IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #90 on: September 06, 2011, 13:40:24 pm »
+2
Parte XVII - It's your Party!

 
Gli riscrissi dopo alcuni giorni, pensando potesse essere fuori o non avesse acceso il pc e controllato la posta.

Nulla!

Iniziai a pensare che non avesse gradito il fatto che non fossi andato in Olanda. Ma come avrei potuto? Fortunatamente le analisi mediche diedero risultati negativi e con maggior leggerezza d’animo mi accinsi a scrivere a Anand.

Gli porsi i miei saluti e gli spiegai l’accaduto chiedendo di Walter. La risposta giunse a breve.

Anand mi confermò l’amarezza di Walter nei miei confronti. Era molto deluso da me. Per come mi ero comportato e per il mio avviso tardivo.

Mi informò che per l’occasione Walter aveva convocato amici per darci il benvenuto, per permetterci di allenarci con loro, aveva preparato casa per accoglierci, i letti pronti e a disposizione e che lui avesse richiesto giorni di ferie non pagati per essere a nostra disposizione ventiquattro ore su ventiquattro per tutto il periodo di permanenza da lui.

Ero naturalmente mortificato, sia per il fatto in sé, sia per le parole scelte da Anand per commentare la mia assenza. Allo stesso tempo sapevo che non avrei potuto fare altrimenti. Ero profondamente preoccupato per le condizioni fisiche del mio familiare, che tra l’altro sarebbe dovuto venire con me in Olanda. Tutto era accaduto a pochi giorni dal viaggio e non avrei potuto fare altrimenti.

Chiesi di nuovo scusa a Walter, spiegai di nuovo la situazione e senza approfondire aggiunsi che si fosse risolta e attesi la sua risposta.

Dopo alcuni giorni ebbi la risposta.

Walter rincarò la dose. Non so se non conoscendomi non mi aveva creduto, pensando fosse una scusa, oppure se a prescindere dalle cause, ciò che lui non aveva gradito fossero i modi, i tempi o chissà cos’altro. Non lo conoscevo bene da poter capire le ragioni della sua chiusura totale.

La missiva elettronica terminava con una frase che mi colpì molto: “la fiducia che ho in te è adesso pari a ZERO!”.

Mi dispiacque molto. Mi aveva colto su una parte sensibile. Bugie e bugiardi sono sempre da me stati visti in modo molto negativo e essere accomunato a loro mi feriva profondamente.

Decisi di dargli un’ultima risposta. Di essere gentile, grato per l’opportunità offertami, ma di fargli percepire tutto il mio risentimento per quanto scrittomi. Non scesi nei particolari dei problemi fisici del mio familiare. Non era il caso. Era una questione abbastanza delicata. Doveva bastargli sapere dei problemi sorti in seno alla mia famiglia e comprendermi. Se non vi fosse riuscito, allora non mi sarei sentito umanamente compreso. La mia ultima lettera a Walter finì usando la sua ultima frase. Una frase che sicuramente doveva essere stata per lui la mazzata finale nei miei confronti. Il climax della sua ultima lettera. L’addio al bugiardo che secondo lui ero stato. Decisi di riprendere quella frase e girargliela contro. Doveva colpirlo quanto e più avesse colpito me nel leggerla e avesse colpito lui nello scrivermela. Dopo ulteriori ringraziamenti per la disponibilità, usai così la sua frase e conclusi: “tu dici che la fiducia che hai in me è adesso pari a ZERO. Va bene. Ma io credo che pari a ZERO sia anche la tua comprensione dei problemi di salute altrui! Distinti saluti. Claudio”.

Chiusi così. Me l’ero giocata fino in fondo. Non potevo fare altro.

Pensai a come si sarebbero diffuse rapidamente le voci dell’accaduto e di come in seno all’associazione che avevo lasciato avrebbero commentato. Il sorriso di qualcuno. Sembrava una maledizione, ma non mi pentii mai di aver lasciato l’associazione. Walter o non Walter, Pukulan o non Pukulan, avevo tentato. Se non fossi stato compreso, come la volpe e l’uva, mi sarei convinto che evidentemente non sarebbe valsa la pena. Così come umanamente Walter e i suoi compagni mi avevano profondamente colpito, altrettanto profondamente e umanamente ero rimasto colpito dalla mancanza di fiducia nei miei confronti.

Seguirono settimane di silenzio. Doveva andare così. Continuai i miei corsi con un po’ di amarezza ma con raddoppiata forza d’animo. A testa alta, sapevo di essere nel giusto, di non aver mentito.

Mi sentivo in debito e triste per Bruno. Lui non c'entrava. Doveva venire con me e a causa di alcuni imprevisti tutto era scoppiato come una bolla di sapone.

Lui affrontò l’episodio con la sua solita flemma. Non mi fece pesare mai nulla. Apprezzai molto.

Dopo circa due mesi dal mancato viaggio in Olanda incontrai Walter in chat.

Lo salutai. Non mi aspettavo una risposta. Era un porgergli omaggio a rabbia sedata.

Rispose ai miei saluti. Ci chiedemmo a vicenda e timidamente come andassero le cose, come proseguissero gli allenamenti. Non accennai a nulla, scelsi di non rimettere in mezzo il discorso. Sapevo che se fosse stato interessato a farlo toccava a lui. Per diversi motivi. Prima di tutto era lui che mi avrebbe ospitato a casa sua. Era lui che ci avrebbe insegnato. Toccava a lui quindi accennare all’argomento. Il secondo motivo era che speravo si chiedesse perché io non ne volessi parlare. Che sentisse che anche io ero dispiaciuto per la vicenda e per come si fosse conclusa. Che sentirsi non meritevoli di fiducia era stato per me un’offesa.

Rimise lui in mezzo l’argomento. A quel punto gli spiegai esattamente, pur senza dettagli, cosa fosse accaduto i giorni prima della partenza. Quanto odiassi i bugiardi e che sentirmi ritenuto tale da lui, senza conoscermi, era stato pesante.

“Voglio darti un’altra possibilità! Anticamente ciò non sarebbe avvenuto. I maestri anziani non davano una seconda possibilità. Ma ho deciso di darti fiducia. Voglio crederti!”.

Trattenni l’entusiasmo. In realtà ero fuori di me per la felicità, ma feci il duro. La chat me ne dava la possibilità. E mentre la mano sinistra era serrata a pugno e si scuoteva come quando un calciatore segna il goal al novantesimo minuto della coppa del mondo, l’altra freddamente e compostamente accennava un “Grazie. Non deluderò la tua fiducia”.

Le settimane che seguirono ci videro chattare sempre più spesso. Intervallando le considerazioni sul momento migliore per incontrarci e le mie domande sulle arti marziali indonesiane e sul Pukulan.

Linee, geometrie, passi, posizioni, racconti. Mi indottrinava teoricamente preparandomi a ciò che sarebbe stata la parte fisica. Mi spiegò l’Adat. Il codice di comportamento dei praticanti indonesiani. Mi spiegò la differenza tra Pukulan Madura e Pukulan Pecutan. Mi spiegò chi fossero stati i suoi maestri, mi raccontò la sua storia, quando aveva iniziato, come avesse avuto la possibilità poi di passare dal suo insegnante, all’insegnante del suo insegnante. Di come avveniva la trasmissione dell’Arte, al giorno d’oggi e anticamente. Mi spiegò molte cose del Kebatinan, l’aspetto esoterico e mistico del Pencak Silat, raccontandomi storie e aneddoti.

