che come posso chiedere a loro due, posso chiedere ‘aiuto’ agli antenati dell’Arte, se secondo loro mi sarò comportato bene. Noi diciamo ‘se vendi la tua Arte vendi te stesso’. Se mi sarò comportato bene loro mi aiuteranno nell’apprendimento e nei miglioramenti. Ma devo meritarlo. Allenandomi e rispettando ciò che pratico, me e gli altri. Nel Pukulan si è sempre fatto così, ma sappiamo che non tutti hanno agito allo stesso modo, cercando di trarne guadagni e commercializzare qualcosa che non avrebbe dovuto essere svenduto. Per questo non abbiamo problemi a mostrare dettagli, spiegare le tecniche, non abbiamo segreti. L’unico segreto, se proprio ne vogliamo cercare uno, è l’allenamento costante, anno dopo anno. Possiamo mostrarti una tecnica mille volte, ma se non la alleni è tutto inutile; e sappiamo che quella tecnica deve essere allenata per anni. Proprio per questo, nel Pukulan siamo tutti principianti. Non vi sono gradi, cinture, maestri, corsi veri e propri. Ci sono praticanti più anziani che per passione trasmettono le proprie conoscenza acquisite ad allievi più giovani. E parlo sempre di anzianità di pratica. Non insegnamo. Ci alleniamo semplicemente. Proprio per questo non abbiamo il minimo problema a mostrarvi tutto ciò che chiedete. Senza allenamento è inutile, ma amiamo mostrare ciò che amiamo tanto. L’Arte che pratichiamo. E se lo facciamo lo facciamo nel miglior modo possibile. Senza risparmiarci mai. Un'altra cosa che spesso ci diciamo è ‘show good… or don’t show!’. Ossia, ‘fallo bene o non farlo’, ‘dai il 100% o non dare nulla’, ‘dimostra bene ciò che sai fare o non dimostrare nulla’. E ciò per noi vale non solo nel Pukulan, ma nella vita in genere. Fa parte del nostro ‘Adat’, il nostro codice di comportamento tra noi e con gli altri. Mostriamo a chiunque, come abbiamo fatto con voi questa sera, ma sappiamo che abbiamo da imparare da tutti. Il corpo insegna, la carne insegna. E dalla vostra ‘carne’ stasera abbiamo appreso forse più di quanto voi avete appreso da noi in così poco tempo. Abbiamo visto cosa fate, come vi muovete, i vostri riflessi, abbiamo sbirciato, attraverso le vostre movenze, ritmi e strategie, ciò che è il vostro background marziale. Facendone tesoro. Non vi abbiamo insegnato nulla, il nostro, stasera, è stato uno scambio. Gli anziani, nel trasmettere l’Arte, da sempre fanno questo. Chiedono di essere attaccati e studiano il proprio allievo così come l’allievo studia le movenze del più esperto. Osserviamo sempre. Se avete altre domande, quindi, fatele senza problemi. Siamo qui per questo. Chiedeteci tutto ciò che volete sapere e saremo lieti di darvi qualunque risposta le nostre conoscenza ci permetteranno di darvi”.

Non avevo mai sentito parlare così delle Arti Marziali. Si sente spesso di persone che si allenano ancora alla vecchia maniera. Duramente, per pura passione. Una trasmissione di tipo familiare e non da iscrizione in palestra. Ero frastornato dalle informazioni che Walter Olivier e Anand ci davano. Rimanemmo con loro per quasi tre ore. Ci mostrarono tante cose, ce ne spiegarono altrettante. Tecniche, concetti, strategie, spostamenti. Avrei voluto una telecamera o un registratore per poter mostrare a chi si allenava con me persone come loro. Condividere. Tante furono le cose che ci spiegarono che il mio cervello iniziò a non assorbire più nulla nel timore che finito l’allenamento del giorno dopo, non avrei più visto praticanti come quelli, con quella tecnica, con quella mentalità, forse nella mia vita. Subentrò una certa malinconia. Quella dovuta al fatto che tutto ciò che stavo vedendo si sarebbe perso negli anni, scivolando via dalla mia memoria e riadattandomi agli standard marziali fatti di certificazioni, cinture e finti maestri autoproclamatisi tali dopo pochi anni di allenamento.

