Allora, prima di dedicarmi ai miei "impegni multimediali Systemici"
, passo a pagare il mio debito per la lezione di Pukulan dell'altro giorno. Come accennavo nell'altro post, in realtà c'è ancora un pò di confusione nel mio cervello riguardo quello che è stato fatto vedere e provare dal signor Walter, quindi mi riservo di completare il mio resoconto in altri messaggi.
Per forza di cose, la mia modesta analisi di quello che ho visto del Pukulan viene da me fatta attraverso le analogie e le differenze con quello che ho praticato e che pratico tutt'ora, e cioè Kung Fu tradizionale, (C)KM e Systema.
Ovviamente, mi rimetto al giudizio tecnico di chi quest'arte la pratica sul serio, e lo invito a correggermi.
I colpi
Parte essenziale del Pukulan, sono dati per puro sfruttamento dei principi, fra i quali l'uso del peso del corpo, il criterio di economia di movimento (molto più complesso di quanto si potrebbe immaginare), di distanza più breve dal bersaglio e di "processo" di distruzione della struttura del corpo dell'avversario. Vengono provati "a vuoto" su posizioni molto basse e volutamente scomode a gambe divaricate, per propedeuticità al momento in cui invece si andarà ad applicarli, in postura molto più normale. La massima efficacia delle percussioni è data dal loro uso a strettissima distanza, di regola quella che va dalla nostra spalla al gomito; questa impostazione (di facile comprensione teorica ma di difficile attuazione pratica) è perfettamente funzionale ai principi di base di quest'arte marziale.
Alla mia obiezione riguardo l'eccessiva lesività di questo stile rispetto alle esigenze di un operatore di sicurezza, Walter mi ha spiegato (e fatto vedere
) che le medesime cose sono applicabili anche a mano aperta e pertanto con maggiore enfasi sul concetto di "controllo", e questo mi ha fatto riflettere sull'ingenuità della mia obiezione iniziale
.
Gli spostamenti
Altra parte integrante del sistema. Sebbene assecondino il naturale movimento del corpo umano quando cammina, in realtà sono regolati da geometrie precisissime, che servono a comprendere, ostacolare e anticipare gli spostamenti dell'avversario, a dare un "ordine" al caos del combattimento. Ad ogni passo corrisponde una "macrocategoria" di postura e impostazione di braccia, in cui niente è lasciato al caso: ad esempio, dopo una deviazione di un pugno, entrambe le braccia vanno a lavorare in sintonia per colpire l'avversario e coprirsi anticipandone una eventuale reazione. L'accuratezza di tale prassi è impressionante. Ma non si deve credere che all'attacco A1 si risponda con la tecnica T1, a quello A2 con quella T2 ecc., infatti da queste macrocategorie si sviluppano poi delle singole reazioni che variano da situazione e situazione. Il lavoro di reazione (termine molto più adeguato di "difesa", dato che nel Pukulan non si usa difendersi passivamente) all'attacco però non varia tanto in base alla parte del corpo che attacca, quanto al "come" attacca, in base a quali linee segue e si sviluppa: in poche parole, contrattaccare a un diretto destro o un calcio sinistro non fa differenza, poichè si va ad agire sul "comune denominatore" dei colpi. Non a caso una delle costanti è quella di "tagliarne" la linea, prima di chiudere la distanza e continuare l'azione.
Il dolore
E qui si viene al punto dolente
: nel Pukulan il dolore è usato come uno strumento. Uno strumento per fortificare a tutto tondo lo spirito, la mente e il corpo del praticante, per cercare la realtà del combattimento, e non ultimo per "scremare" chi è adatto da chi no. Cito più o meno a memoria le tranquille parole di Walter a tale proposito: "Se sei disposto ad assaggiare e nutrirti del frutto amaro, allora puoi andare avanti nell'addestramento; altrimenti, fai altro, non ci sono problemi. Nel Pukulan non ci interessa avere molti allievi, a noi interessa la qualità. Hai presente i grandi maestri dell'antichità, che avevano uno o massimo due o tre allievi? Ecco, noi facciamo così".
L'unica mia riserva che ho espresso a tale ragionamento è stata quella che distingue il dolore come sensazione mentale (controllabile in vari modi) dall'effettivo danno fisico del corpo di chi subisce, che pertanto ne può pregiudicare la continuità nell'addestramento. La sua risposta è stata lapidaria:
"Il Sarong (il panno avvolto intorno alla vita del praticante) veniva indossato proprio per essere usato come "Body Bag" in caso di morte. Chiunque praticava, ne accettava quindi le conseguenze pià estreme".
Si può essere o meno d'accordo con tale impostazione filosofica, ma fatto sta che tale mentalità è seguita ancora oggi, con le dovute proporzioni, con una onestà e coerenza adamantine.
La "segretezza"
della pratica
Ho già detto che a Walter interessa la qualità, e non la quantità degli allievi. Una delle ragioni per le quali non esistono video del loro stile di Pukulan, è prima di tutto per evitare lo "sputtanamento" marziale ad opera di chi cerca di copiare qua e là, mischiare a proprio piacimento e sfruttare quello che ne viene fuori per fini commerciali. Non è spocchiosità, ma semplice disinteresse verso tutto ciò che è marketing marziale. Loro alla fine non criticano niente e nessuno negativamente, ma allo stesso tempo sono "umilmente orgogliosi"
di quello che fanno e come lo fanno. Ogni praticante di Pukulan ha un lavoro, un lavoro vero che gli permette di campare, ed è la stessa tradizione di insegnamento che proibisce di svilire l'arte scambiandola con il denaro.
Inoltre, nel Pukulan c'è una tale complessità a più livelli, un tale studio articolato dei dettagli, un tale lavoro "interno" di applicazioni dei principi e delle tecniche, che in effetti renderebbe nullo il valore didattico di qualsiasi video, anche se di punto in bianco si dovesse decidere di pubblicare qualcosa. Come nel Systema, si possono guardare tutti i video che si vuole, ma se poi non si va a provare di persona, se ne avrà solo una comprensione superficiale, suscettibile di interpretazioni errate, distorte o volutamente maliziose.
Vabbè, per ora mi fermo qua.
Se è il caso, aggiungo qualcos'altro in qualche altro post.