Divenni pieno di nozioni teoriche sul Pukulan. Ma mi mancava la parte pratica, tecnica, il vero contatto con l’Arte.

Una sera, chattando e scegliendo le date migliori per iniziare il mio indottrinamento nell’Arte, mi disse: “Potrei anche venire io da te, se vuoi”. Avendo famiglia avevo difficoltà a liberarmi facilmente. Così, fu lui a ponderare l’alternativa. Walter a Napoli, da me. Incredibile!

Gli chiesi di potergli pagare i biglietti aerei e accettò. Non voleva null’altro in cambio. Solo impegno e costanza. Non solo. In breve tempo considerammo l’eventualità che potessero venire con lui anche Olivier e Anand. Fantastico. Tutti e tre a Napoli, per quasi dieci giorni. Per allenare me e alcuni ragazzi scelti che decisi di tirare nell’avventura. Non sapevo ancora come avrei potuto sistemarli, dove, se da me, da Bruno, in albergo, dove ci saremmo allenati. Inoltre, tre biglietti aerei e un’eventuale albergo per tre persone sarebbero costati molto. Chiesi a Walter se potessi organizzare un seminario nella palestra dove insegnavo. Per lui l’idea era ok. Ma che i soldi fossero solo quelli giusti necessari per rientrare delle spese, che il seminario fosse a numero chiuso, massimo venticinque persone. Loro sarebbero stati tre. Ulteriori partecipanti non sarebbero stati seguiti in modo adeguato, rendendo tutto superficiale e inutile.

In quei mesi Walter non mi chiese mai nulla. Essendo io grafico mi chiese un consiglio su come poter riprodurre il logo dell’Arte. Possedeva solo un file di scarsa qualità in formato digitale e la toppa in stoffa. Mi offrii per riprogettargliene uno nuovo, di grandi dimensioni, modernizzato e di buona qualità. Con l’aiuto di un allievo, anche lui grafico, ricreammo alcuni dettagli, ne riprogettammo altri e nel giro di poche settimane demmo a Walter un nuovo logo, che riproducesse con precisione le caratteristiche del vecchio, quello disegnato dal suo insegnante indonesiano. Il logo del Pukulan Pecutan: le scritte, il bufalo, il riso, la frusta, il kris, il cabang, i colori.

Volevo fare qualcosa per iniziare a ricambiare Walter per la sua disponibilità. Ciò che era nelle mie possibilità, a distanza. Fu molto contento.

La data del viaggio in Italia sarebbe stata Maggio 2006.

Un altro mio allievo, Gianluca, offrì un miniappartamento per ospitare Walter, Olivier e Anand e mise a disposizione il parco di una villa a Posillipo. Uno scenario da favola, immerso nel verde, a picco sul mare del golfo di Napoli, tra erba, alberi e in prossimità di una piscina. Il luogo era un’antica residenza, quasi un castello, di una famiglia nobile napoletana divenuta poi condominio e parco privato. La compagna di Gianluca viveva lì e ci diede gentilmente la disponibilità per allenarci.

Era Febbraio e tutto era pronto per Maggio.

Pensai che con me si sarebbero potuti allenare logicamente Bruno. Gianluca, che era stato così gentilmente disponibile e un altro mio allievo.

Per Walter non vi furono problemi. Alla mia domanda la sua risposta fu: “Claudio, it’s your party!”.
« Last Edit: September 06, 2011, 13:44:55 pm by Claudio Alfarano »

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Offline Rangio

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #91 on: September 08, 2011, 14:43:59 pm »
+1
E' un'emozione senza pausa. Si avvertono odori e voci, suoni e colori.

Il Pukulan non è per tutti, d'accordo. Uguale sembra essere l'intensità e i colpi dei sensi che portano alla sua scoperta, è una direzione inevitabile se non per ricerca, almeno nell'esperienza di vita di chi lo pratica. Rabbia, dolore, sfida...

Parlo senza cognizione non conoscendone i praticanti nè il loro percorso intimio individuale che però sento prepotente trasparire da questo racconto. Se la ricerca è la base di partenza del marzialista, il Pukulan sembra essere il punto di arrivo di uomini che hanno mangiato polvere e ingoiato sangue e trasformano gli occhi della tigre in maestria marziale.

Non so esattamente cos'ho scritto, sono in trance  :-X
Grazie Claudio, grazie anche se non sai perchè  :thsit:
Do what you can, with what you have, where you are.
(T. Roosevelt, XXVI President of United States of America)

Dorje, my Hi-Tech Hero : )

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #92 on: September 08, 2011, 16:04:34 pm »
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APPENDICE - IL SIMBOLO
(quanto scritto riguarda il vecchio logo)