Si fece tardi e con tristezza salutammo e ringraziammo per la disponibilità.
Walter ci sorrise e salutandoci rispose: “Niente Grazie. Nel Pukulan non si ringrazia!”.
Presi sonno dopo molto tempo. Come se l’indomani avessi dovuto dare un esame a scuola, ripetevo e ripetevo quei movimenti, quelle frasi, per fissarle nella memoria. Mettervi un lucchetto e tenerle nel forziere dei ricordi.
I muscoli erano doloranti. La mente stanca. Frasi, aforismi e movimenti di quell’Arte bombardavano i miei pensieri non lasciandomi abbracciare dal sonno.

Mi aspettava il secondo giorno di seminario e avremmo visto cose diverse dal primo.

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Offline Semiautomatic Monkey

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #63 on: May 17, 2011, 16:24:24 pm »
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Frammenti di Te. Belli e utili.
Grazie
Michele
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Offline Ale_ale

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #64 on: May 17, 2011, 17:29:48 pm »
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Frammenti di Te. Belli e utili.
Grazie
Michele

forse mi riesce di sverginare un karma!  :ricktaylor:


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Wa No Seishin

Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #65 on: May 17, 2011, 17:40:40 pm »
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Novellino...:nono:

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #66 on: May 17, 2011, 17:47:04 pm »
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Il gatto me l'hanno già aperto in due. Pora bestia. ;D ;D ;D
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Offline Ale_ale

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #67 on: May 17, 2011, 19:04:09 pm »
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Novellino...:nono:
:-[ è la fretta della prima volta ;D  ;D

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #68 on: May 17, 2011, 19:24:34 pm »
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Sverginamento precoce? Niente che una buona reincarnazione non possa curare... :P
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Offline Jack Burton

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #69 on: May 18, 2011, 09:09:23 am »
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karma sverginato!   :ricktaylor: :pol: :ricktaylor: :whip: :pun:
Il Coltello si Affila sulla Pietra, l'Uomo si Affila su un altro Uomo.


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Offline Krypteia

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #70 on: May 18, 2011, 14:41:10 pm »
0
Claudio complimenti vivissimi per la narrazione, non vedo l'ora di proseguire nella lettura.
Der Vogel kämpft sich aus dem Ei. Das Ei ist die Welt. Wer geboren werden will, muss eine Welt zerstören. Der Vogel fliegt zu Gott. Der Gott heisst Abraxas.

La vita non mi ha mai interessato quanto l'evasione dalla vita stessa.


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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #71 on: May 18, 2011, 18:31:06 pm »
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karma sverginato!   :ricktaylor: :pol: :ricktaylor: :whip: :pun:
Quoque tu, Burton, filii mii.

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Offline Semiautomatic Monkey

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #72 on: May 18, 2011, 18:36:10 pm »
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La piantate di sverginarmi?  ;D ;D ;D ;D
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Offline Giorgia Moralizzatrice

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #73 on: May 18, 2011, 18:43:19 pm »
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Eh quando uno inizia con un gioco nuovo poi gli altri dietro.. (attenti ai trenini..) e non la si finisce più
I requisiti per una discussione sono onestà intellettuale e una mente aperta, senza questi nessun confronto è possibile

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #74 on: May 20, 2011, 09:21:17 am »
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APPENDICE B - Terribili Simmetrie...

