Visto che la discussione è già abbastanza incasinata, aggiungo una lente diversa attraverso cui guardare parte di questa discussione.
E ve la pongo con un parallelo sull'alpinismo.
Quando intervistarono Walter Bonatti a raitre, a un certo punto parlarono della sua impresa sulla nord del cervino: aprì una via totalmente nuova, in solitaria e in invernale, con 5 bivacchi in parete in condizioni agghiaccianti.
L'intervistatore provò a chiedere come fosse stato possibile, Bonatti diede una prima risposta molto romanzata, poi all'insistenza della domanda, che chiedeva appunto come fosse possibile sopportare certe condizioni, Bonatti disse che (preparazione tecnica, atletica e mentale perfetta A PARTE) in fondo lui era passato in mezzo alla seconda guerra mondiale, in fondo non era così duro mangiare 1 crosta di pane appeso a un sacco a -30.
Io credo che molto del "mito del pugile" per chi pratica AM sia anche da attribuire a un GENERICO abbassamento della "durezza" dell'allenamento nelle AM o, chiamatelo come volete, abitudine alla fatica e a un certo tipo di metodiche. E questo secondo me è da attirbuire in parte al fatto che molti corsi di AM sono inseriti in contesti "pseudosportivi" come palestre superluccicanti, che se non fosse per il nome somiglierebbero a centri commerciali e grossi iperdiscount.
La richiesta si è adeguata alla domanda e viceversa. E tutto è stato influenzato da pantacollant sbriluccicanti, magliette in micropile, attrezzi supertecnologici che ti misurano anche le gocce di sudore che ti cadono, modelli a cui tendere differenti (copertine patinate piuttosto che atleti in carne ed ossa che hanno fatto la storia degli sport).
Non dico che mi piacerebbe tornare a fare squat nel sottoscala dello stadio, in compresenza con pantegane ipertrofiche e palloni di polvere tipo far west, con pesi arrugginiti e bilanceri semipiegati, però è anche vero che una componente dello sport, in certi ambienti troppo patinati, viene quasi meno.