Ho iniziato da piccolo con uno Shotokan di quel tipo lì, quello che conoscono tutti. 4 anni senza voglia e poi ho smesso per darmi al Basket per qualche tempo.
Folgorato da un’illuminazione mistica, decido di tornare al Karate, e questa volta trovo uno Shotokan decisamente diverso, sopraffino, frutto dell’elaborazione del mio sensei. Mi ci appassiono, e per tanti anni ci metto tutto me stesso. Più e oltreché le singole tecniche, il tesoro che mi porto dietro è l’occhio analitico sull’economia e l’efficacia dei movimenti.
Ancora oggi nonostante gli anni in più trovo sublime il modo in cui si muove il mio sensei.
Negli ultimi anni però una sempre più forte curiosità di imparare e integrare il bagaglio, dovuta anche alle numerose sedute di mazzate tribali ante litteram, mi porta a iniziare a scimmiottare altro, come integrazione del Karate che conosco. Un cambiamento logistico dell’Honbu Dojo, mi costringe, in seguito, ad abbandonare le lezioni del sensei, non senza difficoltà da parte mia.
Ho la possibilità di continuare da un suo senpai ma dopo qualche tempo vengo investito dalla famosa “crisi marziale”, e prendo contatti con il sensei di Kakuto Karate, dove il mio stile personale prende decisamente una svolta. Il primo anno mi ci dedico anima e corpo, ma dal secondo riprendo ancora gli allenamenti di Shotokan dal senpai, perché come diceva Luca, in effetti la pratica in questo dojo è molto improntata alle competizioni e a me manca la parte tradizionale. D’altronde l’efficacia dei metodi di allenamento è assolutamente incomparabile, quindi mi trovo a tenere il piede in due scarpe per parecchio tempo, non avendo assolutamente modo di poter scegliere senza sentire un vuoto.
Inevitabilmente, ad un certo punto mi guardo e mi rendo conto che il mio Karate è mutato. Inizialmente doveva essere Shotokan, con qualche integrazione, ora, andato un po’ per i fatti suoi, è un ibrido. Chi fa Shotokan mi dice che faccio “cose strane”, chi fa “cose strane” (
), soprattutto scuole di Karate a contatto pieno, mi dice sovente che è evidente l’impostazione Shotokan.
Nel frattempo anche la visione delle metodologie cambia parecchio.
Rimango convintissimo della bontà del kihon tradizionale, sebbene vada visto con occhio critico, che affianco e integro con quello più moderno e il lavoro più grosso che sto cercando di fare è il raccordo tra i due.
Inizialmente, in tarda gioventudine, avevo una risvegliata passione per i kata, tanto da interessarmi anche a quelli di altri stili e approfondire contemporaneamente i miei, anche nelle versioni più vecchie. Questo processo continua per diversi anni.
Purtroppo l’estrema soggettività delle ragioni sull’utilità di questi ultimamente mi smonta parecchio, sconforto che deriva anche dall’osservazione che, quello che si vede fare nelle applicazioni non esce mai, o, se esce, sembra un scimmiottamento di ciò che si fa altrove, con metodologie molto più dirette.
Riguardo al kumite, il mio Shotokan come spesso ripeto mi ha salvato le chiappe, quindi credo molto nella sua bontà, sebbene, anche qui, mi sia reso conto che le tecniche che escono alla fine sono sempre quelle, e che quindi conviene affinarle fino alla perfezione piuttosto che cercare arzigogoli che tanto non escono o escono per culo una volta su cento. In questo senso, ispirato tantissimo dal Karate di Machida, ho rivalutato molto anche le qualità dell’ippon kumite.
Allargando il discorso agli altri tipi di kumite, io rimango della vecchia idea di Luca, che sebbene nessun regolamento può rispecchiare la realtà, vari regolamenti possono andare a comporre un mosaico completo, oltre a sviluppare (in maniera esclusiva, perché allenarsi a combattere necessita di combattere, anche in modo regolamentato) gli attributi che servono per un confronto “vero” a prescindere dalla tecnica. La deviazione (non necessariamente negativa) secondo me arriva solo quando ci si dedica all’agonismo, e lì, sebbene non credo che un campione di kumite sia esattamente un agnello sacrificale, e che farebbe il mazzo a molti tradizionalisti che loro non combattono se no uccidono, penso che si confonda il mezzo con il fine.
Inizio anche ad informarmi sui libri, e decido che il lato sportivo (nel senso di “motorio”) non può più essere trascurato, sebbene ancora adesso stia a zero, ma con la consapevolezza di esserlo.
Non sono d’accordo con Ronin sull’insegnamento che passa sempre, necessariamente, dall’ortodossia delle scuole attuali, perché esse in realtà non sono affatto ortodosse e sono sempre frutto di numerose rielaborazioni precedenti.
Nessun maestro ha mai riproposto quello che ha imparato ai suoi allievi senza modifiche, aggiunte ed eliminazioni.
Credo nel significato di ryu come acqua che scorre, e non credo più nelle tecniche che si imparano dopo N anni, quanto invece credo nel continuo perfezionamento di ciò che funziona.
Certe letture filosofiche, soprattutto alcuni concetti Zen e pure il libro di Bruslì, influenzano molto anche il mio modo di vivere il Karate e di interpretare il significato di tradizionale, rifuggendo gli attaccamenti alle metodologie che si rivelano inadatte allo scopo.
Ma capisco che la mia concezione non si incastra perfettamente in nessuna delle scuole di Karate che frequento / ho frequentato / potrei frequentare nella mia zona, e giungo alla conclusione che probabilmente se voglio continuare su questa strada devo fondamentalmente intraprendere un sentiero diverso, sempre in collaborazione con gli altri mondi nei quali sono cresciuto e/o quelli che ancora possono darmi molto, ma autonomo.
La mia strada è ora quella di continuare l’approfondimento di ciò che c’è, si vede e funziona, e in più adattare le dinamiche che si possono trovare anche al di fuori del programma tradizionale, dopo un riadattamento in funzione del cuore del Karate.
Come ho scritto tempo addietro, concepisco il Karate nel suo significato letterale, “Mano Vuota”, cioè tutto quello che serve per essere efficaci in un combattimento disarmato, in maniera molto flessibile, con l’obiettivo davanti ai mezzi e non viceversa.
Ma non è MMA, perché lo scopo è differente e vanno previste tutte le possibilità, in attacco e in difesa, sebbene dalle MMA di possa imparare moltissimo.
Non è nemmeno DP, perché la priorità dell’efficienza in questo senso è una conseguenza di un giusto modo di praticare, non lo scopo principale (altrimenti sono decisamente più veloci ed efficienti i corsi di DP); tuttavia, voglio fare miei certi approcci dei buoni corsi di DP.
Mi rendo conto di avere in testa un’idea ardita, ma vado avanti così, e confido che chi verrà dopo di me saprà portare avanti e far crescere questo discorso