Inizio XX secolo.
Madura.
Dall’alto è un gigantesco fossile di celacanto adagiato in un cielo liquido di nuvole e coralli.
Sotto le sue spalancate fauci giace Surabaya. A nord il vuoto silenzio dell’Oceano Indiano , su fino al Borneo. Di fronte a sé l’isola di Java.
Notte.
L’oscurità inghiotte colori e sfumature rendendo i contorni sfocati e imprecisi.
Il piccolo villaggio è a pochi metri dal mare. Risacca e vento creano una melodia sostituendosi al Saronen, il flauto tipico della musica tradizionale Madurese. I tamburi sono percossi aritmicamente da due giovani ai limiti del centro del villaggio. Colgo il movimento delle loro bianche palme un attimo prima di percepire il suono come il lampo precede il tuono.
Alcuni anziani mi guardano scettici mentre mi soffermo a osservare ai piedi delle palme un pallido ‘jukung’ (trimarano) acquattato tra ciuffi d’erba e dune di sabbia come un grande ‘macan putih’, la tigre bianca, rispettosa e in esitante attesa della fine del rituale per balzare e divorarmi, rivelandomi le sue terribili simmetrie.
“Tyger Tyger burning bright......”. (W. Blake)
Il vento cresce. Una candida vela ancora issata frusta oscillando cullandosi nel vento fino a coprire le percussioni di bambù. L’intensità aumenta con i miei battiti, un bambino scatta ripreso da un anziano ad ammainare la vela.
I Tongtong incalzano. Il sangue è versato.
Una gallina sacrificata per spargerne sangue nel luogo di allenamento a sostituire simbolicamente il sangue che dovrebbe essere versato dallo studente. Rivoli e piccole pozze riflettono cupi i riflessi delle lanterne accese ai limiti del cerchio.
Avanzo al centro. Scalzo. La calda umidità del sangue misto a terreno attira la mia attenzione ai passi che compio. Sono al centro. Il centro dell’universo. Sono al centro di un poligono proiettato dalla mia fantasia. Un diamante di polvere e sabbia e sangue.
Uso l’alluce per disegnare a terra. Triangoli, quadrati, linee, bisettrici, rette, angoli, vertici.
Il diagramma è pronto. Immagino il vento che lo fa ruotare vorticosamente.
I Tongtong aumentano di intensità. Il bambù emette note uguali ma diverse come i flebili visi che mi osservano e mi giudicano. Le voci si placano.
Sono in piedi. Sono il centro.
Non sono io ad illuminarmi di immenso, ma l’immenso a illuminarsi di me.
Non esiste nient’altro.
Qui. Ora.
Controllo il respiro, socchiudo gli occhi. Mi raccolgo. Si comincia!
Piedi uniti. ‘Siap’: ‘Sono pronto!’.
Porto le mani accanto al torace, palmi in su. ‘Hormat’: ‘Onore!’.
Congiungo le mani come in segno di preghiera avanti al viso.
Il primo degli attacchi giunge da destra.
‘Tre’.
Intercetto colpendo e sibilo fuori il respiro. Un colpo duro all’articolazione del gomito del mio avversario. Defletto la sua linea. Ora è la mia. Affondo le mie unghie nella sua carne, stringo come per strappargli la pelle mentre la mano scivola verso il centro del suo avambraccio.
L’altro mio braccio fa leva contrapposta dietro il suo gomito.
Riprogetto la sua articolazione mentre scappello la sua rotula col tallone.
Riconquisto una posizione stabile su una retta, il mio peso è giù, lui viene con me.
‘Cinque’. Cambio idea e direzione. Gli suggerisco un’altra via incontrandolo mentre arriva con la punta del mio gomito, ma incoerente gli suggerisco ancora la direzione precedente colpendo con le nocche dietro l’orecchio e ancora su.
Schiaccio avvitando la mia tibia nella sua, spazzandolo al suolo. Il prossimo.
I piedi segnano una ‘T’, continuano a girare.
Arriva alle mie spalle. Sento il suo respiro.
Colpisco il suo attacco con l’interno del mio polso, lui ne è sbilanciato in avanti mentre le mie dita vanno alla sua gola. E’ sul vertice del mio triangolo. Completo con le nocche al viso.
Di nuovo a destra, mi muovo sulla stessa linea.
‘Cinque’.
Il mio bersaglio ancora la rotula. Frusto all’inguine e riattacco alto. Raddoppio.
Un altro di fronte. Prima che metta il piede a terra sono nella sua base d’appoggio. La sua tibia è mia. La mia cresta tibiale si infrange nella sua gamba incollandolo a terra. Colpisco dal basso come a conficcare le nocche nel suo bassoventre quando un altro bastardo mi prende alle spalle. Mi avvito di 180° scendendo. Sono accovacciato a gambe incrociate al suolo, non gli offro tempo, la forza di gravità e il mio peso concentrato nel mio gomito è tutto nel suo menisco. Il mio viso contratto una maschera di rabbia a lungo sopita. Un salto e sono di nuovo in piedi a gambe piegate. Un nuovo aggressore si avventa tentando un calcio circolare. Spezzo la distanza e afferro la sua caviglia. Con forza la strattono verso di me mentre il mio gomito impatta in direzione opposta. Rumore sordo di ossa. E’ giù! Calcio verso il basso, finendolo.