L’icona è un piatto bianco su cui sono scolpiti i simboli tipici di una nazione, i suoi colori, le sue metafore, i suoi animali sacri, la sua principale fonte di sostentamento, le sue principali armi.
I suoi segni di vita e di morte, le linee e le curve, il chiaro e lo scuro, l’anima e il sangue, lo spirito e la materia, il legno e il metallo.
Tutti gli opposti che divengono complementari e che convivono in un unico spazio.
Oggetti che prendono forma e significato col passare del tempo, che appaiono e divengono nitidi come gli occhi di un neonato che crescendo a poco a poco definiscono sempre più le forme e i dettagli.
Un simbolo portato sul cuore, disegnato da mani esperte e condizionate, capace di ispirare e dare l’orgoglio, la responsabilità, il furore e la passione in ogni impercettibile movimento.
E’ il simbolo del Pukulan Pecutan.
Il bordo è rosso. L’interno è bianco. Rosso e bianco. I colori della bandiera dell’Indonesia.
Ogni colore ha diversi significati.
Il rosso è il coraggio e il bianco è la purezza.
Il rosso simboleggia il corpo umano e la vita fisica.
Il bianco simboleggia l'anima e la vita spirituale.
Insieme, uno accanto all’altro, sono la completezza dell’essere umano.
In alto e in basso, a seguire il bordo rosso il nome dell’Arte: Pencak Silat Pukulan Pecutan.
Pencak Silat (Pentjak Silat) è identificato come nome comune delle tecniche e stili di combattimento indonesiani, fu adottato come tale al congresso inaugurale della Indonesian Pencak Silat Association del 1948.
E’ l’unione delle due parole indonesiane più utilizzate per descrivere le tecniche di combattimento e di difesa personale. Prima di allora, i termini utilizzati erano i singoli nomi degli stili o un’ampia varietà di termini regionali.
‘Pencak’ e ‘Silat’ sono due differenti aspetti della stessa pratica.
Pencak può essere la rappresentazione tradizionale, danzata e artistica eseguita in pubblico. Silat ne è invece l’essenza intima, la conoscenza dell’applicazione in combattimento.
Pencak è lo studio dei movimenti utili al combattimento. La sua stilizzazione. E’ l’allenamento.
Silat è l’applicazione del Pencak. Il combattimento vero e proprio.
Pencak può anche significare e rappresentare il ‘metodo di educazione’, mentre Silat è ‘amicizia’.
In questo caso, il Pencak Silat rappresenterebbe il modo per imparare a vivere in armonia nella comunità attraverso l’esercizio fisico.
Pukulan deriva dal termine Pukul. Colpo, percossa. Pukulan è l’arte del colpire, colpo multiplo. Il termine è tipico Javanese, utilizzato nella comunità ‘Indo’, un’etnia di sangue misto indonesiano e olandese.
Pecutan vuol dire frustato. Da Pecut: frusta Un nome coniato per ricordare i molti colpi frustati presenti e caratteristici dello stile
All’interno del bordo rosso, come una corona di alloro, a rafforzare i bordi e fare da cornice a ulteriori simboli all’interno, vi sono due steli di ‘Padi’, il riso.
Onnipresente. Rinvigorito annualmente dalle abbondanti piogge, con le piene dei fiumi, con il drenaggio, l’arginatura, la costruzione di terrazze e l’irrigazione dei campi, il riso è tra le fonti primarie di cibo in Indonesia e in tutto il resto dell’area su-est asiatico.
Esso rappresenta la saggezza che deriva dalla maturità e dalla prosperità. Una volta cresciuto, tenderà verso il basso, rappresentando l'umiltà del praticante. Crescente parallelamente al suo grado di esperienza.
Subito dentro al riso, posti in modo verticale, vi sono due armi. Un ‘kris’ e un ‘cabang’.
Il Kris (Keris), con la punta necessariamente rivolta verso l’alto, non è una mera arma, ma anche un simbolo culturale. Alcuni credono che la sua forma serpentina sia così in onore alla divinità serpente Naga. Vi sono miti e leggende fondate su quest’arma e genericamente in tutto l’arcipelago si ritiene che la sua lama abbia una vita propria, poteri e possa contenere o emettere influssi positivi o negativi in base agli spiriti e demoni che in esso albergano. Principalmente, tuttavia, il kris è un simbolo di identità culturale, con tutto ciò che comporta.
Il Cabang (Trisula, Siku-Siku) è un’altra arma tipica dell’arcipelago malese.
Presente anche in Cina e in Giappone con nomi diversi, ricorda un tridente la cui lama centrale supera di circa tre volte le due ai lati. Vi sono esemplari che hanno le lame laterali in direzioni opposte. Questi prendono il nome di siku-siku. Nel logo del Pukulan Pecutan il Cabang rappresenta le diramazioni: il Pukulan Madura Kombinasi di Pak Flohr.
Al centro vi è, come un serpente eretto pronto ad attaccare, una lunga frusta di cuoio. Parte dal basso e si innalza come un lazzo riavvolgendosi più e più volte su se stessa. Strumento per scacciare gli spiriti maligni, arma divenuta caratteristica di combattimenti che avvengono in occasione di alcune festività, la frusta ricorda i movimenti frustati dell’Arte e richiama il nome ‘Pecutan’. Da ‘pecut’: frusta.
(La C si legge sempre morbida. Esempi: Pecutan si legge Peciutan. Pencak si legge Penciak).
Avvolta nella frusta, campeggia una grande testa rossa di bufalo d’acqua. Il Karbau.
La testa di bufalo d’acqua è il retaggio del vecchio logo dell’Arte del Pukulan Madura.
Un animale sacro. Utile e allo stesso tempo considerato irritabile e scontroso. Fu scelto di porla in modo obliquo a simboleggiare l’atto di attaccare. Rappresenta così senza mezzi termini le caratteristiche dell’Arte: niente tregua. Un atteggiamento offensivo dall’inizio alla fine. A costo della vita e fino alla morte.

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #93 on: September 08, 2011, 16:10:10 pm »
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un sentito GRAZIE per i positivi commenti  :)

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Offline GiBi

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #94 on: September 08, 2011, 17:04:22 pm »
0
un sentito GRAZIE per i positivi commenti  :)

Te li meriti tutti  ;)


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Offline Krypteia

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #95 on: September 08, 2011, 20:47:25 pm »
0
Claudio ti rinnovo i complimenti anche io.
Scrivi veramente BENE e riesci a trasmettere in maniera incredibilmente vivida tutta una serie di emozioni e di sensazioni fisiche.
Der Vogel kämpft sich aus dem Ei. Das Ei ist die Welt. Wer geboren werden will, muss eine Welt zerstören. Der Vogel fliegt zu Gott. Der Gott heisst Abraxas.

La vita non mi ha mai interessato quanto l'evasione dalla vita stessa.


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Offline Dottor Wolvie Killmister

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #96 on: September 08, 2011, 21:13:33 pm »
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riesci a trasmettere in maniera incredibilmente vivida tutta una serie di emozioni e di sensazioni fisiche.

Trattandosi di quell'Arte, non potrebbe essere altrimenti. E' un qualcosa di abbagliante, vedere i praticanti muoversi è illuminante. Va da sè che la mente ne rimanga impressionata così indelebilmente, come un laser che incide un disco ottico.

Fondatore dell'omonimo sistema di difesa personale!

https://www.artistimarziali.org/forum/index.php?topic=3886.0

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Offline Krypteia

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #97 on: September 08, 2011, 23:19:47 pm »
+1
Va da sè che la mente ne rimanga impressionata così indelebilmente, come un laser che incide un disco ottico.

Quanto sei industrial  XD
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Offline Prototype 0

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #98 on: September 08, 2011, 23:40:13 pm »
0
Va da sè che la mente ne rimanga impressionata così indelebilmente, come un laser che incide un disco ottico.

Quanto sei industrial  XD
Bella questa!!

Tutto Torna

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #99 on: September 09, 2011, 09:11:10 am »
+7
Parte XVIII - Di praticanti di Pukulan ce ne sono 5

 

Fu durante una conversazione notturna con Walter che venne fuori un interessante discorso.

“Walter, ho dimenticato di dirti che possiedo un Kris. Ultimamente ho pensato tanto a questa cosa e a come nella vita ci si trova oggetti, così per caso, che apparentemente sembra non abbiano un’attinenza con noi o con ciò che facciamo. E invece, magari ci tocca solo aspettare e vedere che tutto prende il suo posto prima o poi”.

“Si, vero”, mi rispose.

“E’ originale il tuo kris, Claudio?”.

“A dire il vero, non ne ho la minima idea. Un amico tanti anni fa me lo regalò. Amava frequentare un mercatino dell’antiquariato la domenica mattina e vide questo oggetto. Pensò di prenderlo per me. Non ricordo neanche se lo fece per un regalo di compleanno o se è stato un gesto senza motivo. Un regalo a sè”.

“Cerca di capirlo Claudio”, aggiunse.

“Un kris può essere un buon oggetto da avere in casa. Ma potrebbe anche non esserlo”.

“Cosa vuoi dire?”, gli chiesi.

“In Indonesia si pensa che i kris abbiano un’anima. Che la loro lama abbia un anima. Quest’anima può essere nel Kris nel momento in cui viene forgiato. Molto dipende da chi lo ha forgiato. Il Silat e l’Indonesia ha molte credenze. Ti troverai spesso di fronte a questo genere di cose se diventerai un praticante di Silat”.

“Walter, io ho spesso la sensazione che tutto ciò dovesse accadere prima o poi. Ci sono cose che ci lasciano pensare che gli eventi siano scritti e altre che accadano a caso. Io non so quale sia la verità, ma penso che tutta questa faccenda del Pukulan, il modo, i tempi, è come se fosse già tutto preordinato e scritto”.

