PARTE XXI
… outing
Solita routine a poche settimane dall’arrivo di Walter e amici a Napoli.
Allenamento in palestra, solito corso, ritorno a casa e al computer per definire gli ultimi dettagli prima della data.
In una delle ultime volte in cui io e Walter chattammo prima di rincontrarci e dell’allenamento vero e proprio, si discusse l’eventualità di dare in un forum nazionale italiano delle informazioni sul Pukulan.
Ma perché dare informazioni su un’arte che non ha interessi ad aumentare iscritti, affiliazioni o pubblicizzarsi a fini commerciali?
Me lo chiedo di continuo.
L’unica risposta che riesco a darmi è quella di far sapere che gruppi di allenamento così esistono ancora. Di non fermarsi all’idea della cintura, del diploma, del corso in palestra, della federazione, del passaggio di livello. Metodi alternativi esistono ancora.
Io e Walter, di comune accordo, decidemmo di pubblicare qualcosa sul Pukulan. Nulla di dettagliato. Una descrizione generale. Cosa fosse, quale fosse la mentalità, i concetti base, le caratteristiche principali.
“Ne sai abbastanza a livello teorico da scrivere qualcosa” – mi disse.
“Quel che non ti è chiaro o se hai altre domande da pormi sono qui. Falle”.
Avevo bisogno di organizzare le idee. Da dove partire, come introdurre l’argomento, i punti chiave, il corpo dell’articolo, un po’ di storia, le caratteristiche tecniche e la chiusura con alcune frasi tipiche che spiegassero la mentalità.
Ci vollero un paio di serate di qualche ora al computer per chiarire i vari punti necessari per ciò che volevo scrivere.
Alla fine il testo stava prendendo forma.
Utilizzai pezzi di ciò che Olivier disse nella parte introduttiva teorica al seminario a Milano. Parti di ciò che sentii in camera. Frasi sentite o lette da Walter nelle nostre numerose chiacchierate.
La parte più difficile era spiegare cosa fosse e cosa non fosse il Pukulan.
Quando un’Arte o un modo di interpretare il Pencak Silat indonesiano ha un nome così peculiare, profondamente radicato nella popolazione ‘indo’ e nella sua precisa terminologia, necessita di una spiegazione specifica. Soprattutto definire bene il concetto che Pukulan non fosse la parte dedicata alla specialità del colpire delle arti marziali indonesiane, bensì un gruppo di arti a sé. Un’enfasi data alla percossa ben diversa da quella degli altri stili. Un modo di interpretare il colpo tipicamente legato alla popolazione ‘indo’, così come lo stesso termine fosse tipicamente ‘indo’.
Arti marziali che utilizzano pugni, gomiti, calci e altri metodi di percussione, in contrapposizione o assieme ad altri metodi di combattimento utilizzanti spazzate, leve, proiezioni, sbilanciamenti e soffiocamenti, ve ne sono tante.
Ve ne sono tante stesso in Indonesia.
Perché il Pukulan differisce dalle altre arti, stili o sistemi che utilizzano anch’essi pugni, gomiti e altre tecniche di percussione?
Ma prima di analizzare il brano, approfondire le diverse parti o raccontare le reazioni, leggiamolo:
Cos'è il Pukulan...
Chi si interessa alle arti marziali del Sud-Est Asiatico, a quelle filippine, indonesiane o malesi, certamente avrà sentito parlare almeno una volta di un’ arte chiamata Pukulan.
Il Pukulan viene comunemente incluso negli stili di Pencak Silat indonesiano, anche se i suoi esponenti preferiscono più vedere la propria arte come un’unità a sé: “il Pukulan è Pukulan”.
Si dice che il Pukulan, nelle sue differenti versioni, sia Sundanese, ossia derivi dalla regione di Java Occidentale, lo si può trovare in alcune città di mare, in alcuni sobborghi di Jakarta (Pukulan Kemajoran e Pukulan Betawi, Mustika Kwitang), ed è presente anche nella regione di Java Orientale.
Nato e praticato nella comunità “indo” (gli indo-olandesi), un popolo spesso visto male sia dagli indonesiani sia dagli olandesi, odiati da entrambi, costretto a imparare a difendersi realmente.
Etimologicamente il termine Pukulan vuole dire “colpire”, dove Pukul sta per “colpo”, “percossa” e Pukulan indica “colpo multiplo”.
L’enfasi è dunque posta sul percuotere l’avversario, colpirlo più che sbilanciarlo, spazzarlo o proiettarlo. Queste ultime tecniche sono si presenti nel repertorio ma, prima di tutto, l’avversario va percosso.
Anche altre scuole di Silat usano il termine Pukulan, poiché anch’esse amano principalmente colpire l’avversario, tuttavia ciò ha generato una confusione. Una cosa è usare il termine Pukulan per indicare la tendenza a colpire l’avversario, un’altra è definire ciò che si pratica specificamente Pukulan in quanto arte a sé.