Ancora alle spalle. L’adrenalina è in aumento. I miei occhi spalancati. Si avvicina troppo e gli pesto con violenza il piede, mi giro.
‘Tre’. Tenta di colpirmi, defletto e gli stampo la nocca del dito medio alla punta della sua mascella. Ripeto dall’altra parte assicurandomi che non ci riprovi vado in ‘Quattro’ allontanandolo con una gomitata verticale allo sterno quando un altro vigliacco arriva da direzione opposta. Frusto il suo viso, gli afferro il braccio e risalgo verso la sua gola, due colpi di taglio da entrambi i lati, poi una mano alla nuca e lo tiro a me mentre picchio col gomito al plesso solare. Ora è l’altra mia mano che frusta aperta dietro la sua nuca. Lo porto giù e ancora di gomito dietro la nuca.
Mantengo la posizione semi accovacciata. Voglio che notino quanto sono in grado di mantenerla.
Le mie mani sono artigli. Le mie pupille dilatate. I denti in mostra. Il sudore e il vento mi danno la sensazione che tutti i peli del mio corpo si drizzino. O forse è altro.
Sento ogni granello di terra sotto i miei piedi, tutti gli odori, tutti i suoni.
I ragazzi suonano, gli anziani guardano. La luce delle lanterne oscilla al vento trasformando il centro del villaggio in un’enorme fornace dalla quale l’aria calda sale vibrante e irrespirabile.
A terra centinaia di orme. Il diagramma è quasi scomparso, cancellato dai miei movimenti.
Un nuovo immaginario avversario alle mie spalle. Prepara il colpo mentre finto e colpisco con le nocche il viso, poi basso, di nuovo alto. Entro nella sua guardia deflettendogli il braccio. Lo spezzo e defletto l’attacco di un nuovo avversario in direzione opposta mentre frusto l’inguine. Ripeto la strategia vincente: alto, alto, basso, alto, schiaccio spazzando di tibia e mi giro ancora.
Il villaggio ruota con me.
Un altro tentativo di calcio circolare.
Vado in ‘Tre’. Il mio gomito, verticalmente, colpisce la gamba in arrivo. Un movimento verso l’alto, voglio che la sua rotula arrivi a serafini e cherubini. Ma che qui quaggiù per lui resti un inferno. Il colpo mi apre la via per altro. La mia mano va a cercare i testicoli dello sfortunato.
Stringe, ruota, strattona mentre l’altra spinge in direzione opposta con una palmata allo sterno.
Da ‘Cinque’ in ‘Tre’.
Paro con violenza un pugno e le nocche delle mie falangi si conficcano nella gola del nuovo aggressore materializzatosi di fronte a me. Finito.
Dietro. Un fantasioso calcio girato si infrange contro le corna di un bufalo d’acqua formate dai miei due avambracci, mentre la mano afferra ancora il cavallo dei pantaloni dell’avversario, tirando verso l’alto, mentre l’altra mano schiaccia verso il basso. La mia gamba spazza. E’ a terra. Entro nella sua guardia pestandogli tutto il possibile prima con un piede, poi con l’altro e frusto verso il basso.
Ringhiando mi volto a fronteggiare il prossimo.
‘Tre’.
Non c’è nessuno.
Gli aggressori sono evaporati dalla mia fantasia come la polvere causata dai miei spostamenti. Sangue e terra sono ‘Uno’.
La polvere è penetrata dalle narici e la gola è secca.
Digrigno i denti. La fame non è placata.
Il mio viso è rivolto nella stessa direzione con la quale ho iniziato.
I miei piedi non esattamente nel medesimo punto.
Non bene!
Unisco le mani al torace. Le congiungo avanti al viso in segno di preghiera.
I tamburi silenziosi. Singoli battiti echeggiano timidi in attesa di commenti.
Le facce degli anziani riappaiono avanti ai miei occhi, svettanti da quegli scuri abiti immersi in quella stessa incolore oscurità.
Calmo il respiro e attendo.
Mi ignorano. Come se non avessi neanche iniziato.
Non ho bisogno di cenni ne di altro.
Il vento soffia meno. I tamburi ricominciano.
Io faccio lo stesso.
Il Pasangan è da ripetere.
Mani giunte. ‘Hormat’: ‘Onore’. Ma non ce n’è per me.
Non finché non vedrò un’ombra di compiacenza disegnata sui volti di quei vecchi sempre troppo dannatamente insoddisfatti ed esigenti. Indifferenti al mio impegno.
Che la tigre continui a brillare nell’oscurità della foresta e rimandi il suo pasto.
L’allenamento è ancora lontano dall’inizio.
Entro l’alba brillerò più di lei.