“Fidati delle tue sensazioni, Claudio. Magari non è così o magari lo è. Chi può saperlo. Se senti che qualcosa è importante, che merita i tuoi sforzi, le tue attenzioni, il tuo impegno, allora portala a compimento senza incertezze. Abbiamo questa vita. Non sappiamo se ce n’è un’altra. Quindi, fa quello che desideri fare”.

“E’ quello che sto facendo. Ma mi trovo spesso a pensare che è talvolta spesso una questione di fortuna, tempi giusti. Se non fossi stato lì quel giorno, al seminario a Milano, se non avessi visto questo modo di praticare …. Conosci quel detto tanto famoso nelle arti marziali: il Maestro arriva quando l’allievo è pronto. Ecco. Rispecchia ciò che penso”.

“Io non sono un maestro, Claudio. Non si considerava maestro il mio insegnante. Mi ha sempre detto che nel Pukulan siamo tutti principianti. Tutti costantemente impariamo. E si impara anche dalle persone a cui noi insegnamo e trasmettiamo l’Arte. Come posso io pensare di me di essere un Maestro, un Guru, quando pratico da poco più di trenta anni, mentre chi insegna o insegnava a me e pratica da oltre cinquanta mi dice che lui non è un Maestro? Claudio, io nella mia vita ho conosciuto solo cinque praticanti di Pukulan. E sono nell’ambiente da oltre trenta anni. Credimi. Ne ho visti e conosciuti solo cinque. E io non sono tra questi cinque”.

Ero perplesso. Walter, dopo trenta anni di Pukulan non si riteneva un vero praticante. Avevo visto in passato persone che si ritenevano praticanti, insegnanti, Guru, maestri o istruttori, dopo così poco tempo che le parole di Walter mi sembravano assurde. Ma lui non parlava di essere Maestri, ma semplici praticanti. Iniziavo a cogliere l’essenza della sua mentalità e del loro modo di vedere quell’Arte.

“Io vedo i miei insegnanti come dei Maestri”, continuò.

“Ma non loro. Non si sono mai comportati o atteggiati come tali. Sono le persone che da loro apprendono a vederli in quel modo. Un Maestro può finire mai di imparare? Se si, come può un Arte essere ‘finita’? Se no, se un Arte non ha fine, se non la si finisce mai di apprendere, se ci sono sempre cose nuove da scoprire, e ti assicuro che è così, allora come si fa a sentirsi Maestri? Per apprendere davvero un’Arte non basta una vita. Anzi. Pensare di poterlo fare è pura illusione. Per questo motivo sono ridicoli quei personaggi che dicono di praticare, conoscere o insegnare più arti marziali, più stili, più sistemi. Quando credi che non basti una vita per capirne una, come pensi di accettare una mentalità come quella di chi studia e dice di conoscere dieci stili? Io prendo il primo Jurus del Pukulan Pecutan. Parlo del primo, non dell’ultimo. Lo eseguo e dopo oltre trenta anni scopro nuove cose e nuovi aspetti. Come si può passare oltre? Come si può mettere da parte e studiare arti e meccaniche così in contrasto tra loro e pensare di poterle padroneggiare. Se è possibile, allora Claudio, ammetto di non aver capito nulla. Sono io un inetto e gli altri sono dei geni. Tanto di cappello”.

“Capisco”. Non sapevo cos’altro dire. Avevo fatto parte di quella mentalità e ancora di Pukulan non capivo nulla. Il mio allenamento ancora non era iniziato. Ma per Walter non era così. Per lui io stavo già apprendendo. Non fisicamente. Non tecnicamente. Non le meccaniche, i Jurus e i movimenti. Stavo entrando nella mentalità di chi lo praticava. Del loro modo di vedere quell’Arte e le altre. Venivo introdotto al loro ‘Adat’. Il loro modo di comportarsi, di agire e di pensare.

Ma il discorso divenne più interessante.

“Claudio, il nostro modo di allenarci o comportarci onora o disonora chi ci ha trasmesso l’Arte e va a ritroso nel tempo agli antenati. Come nella vita, se il tuo comportamento è disdicevole verso gli altri e verso te stesso, allora disonori tuo padre, tua madre, la tua famiglia e il suo nome, allo stesso modo se la tua pratica non rispetta certi canoni, se vendi te stesso e vendi la tua Arte, se ti alleni in modo blando e senza voglia, senza impegno, allora è meglio non farlo. ‘Show Good or Don’t Show’, ricordi? Quello vale sempre”.

Fa bene le cose o non farle. Ricordavo quell’espressione.

“Noi sappiamo che se la nostra pratica è buona, allora non potrà che migliorare ulteriormente. Crediamo nella benedizione degli anziani che ci hanno preceduto, e dei loro insegnanti e degli insegnanti dei loro insegnanti, fino al fondatore. Chi pratica e esegue porta con se lo spirito di tutti loro e da loro riceve nuovo impeto e benedizione. Ne riceve energia e conoscenza. Se si pratica in modo sbagliato avviene il contrario. Non importa se ciò è vero o meno. Ciò che conta è che nella nostra mentalità ci sia questo modo di agire e di vedere le cose. Onore e rispetto. Verso se stessi, verso gli altri, verso chi ci insegna e verso coloro ai quali trasmettiamo a nostra volta. Quando pratico non mi sento mai solo. Quando combatto non mi sento mai solo. Se ho la benedizione degli anziani, se mi trovo in difficoltà gli anziani sono con me. Io porto con me a ogni movimento il sapere di chi mi ha trasmesso e ho il dovere di usarlo bene. So chi mi ha insegnato che persona era, so come si comportava, come era ‘paterno’ verso i suoi studenti e con quale amore e senza chiedere nulla in cambio se non impegno e costanza amasse trasmettere quest’Arte. Io non posso comportarmi diversamente. Lui era ospitale e aperto agli altri, lo stesso faccio io. Lui insegnava senza chiedere soldi. Lo stesso faccio io. Lui era un esempio e io cerco di rendere onore alla sua memoria facendo altrettanto”.

Tutto sembrava logico e normale. Ma non lo era. La mentalità corrente non era e non è quella.

Era come se qualcuno stesse per affidarti un diamante, ma senza volerlo poi indietro. Eccolo, è tuo. Curalo, fanne buon uso. Donalo. Se riesci fallo a pezzi e dividilo con altri, ma non sprecarlo. Non tenerlo lì inutilmente. Non darlo a tua volta a chi non credi possa curarlo altrettanto bene. E se non sai cosa farne, allora non accettarlo. Darlo ad altri non è una necessità ne un guadagno.

Quante volte avevo visto aprire negozi e supermercati da una pietra mai lucidata e opaca.

Avevo a disposizione qualcosa che era stata conservata lucida e mi veniva offerta la possibilità di averne cura. Ne sentivo tutta la responsabilità. Walter mi stava responsabilizzando. Forse mi stava addirittura caricando il tutto di un peso eccessivo, oltre misura, mi stava dando un fardello maggiore di quello che in seguito si sarebbe rivelato? Cercava di capire se avessi la voglia di abbracciare quel modo di vedere le arti marziali ormai quasi fuori moda, perso, estinto. Un fossile. Io stesso mi chiedevo continuamente se fossi in grado di accettare l’impegno. Temevo di sfigurare, di non essere all’altezza. Ma forse tutto ciò faceva parte dell’allenamento. Non quello fisico, ma quello spirituale.