C’è una sostanziale differenza anche tra gli esponenti di Pukulan “americano”, ossia coloro che hanno imparato il Pukulan da esperti e maestri trasferitisi anni or sono negli Stati Uniti; e coloro che praticano il Pukulan indonesiano o olandese, rimasto incontaminato dalla commercializzazione avvenuta oltreoceano. Se si parla del Pukulan “americano” ad un esponente olandese, questi non avrà remore a classificarlo con il termine Permainan: “gioco”.
In effetti, i praticati olandesi praticano “old-fashion”, in modo costante, duro, discreto, totalmente al di fuori dei circuiti delle arti marziali. Si allenano in casa, in giardino, lontano da occhi indiscreti, accettando pochi esterni come discepoli. Non amano il pubblico, le riviste, i corsi collettivi, non cercano la fama attraverso di esso.
Soprattutto, per costoro il Pukulan non è un mezzo per fare soldi.
Non esistono certificati, corsi istruttori o rappresentanze.
Il Pukulan non è uno sport, uno svago, un’attività cui dedicare il tempo libero in una palestra.
Il Pukulan è uno stile di vita. E’ un’arte nata per sopravvivere, non per gareggiare, senza regole, se non quelle del Adat: le regole di comportamento osservate tra i praticanti.
Le Caratteristiche...
Ma quali sono le caratteristiche del Pukulan?
Il footwork e gli spostamenti sono caratterizzati da angoli geometrici cui, una volta assorbiti, il corpo seguirà automaticamente grazie al costante allenamento
Pukulan vuole dire iniziare a colpire e farlo per primi, ovunque, senza tempi morti, percuotere l’avversario fino a terminarlo.
Si inizia ad una distanza ragionevole, ma il Pukulan rende al massimo la sua efficacia nella medio-corta distanza.
Tra le armi preferite dei suoi praticanti ci sono i gomiti, le ginocchia, la testa, ma è permesso colpire in qualunque modo. L’avversario va annichilito nel più breve tempo possibile, incalzato da subito, tenendo costantemente l’iniziativa.
Per spiegare questo concetto i praticanti usano due motti che bene rendono la filosofia dell’arte:
“al batter d’occhi”: intendendo la necessità di colpire quando l’aggressore batte le ciglia; e “prima colpisci, poi chiedi”.
I colpi e le tecniche sono dirette, percorrendo sempre la via più breve. Inoltre, ciò che sta in alto colpisce alto e ciò che sta in basso colpisce basso. I pugni e le gomitate sono dirette alla parte alta del corpo dell’avversario, mentre i calci e le ginocchiate sono dedicate alla sezione inferiore, senza soluzione di continuità.
Si “entra” nell’avversario colpendolo e destabilizzandolo, costringendolo a cercare stabilità ed equilibrio…. E mentre è intento a farlo, si continua a tempestarlo di colpi.
Si cerca e si ruba lo spazio dell’avversario, gli si toglie il terreno ed una volta spostato si ripete la stessa cosa. Gli arti superiori e quelli inferiori lavorano in sintonia, collaborano ed una tecnica è la diretta conseguenza della precedente.
Si sfrutta qualunque movimento per colpire, mentre un arto carica il colpo l’altro colpisce per poi colpire anche mentre ritorna in posizione. Nulla va sprecato.
Nell’allenamento di base le parate vengono prese in considerazione, tuttavia nell’applicazione no, poiché il concetto di aspettare che l’avversario attacchi non fa parte della filosofia dell’arte.
Gli angoli che i gomiti usano per colpire sono infiniti, i calci colpiscono con movimenti diretti e massima potenza, sempre tirati per linea bassa, nelle gambe dell’avversario, per spezzare l’avanzata o aprire un varco e piazzare le tecniche di gomito.
Primario obiettivo è togliere aria all’avversario, combattendo in modo ravvicinato, per questo i gomiti sono importantissimi. Si colpisce in movimento, ci si muove sempre con uno scopo seguendo la regola di “un passo un colpo”, ciò, per aggiungere al colpo tutto il peso dello spostamento del corpo.
Le ginocchiate vengono portate dopo aver l’avversario sotto controllo, lo stesso si può dire per gli sbilanciamenti.
Ci si focalizza sempre sull’intero corpo avversario e tutto è un unico flusso di tecniche.
L’arte varia da persona a persona.
Pur seguendo le stesse tecniche e principi, c’è chi li attua “giocando” e chi entra e sfrutta gli stessi per terminare l’avversario. E’ l’approccio mentale a cambiare.
Ciò che conta, la vera arte, non viene trasmessa facilmente, ma solo al proprio studente o discepolo: la trasmissione avviene sempre da maestro a discepolo.
L’allenamento del Pukulan non è per tutti: duro, realistico ed estremo. I praticanti condizionano i propri strumenti come solo nei vecchi film si vedeva fare. Non risparmiandosi, fino a rendere le proprie ossa delle armi.
I praticanti di Pukulan cercano lo spirito della propria arte per tutta la vita, sapendo che non è semplice trovarlo. Vivono Pukulan, respirano Pukulan e mangiano Pukulan.
Prima viene il Pukulan, poi viene il Pukulan, poi viene il resto.