Non è possibile stilare una lista di frasi buone per ogni occasione, e molto va a dipendere dai soggetti coinvolti.
Ma posso scrivere una mappa concettuale sulla quale inventare poi le frasi adatte alla circostanza.
E' stato scritto che mostrandosi condiscendenti e remissivi si può descalare la situazione, ma questo è falso. Ovvero, è falso se usato in prima battuta.
Prima bisogna applicare pressione fisica o psicologica, con altre parole, pressione esterna o interna.
Dopo, e solo dopo, mostrare una via di fuga all'altro, una razionalizzazione del suo abbandono che gli salvi la faccia nei rapporti con se stesso e con gli altri.
Mi addentro meglio:
Usare come prima cosa la remissività può funzionare in un discorso civile fra persone non alterate e di etnia "femminilizzata", quindi provenienti da culture dell'accoglienza, della tolleranza, del rispetto.
Le persone che hanno bevuto hanno le parti del cervello in cui si accumula la norma sociale (quindi la suddetta cultura femminilizzata) spente.
Le persone che vengono da una cultura più maschile non hanno proprio quelle norme nel cervello.
Le persone molto arrabbiate non accedono alle norme culturali femminilizzate, salvo poi pentirsi dopo del proprio comportamento.
Per tutte e tre queste categorie di persone, vige una norma importante:
PER LORO LA GENTILEZZA O IL CEDERE IL PASSO E' SEGNO DI DEBOLEZZA E DI VIGLIACCHERIA
Non di educazione o nobiltà d'animo o di desiderio di dialogo.
E per loro la debolezza è un bersaglio ghiotto su cui colpire per affermare la propria dominanza.
E' necessario PRIMA di cedere il passo, applicare pressione.
Nel caso di pressione fisica può trattarsi di una manifestazione silenziosa di forza, come un tono di voce calmo, lo sguardo fermo, una mano appoggiata sul trapezio con una stretta dolorosa ma discreta ecc.
Lo scopo è portarlo alla regressione. Tutti quando siamo spaventati tendiamo a regredire ad uno stato in cui ci sentivamo sicuri e protetti, come da bambini.
A quel punto il soggetto vorrà uscire dalla situazione, e mostrarsi disposti al dialogo o a lasciar perdere gli offrirà la razionalizzazione che "non ne vale la pena, è un coglione", che potrà dire a se stesso e agli amici, per non doversi dire "qua le prendo, meglio che me ne vada".
Nel caso di pressione psicologica non si tratta di applicare una pressione esterna sul soggetto per portarlo a regredire e cercare una via di fuga onorevole, ma di amplificare i suoi conflitti interiori affinché sia lui stesso ad applicarsi pressione internamente e a regredire ad uno stato in cui si sentiva più sicuro e protetto, per poi cercare una via di fuga onorevole.
Che gli serviremo su un piatto d'argento mostrandoci disinteressati allo scontro.
A questo proposito, devo ammettere che 13 anni di esperienza sul campo e di studi non mi sono sufficienti a poter contare sulla pressione psicologica, quindi postulo che se si prova ad applicarla è vitale aver comunque pronto e funzionante il bastone della pressione fisica in caso di fallimento.
Sarebbe stupido e illusorio insegnare ad un ragioniere imbelle qualche concetto di pressione psicologica e poi dirgli che potrà bastargli per avere la meglio.
C'è da dire che, le volte che funziona, è molto appagante, molto più che usare la forza, che è in un qualche modo sempre svilente.
Diciamo che è come le leve: se ti fissi a volerle applicare prendi un sacco di botte, però se le conosci e ti capita in mano l'occasione, entrano che è un piacere.
E può capitare, se si è appassionati dell'animo umano, di trovare un conflitto pronto per essere amplificato e far confliggere fra loro diverse parti irrisolte dell'individuo.
Ma è qualcosa che si affina per una vita e che spesso non funziona, l'importante e saper respirare con calma, trasmettere fermezza, abitudine allo scontro, forza, e dopo offrire la via d'uscita.