Non avevo la minima intenzione di rinunciare al Pukulan. Anche se avessi rischiato di sentirmi dire: mi spiace Claudio. Ma non è per te. Il desiderio di potere indossare un giorno quella maglia a strisce, che a prima vista mi risultò così strana, iniziava a farsi sentire con prepotenza e i discorsi di Walter invece di avvilirmi e farmi desistere, stavano avendo su di me l’effetto completamente opposto.
« Last Edit: September 09, 2011, 09:23:05 am by Claudio Alfarano »


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Offline Ethan

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #100 on: September 09, 2011, 09:19:41 am »
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in quest pagina hai superato te stesso

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Offline bushi highlander

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #101 on: September 13, 2011, 18:30:31 pm »
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Seguo con attenzione! Claudio, dovresti fare lo scrittore... :) :) :)
Tas e tira!

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #102 on: September 14, 2011, 09:50:11 am »
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Parte XIX- l’importanza di una discreta ricerca

 
“Ma stavamo parlando del tuo Kris”, mi rammentò Walter.

“Giusto. Come sempre iniziamo a parlare di qualcosa e ci spostiamo di argomento in argomento”, aggiunsi. Gli argomenti erano sempre tridimensionali. Andando in profondità con uno di essi si scoprivano nuove sfaccettature e nuovi interi panorami si aprivano agli orizzonti della curiosità.

Si poteva discutere di qualcosa, ma si sapeva che si sarebbe automaticamente tirato in ballo per associazione di idee qualcos’altro. Tecnica, storia, magia, cultura, personaggi, era tutto così amalgamato da non riuscire a distinguere e separare una nozione dall’altra. D’altronde per un curioso cosa v’è di meglio del ricercare persino il filo del discorso perso. Quando l’interesse per qualcosa potrebbe abbracciare così tanti campi di ricerca da essere troppo ampio per essere contenuto tra le proprie braccia.

“Non so minimamente se il mio kris sia originale o meno”, conclusi.

“Beh, cerca di scoprirlo”, scrisse.
“Già! E come?”, gli chiesi.
Per qualche decina di secondi non mi rispose. Pensai che fosse indaffarato a chattare con qualche signorina. Poi, la risposta.
“Chiedilo al tuo kris”. Appena dopo quella curiosa risposta aggiunse un “hahahahahaha”.
“Ok, è ufficiale. Mi prende per il culo”, pensai.
Aggiunse poi: “sul serio Claudio. Chiedilo al tuo kris”.

Ricordai le storie dei kris che avevo letto e sentito. La risposta, tuttavia, mi lasciò perplesso. Se fossero state vere potevano funzionare con esperti. Con persone che masticavano dell’argomento. Feci notare la cosa a Walter che mi spiegò che se un kris è originale e forgiato in un certo modo, la sua lama, avendo un’anima, avrebbe potuto parlare al suo proprietario.

“Claudio, un kris è formato da varie parti e da vari materiali. Lava la lama del tuo kris nel succo di limone in modo da tirare fuori i Pamor dal ferro. Tira via le impurità. Rendigli omaggio. Se il kris è ‘originale’ farà in modo di fartelo sapere”. Ma io non sapevo nulla di quelle strane faccende. Lavare un kris? Rendergli omaggio? Ma non sapevo neanche come impugnarlo e rendergli omaggio salutandolo. Ammesso che credessi a quelle storie, e non ci credevo, come avrei potuto farmi dire
dal kris se fosse o meno originale?
E quei termini usati da Walter? Pamor?
Tempo prima comprai via internet un libro di uno dei primi che si interessarono alle arti marziali del sud est asiatico e indonesiane: Donn F. Draeger.

Reperire buoni libri sulle arti marziali è sempre stato difficile.
Quasi tutti i testi scritti sull’argomento magnificano uno stile o sono superficiali ricerche sullo stile praticato, senza alcuna bibliografia, senza alcun rigore storico e scientifico. Scritti per sentito dire, trasmissioni orali, spesso da palestra e nulla più. La mancanza di documenti validi sulle arti marziali orientali ha sempre stimolato il proliferare di amenità, inesattezze storiche e geografiche o i soliti luoghi comuni che lo stile y provenga dallo stile x o che il paese x ha trasmesso la sua cultura marziale al paese y.

Documenti seri e ben scritti sulle arti marziali in genere, soprattutto in lingua italiana, scarseggiano. Anzi, non ne ricordo neanche uno. D’altronde non sarebbe un compito semplice. Solo su uno stile si potrebbero scrivere vari trattati, come si potrebbe compilarne uno che abbracci tutto lo scibile marziale con le sue svariate migliaia di stili, sistemi, sottostili e affini?

Possibili sono solo brevi e rapide panoramiche. Voli di gabbiano sulle caratteristiche basilari e storiche dei più famosi stili praticati. Scritti, comunque da non praticanti di questi stili o al massimo solo da un paio di essi. Con approfondimenti, ci mancherebbe, riguardo a ciò che quegli stessi scrittori praticano.

Prima che la mia tesi deviasse verso il Jeet Kune Do di Bruce Lee e la sua filosofia doveva essere sulla storia delle arti marziali cinesi.
Un compito infame. Libri reperibili? Qualcuno in cinese.
Il professore che mi seguiva in quella scellerata scelta era un esperto della materia. Un non praticante, ma un ricercatore della civiltà guerriera del ‘Paese di Mezzo’ (la Cina). Mi consigliò di leggere e tradurre, anzi, tradurre e leggere testi letterari sui cavalieri erranti, romanzi in cui vi erano scene di combattimenti. Ma tutto era combattimento armato. Storie di spadaccini, alabarde, carri. Di arti marziali a mani nude, come siamo abituati a pensarle, nulla. Cenni storici in libri sulle storie e civiltà orientali? Nulla! Strategie militari, stratagemmi, carri, eserciti, cavalli, l’equitazione, il tiro con l’arco. Leggevo che la difficoltà nel reperire il materiale era dovuto alla ‘moda’ in Cina di bruciare i libri periodicamente. Io ci scherzo, ma in realtà ciò avvenne diverse volte. Il primo fu Qinshi Huangdi, primo imperatore della Cina nel 221 a.C., seguace della scuola legalista. Questi ordinò di bruciare tutti i libri di svariati argomenti precedenti a lui. Medicina, arte, storia, filosofia. Tutto o quasi venne bruciato. Mao riprese questo piacevole passatempo cercando di azzerare la cultura cinese precedente. Tutti presero un po’ troppo alla lettere il consiglio del filosofo taoista Laozi, quando scrisse nel suo Daode Jing che per governare era necessario tenere il popolo ignorante.

Ma sto perdendo il filo del discorso.
Ad ogni modo. Avevo tanti libri sulle arti marziali orientali e mi accorsi che non avrei mai potuto scrivere la mia tesi basandomi su di essi. Il mio professore controbatteva ogni affermazione sulle origini delle arti marziali che avevo letto su quei testi chiedendomene una validità. Bibliografia, fonti, dov’erano?

Lo odiavo sempre di più e continuando a scrivere mi rendevo conto che in mano non avevo nulla. Carta inutile accumulata in tanti anni. Nomi di luoghi errati, date errate. Mi metteva continuamente di fronte all’evidenza dell’inutilità di libri scritti in quel modo. Collezioni di luoghi comuni e nulla più. Fui costretto a cambiare argomento, mutando la ricerca storica sulle arti marziali cinesi in qualcosa che era più semplice e vicino: Bruce Lee e il Jeet Kune Do.

Non ci accordammo mai neanche su quello. Bruce Lee era troppo iconoclasta per lui, tradizionalista convinto. Andai fino a Varsavia per discutere la bozza finale della tesi e tornai, in macchina, con una risma di fogli segnati in rosso e i nervi a fior di pelle per la continua polemica con lui avvenuta per cinque ore filate su di una panchina appena fuori un grande parco della capitale polacca.

Cambiai relatore e non contattai mai più il buon Kristoff G.
Ma appresi a cercare.
Ora non posso che ringraziarlo. Non accetto nulla per oro colato. Ogni libro viene da me analizzato dalle ultime pagine. La bibliografia e le fonti che lo hanno ispirato. I dubbi non sono più l’ostacolo, ma il vettore che mi porta altrove e mi spinge a cercare meglio e più a fondo.

Attualmente se vedo un libro interessante guardo la bibliografia, leggo le note e mi segno i testi principali e gli autori. In rete reperisco liste di altri libri pubblicati da quegli autori e, se è il caso, acquisto i testi in lingua originale. A sua volta, cerco nella bibliografia e se è il caso, mi informo prima, compro poi i libri che più frequentemente appaiono nelle note e come fonti principali. Così, vado a ritroso.

Ho appreso che le arti marziali sono state, nei secoli, principalmente o quasi del tutto arti armate.
Per trovare fonti attendibili su qualcosa a mani nude si deve guardare al XX secolo. Massimo al secolo prima. Raramente si trova materiale precedente. D’altronde, in guerra è armati che si andava, il trovarsi a mani nude e disarmati era un errore, una distorsione o una fatalità.

Dunque, se leggete o sentite persone che vi raccontano storielle su millenari stili arrivati fino a noi così, a mani nude, trasmessi nelle palestre e da maestro a allievo, allora fatevi due conti.
I migliori libri sull’argomento sono quelli che mettono dubbi e stimolano nuove ricerche. Non quelli che danno le risposte. Poiché non ve ne sono di certe.

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Offline conanramon

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #103 on: September 14, 2011, 20:01:58 pm »
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"Ho appreso che le arti marziali sono state, nei secoli, principalmente o quasi del tutto arti armate.
Per trovare fonti attendibili su qualcosa a mani nude si deve guardare al XX secolo. Massimo al secolo prima. Raramente si trova materiale precedente. D’altronde, in guerra è armati che si andava, il trovarsi a mani nude e disarmati era un errore, una distorsione o una fatalità."


questo è un tema molto interessante che meriterebbe apposito thread

Io non ho avuto modo do fare ricerche approfondite come le tue ma la penso come te:  ho visto vari documentari di antropologia relative alle aree geografiche piu diverse del pianeta e non ho mai  visto arti marziali a mani nude praticate ma solo armate, tutti i libri che ho letto relativi alle popolazioni precolombiane mi hanno confermato tutto ciò

forse c'era qualcosa a livello di gioco tipo la lotta senegalese in qualche civiltà, ma penso fosse piu un gioco per le feste che un arte marziale vera e propria

del resto che se si guarda ai top mma  e si pensa che fedore emilanenko è stato operato dal piu bravo chirurgo russo specialista in chirurgia della mano, cro cop è andato in svizzera per farsi operare al tallone e ha un impianto , minotauro ha subito 2 interventi all'anca e uno credo al ginocchio etc. e si osservano le prime protesi dei Navaho i conti tornano....


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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #104 on: September 30, 2011, 10:13:54 am »
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APPENDICE – … DA CIELO E TERRA

Illustrissimo Signor Bauer
Mi chiamo Hasyim M. Gumacep, sono nato e vivo a Bali e ho l’onore di ritenermi un caro amico del Signor Eijkman, suo stimato collega.
Prima di tutto La prego di scusare il non poterle scrivere nella sua lingua, ma so che lei padroneggia alla perfezione l’olandese e mi sarà più facile comunicare con lei usando l’idioma del nostro comune amico.
Su segnalazione dello stesso Signor Eijkman, nonché per correttezza, mi preme informarla di alcuni particolari circa la sua richiesta di acquisto di alcuni kris per il suo negozio di antiquariato a Dusseldorf.
Io e il Signor Eijkman siamo legati da antica e vera amicizia e in un certo qual modo, anche a ragione delle numerose volte in cui il Signor Eijkman mi ha parlato di lei, ho un po’ la sensazione di conoscerla, seppure indirettamente, e le chiedo la libertà di sentirmi anche un po’ suo amico.
Per questo motivo mi accingo a rubarle qualche minuto della sua giornata per fornirle alcune notizie e informazioni sugli oggetti da lei indirettamente richiesti.
Capisco perfettamente che a occhi occidentali ciò che sta per leggere potrà sembrar pittoresco e bizzarro, anzi, oserei dire grottesco, tuttavia certe tradizioni e credenze sono così profondamente radicate in Indonesia, così come a Bali, da non poter fare a meno di richiedere la sua attenzione.
Un kris non è un’arma. Ovvero, non è solo un’arma. Tantomeno un mero oggetto da collezionare o riporre su un mobile. La invito, nonostante la ricercatezza o ricchezza dei materiali, a non considerarlo neanche un gioiello. A dispetto del prezzo che può meritarne l’acquisto.
Un kris è un simbolo.
Trovo difficoltà a spiegarle quanti significati può avere per noi possederne uno. Trovo difficoltà a riassumerle, evitando così di tediarla oltre misura, le caratteristiche intrinseche. Ciò che non si vede.
Quale stimato antiquario lei certamente sarà già a conoscenza delle specifiche dell’oggetto in sé, ciò che mi preme spiegarle è di natura spirituale e mistica. Poiché, nonostante esistano libri sull’argomento e sui materiali, le forme e le altre sue caratteristiche fisiche, ciò che si tralascia spesso sono le descrizioni e le informazioni su cosa è e significa un kris per un indonesiano o un malese.
Vedrà che dopo questa lettura un kris assumerà nuova luce e valore.
Le chiedo umilmente di perdonarmi nel caso le scrivessi cose di cui lei è già a conoscenza
Cielo e Terra.
Un kris ne è la congiunzione.
Creato e forgiato non da un uomo, bensì attraverso un uomo, si narra che i primi fossero stati fatti usando pietra meteoritica. Un enorme meteorite giunto dal cosmo, recante i suoi poteri, sulla nostra grande isola.
Caduto dal cielo o raccolto nelle viscere della nostra terra, il frutto del Cielo o della Terra.
Si pensa che il kris sia nato in Indonesia e poi diffusosi anche in Malesia. Ad ogni modo, vi diamo così tanta importanza da dar vita al detto: ‘Giava senza kris non sarebbe Giava’.
Storia e leggenda si mescolano fino a rendere difficile il distinguerle. Bassorilievi nei templi, antichi manoscritti, leggende orali, studi accademici, ci sarebbe così tanto da narrarle sul kris, ma voglio erudirla sul significato e nulla più.
Alcune leggende ci narrano della nascita del kris a Giava, all’epoca del regno di Majapahit.
La conferma è un bassorilievo nel tempio di Suku, datato XIV secolo, in cui vi è raffigurato Bima, il Dio-Guerriero, che a mani nude forgia un kris usando le proprie ginocchia come incudine.
Al di là delle leggende e delle supposizioni, l’origine del kris resta oscura.
Talvolta per comprendere il significato di qualcosa, però, non è tanto alla storia che si deve guardare, ma ai miti e alle leggende. Il suo significato in quanto simbolo è lì meglio rappresentato.
Eroi, semidei, guerrieri mitici, re, il kris è legato ad ognuno di loro, alle loro fortune o rovine, spesso ai loro poteri e abilità in battaglia.
Tra i primi possessori di kris si annoverano il re Hindu Sakutram, il re-guerriero Panji, Radin Inu Kartapati, re di Janggala nel XIV Secolo.
Tra questi il leggendario eroe malese Huang Tuah. Si dice che il kris di Huang Tuah non avesse fodero e che anzi considerasse come proprio fodero il corpo del nemico. Che potesse persino volare di propria volontà fino al bersaglio prescelto.
Ma parlando di poteri di un kris, come non accennare a Raden Patah, il guerriero musulmano che combatté il regno di Majapahit. Il suo kris aveva il potere di scatenare dalla sua punta interi sciami di calabroni.
Stimato Signor Bauer, un kris ha caratteristiche uniche che lo rendono un oggetto speciale. Ogni materiale ed ogni sua parte è densa di significati e credenze che affondano nella nostra storia e nelle nostre tradizioni. La lama e i tipi di ferro, l’impugnatura, il manico. Non ultimo il fabbro che lo ha forgiato. Tutto ciò dà ad ogni kris le sue caratteristiche ultime e uniche. Nonché i suoi poteri.
Immagino che queste parole possano suscitare scetticismo. E’ perfettamente comprensibile. Ma ciò che conta non è se tali leggende e credenze siano vere o mero frutto di fantasia. Ciò che conta è la forza spirituale che l’oggetto grazie ad esse riesce ad assumere. Ed è questo che ci si trova tra le mani quando si impugna un kris. Non solo la purezza o la preziosità dei materiali.
Siamo un popolo che crede che tutti noi siamo in continuo contatto con le forze dell’universo, con le sue influenze positive o negative. Crediamo che certi oggetti possano assorbire tali energie e ritrasmetterle all’ambiente circostante e al suo possessore. Una forza misteriosa avvolge il creato e tutti gli esseri. Noi chiamiamo questa forza con il nome di ‘mana’. Il ‘mana’ è l’energia intrinseca delle cose. E’ il loro spirito. Un oggetto dotato di tale forza aumenta il suo potere con il tempo e l’accumularsi degli eventi. Ma non solo eventi esterni possono agire su tale potere. Le caratteristiche stesse dei materiali scelti e di chi lo ha forgiato ne aumenta tale potere.
Per questo, sappiamo che un kris può costituire un vantaggio o una danno per il suo possessore.
Persino le misure di un kris possono essere ritenute fortunate o meno. Un kris che andasse oltre le ‘misure fortunate’ sarebbe ritenuto sfortunato e si pensa che prima o poi possa rivoltarsi contro il suo stesso possessore.
Per noi un kris ha di base sempre una forza positiva, ma che tuttavia questa forza, anche se positiva, potrebbe non venir bene gestita dal suo proprietario. Un kris adatto ad un guerriero potrebbe non esserlo per un contadino. Uno perfetto per un Adhipatti (reggente) potrebbe non esserlo per persone di rango inferiore. In realtà, ogni kris dovrebbe essere forgiato e destinato ad un individuo preciso.
Ogni kris può conservare ricordi positivi o negativi e liberarli in determinati momenti o a determinate persone. Un kris trafugato durante un saccheggio in cui sono avvenuti stupri, violenze e che apparteneva a qualcuno ucciso per prenderglielo non è un oggetto consigliabile da tenere in casa. Potrebbe significare sfortuna e malasorte per l’abitazione in cui è esposto o per il suo possessore fino ai suoi discendenti. Un tale kris potrebbe venir considerato maledetto e portatore di sventure e maledizioni. Fino alla possibilità di contenere al suo interno presenze malevole. Logicamente, potrebbe essere il contrario. Tutto varia in base alla storia e agli eventi legati a quell’oggetto. Scegliere un kris non dovrebbe essere una cosa fortuita o affidata al caso. Ci sono precisi segni che fanno capire se un kris è adatto ad un preciso possessore o acquirente: l’importanza di chi lo ha forgiato, i disegni sulla lama, il numero di uccisioni o di volte che ha versato sangue.
A tale proposito vorrei aggiungere che s’è sviluppata la credenza che un kris, considerato anche l’arma della vendetta, potesse aumentare il suo potere in base al numero delle uccisioni compiute. Soprattutto in Malesia si crede ancora che un kris ferendo o uccidendo qualcuno ne aspirasse l’anima e che bagnandosi del sangue della vittima ne assumesse abilità e conoscenze.
Un kris autentico dovrebbe essere perfetto nelle forme e nei materiali scelti. Nella lunghezza e nell’ampiezza della lama, nel numero di ‘curve’. Un kris autentico lo comunica al proprio possessore prima o poi e il proprio possessore dovrebbe rendergli omaggio conservandolo con cura, onorarlo secondo riti particolari e in giorni particolari. Dovrà lavarlo con succo di limone. Ficcarne ad esempio la lama in un tronco di banano o immergerla in un bambù ricolmo d’acqua. I giorni migliori per certi rituali variano da zona a zona. Tra giovedì e venerdì per i giavanesi, in occasione di alcune festività come il ‘jumat kliwon’ o il venerdì per i malesi o le etnie musulmane.
Soprattutto a Bali crediamo ch il potere di un kris possa perdurare a lungo se lo trattiamo con cura
onorandolo con offerte secondo il calendario balinese, al punto da fermare le piogge durante i giorni delle cerimonie o al contrario far piovere durante le stagioni secche. Crediamo che possa anche comandare il fuoco. Puntando la lama su un oggetto infuocato si pensa sia possibile spostare la fiamma o l’oggetto altrove a piacimento.
Ma numerosi possono essere i poteri di un kris: rendere invisibili in battaglia, concedere la facoltà di farsi obbedire, c’è chi dice di aver visto acqua colare dalla lama di un kris. Il fenomeno è possibile quando sono stati praticati precisi incantesimi e la lama strofinata tra pollice e dito indice, con un movimento simile a quello usato per mungere una mucca.  Dopo le prime poche gocce il flusso può aumentare e la lama può diventare flessibile. A fine processo la lama ritorna alla normalità.
Si dice anche che un kris possa uccidere una persona designata anche semplicemente puntandoglielo contro.  C’è chi crede che un kris possa saltar fuori dal fodero e combattere per il proprio possessore o che un kris possa avvertire il proprio possessore del pericolo vibrando.
Ad ogni modo, i poteri di un kris devono essere usati per emergenza o necessità e mai per vanità o dar spettacolo.
A dare tutti questi poteri è l’unione dei vari elementi e dei vari materiali con cui l’arma è stata creata. Non solo la lama ha i suoi poteri, grande ricercatezza e attenzione viene prestata anche al fodero o all’impugnatura.
Spesso il fodero di un kris è fatto di legno (kayu). Generalmente viene scelto il ‘timoho’. Quello del ‘timoho’ è un albero speciale. Si crede che in esso viva uno spirito che si manifesta nelle sue venature. Questo legno viene estratto solo dagli alberi tagliati in giorni particolari indicati dalla tradizione e la cui inclinazione verso un determinato punto cardinale rispetta i canoni previsti.
In particolare a Bali, alcuni tipi di legno come il ‘kayu kelet’ è considerato un dono del Cielo e per questo non viene mai coperto da altri materiali, neanche con l’oro.
Anche le impugnature danno maggior potere e ‘mana’ ad un kris. I materiali vengono scelti con cura e attenzione. L’avorio ricavato dal molare dell’elefante ha il potere di contrastare le energie negative e la magia nera mentre il corallo nero ha potenti proprietà talismaniche.
Peculiare è l’abitudine di porre nell’impugnatura dei kris, talvolta, dei capelli umani. Questi vengono considerati portatori della forza dei loro possessori.
Le figure intagliate o scolpite sulle impugnature aumentano ulteriormente l’energia di un kris.
Soprattutto a Bali usiamo incidere e cesellare dei, guerrieri, demoni, figure mitiche o eroiche per aumentare il potere protettivo dell’arma.
Ma il cuore di un kris è la sua lama. Lì risiede gran parte del suo potere. La sua lama è viva.
Nonostante possa essere anche dritta, un kris è facilmente raffigurato con una lama dalla forma serpentina.
Diamo importanza al serpente come animale. Esso ha molteplici significati: Dio delle tenebre e del profondo, signore delle acque del mondo sotterraneo e delle forze della natura o della fecondità.
Naga è il serpente o drago-serpente e non di rado viene inciso o aggiunto sulla lama per mezzo di altri materiali, quasi come una lunga striscia d’oro che percorre tutta la lunghezza della lama.
C’è chi affonda la lama di un kris appena forgiata nel cervello e nelle viscere di un serpente per aumentarne l’energia.
Altri animali mitici e figure vengono incisi su di essa, da demoni a figure ibride, unioni del mondo umano e quello animale.
Ma della lama, ciò che più conta e la rende unica è il ‘pamor’.
Secondo il particolare disegno del ‘pamor’ un kris può avere influenze positive o nefaste. I vari tipi di ‘pamor’ hanno un loro nome pittoresco in base a ciò cui rassomigliano. La marezzatura o damaschinatura di un ‘pamor’ può essere orizzontale, verticale, a spirale. Ognuna ha i suoi poteri.
Vi sono ‘pamor’ dai poteri negativi. Può accadere che tale disegno esca di sua spontanea volontà e non voluto da colui che lo ha forgiato. In questi casi il kris viene gettato via o regalato ad un museo, ma può avvenire che il proprietario lo voglia tenere. In quel caso sarà necessario dotarsi di un kris il cui ‘pamor’ sia in grado di contrastare o allontanare le influenze negative dell’altro.
Mio stimato lettore e amico, peccherò di orgoglio confessandole che ho l’onore di appartenere ad un’antica famiglia di fabbri. Mio padre e a sua volta suo padre e il padre di suo padre si sono tramandati questo ‘pusaka’ (eredità). Sono umilmente l’ultimo, anche come esperienza, ma cerco di tener viva questa tradizione. Le nostre conoscenze e abilità si sono sempre tramandate da padre in figlio. Mio nonno lavorava a corte e creava kris per i reggenti.
Grande onore gli fu riservato dal raden adhipatti di Bali (reggente). Grazie alla sua abilità visse a corte, esentato dalle tasse, libero unicamente di dedicarsi alla forgiatura di kris unici e irripetibili. Gli fu concessa in sposa una fanciulla nobile e così, nel mio sangue vi è ancora traccia di tali origini. Il nome della mia famiglia è riportato nelle genealogie degli scribi di corte, insieme al nostro stile di famiglia, al tipo di ferro usato, ai disegni più caratteristici, alle forme delle lame, ai loro poteri e le indicazioni dei rituali impiegati durante le forgiature e in seguito per conservare la lama.
Le suonerà strano, ma all’ ‘empu’ viene data un’importanza enorme. L’ ‘empu’ (fabbro) è colui che crea la lama unendo Cielo e Terra, il ferro meteoritico e il ferro preso nelle viscere della nostra terra. Grazie a lui ogni kris ottiene i suoi poteri, grazie alla sua magia, alle sue preghiere, alle sue offerte.
Nel periodo che precede la forgiatura di una lama il fabbro si ritira in meditazione e preghiera su un monte, una giungla o una caverna. Lì resta per il periodo necessario in attesa di un segno da parte delle entità divine o degli antenati che gli hanno tramandato l’abilità.
Preghiere, rituali, offerte continuano per il tempo della forgiatura. Il culmine è raggiunto quando il fabbro infonde nella lama lo spirito, dandole un’anima propria e rendendola ‘viva’.
In tutta l’Indonesia, la figura del fabbro armaiolo era quasi vista come quella dello sciamano, dotato di poteri particolari, capace di infonderli nell’arma creata. Un kris poteva dunque proteggere, dare l’invulnerabilità o guarire. Ma allo stesso tempo un kris poteva dare la morte ad un nemico semplicemente visualizzandolo nel pensiero e puntandoglielo contro da lontano.
Si raccontano persino storie di vergini sacrificate al kris affinché lo spirito o l’anima entrassero nell’arma e che quindi i segni caratteristici sulla lama fossero i capelli della ragazza.
Spero di non averla annoiata con queste storie e queste leggende. Sono tipiche del mio popolo e delle mie terre. Sarò felice di potere aggiungere ulteriori notizie e informazioni su esemplari particolari qualora lei me lo chiedesse.
Sarà un onore soddisfare qualunque sua ulteriore curiosità a riguardo. Sono tante le cose da raccontare e ho ritenuto necessario farle semplicemente una panoramica generale dell’arma.
Ad ogni modo, le spedirò i kris da lei richiesti corredati da una scheda informativa che ne presenti caratteristiche, storia e suo ‘empu’.
Presterò attenzione affinché non le arrivino esemplari dalle origini ignote, assicurandole oggetti i cui possessori precedenti non siano legati a fatti o accadimenti ‘oscuri’.
Nonostante ciò, la pregherei di segnalarmi il kris che le potrà recare problemi.
Purtroppo, anche kris che non hanno mai dato segnali negativi di alcun genere ai loro vecchi possessori, possono all’improvviso mutare le loro influenze in base al nuovo proprietario, al suo carattere o al luogo in cui si troverà.
Ne caso dovesse avvenire una tale malaugurata evenienza, sarò solerte nel darle le indicazioni migliori per risolvere il problema nel minor tempo possibile.
Le porgo i miei più sentiti auguri e le auguro una vita piena e serena.

Hasyim M. Gumacep
18 Ottobre 1955