Da alcuni vecchi maestri genovesi che ho conosciuto (ormai ultra settantenni) sembra che i giapponesi che fecero vedere le loro tecniche a Biagio (Gino) Bianchi fossero praticantii di Takenouchi Ryu (gli sembrava che a Gino avessero detto cosi' - GH'AVEIVAN DITU CHE A SCHOA GIAPPUNEISE A FUISSE A TAKENUGGI RIU GIUGISSU) - , della quale pero' purtroppo sono molto ignorante e ne ho visto solo qualche filmato su internet, quindi non posso assicurarne la veridicita', anche se ho visto la rassomiglianza con qualche tecnica di mb, ma questo non fa testo
Questo quello che scrissi io tempo fa (scandalizzando qualche purista del MB):
Ju Jitsu: il metodo italiano di Biagio (Gino) Bianchi
(in origine, ieri, oggi e domani).
E’ consuetudine far risalire le origini del Ju Jitsu (arte della cedevolezza) al Giappone dell’epoca Kamakura (1185-1333) quando i Bushi (guerrieri) iniziarono lo studio e la codificazione di tecniche con e senza l’uso delle armi da utilizzare per neutralizzare i nemici. Nel corso dei secoli si ottenne una costante evoluzione di queste tecniche che, sotto la guida di abili maestri (sensei), furono raggruppate e costituirono numerosi Ryu (scuole) ognuno dei quali tentava di affermare la propria invincibilità nel combattimento. Tutto questo conduceva a frequenti sfide durante le quali tutti gli allievi di un Ryu si recavano presso una scuola rivale per combattere e saggiare l’efficacia del proprio stile. Questi incontri vennero denominati Dojo Arashi ”tempesta che si abbatte dove si studia il metodo”.
In Italia il Ju Jitsu inizio’ a far parte di una Federazione dal 1931 quando l’allora FAI, Federazione Atletica Italiana, assorbì la Federazione Lotta Giapponese . Il Ju Jitsu merita addirittura diritti di primogenitura, essendo la matrice da cui nasce ogni nostra conoscenza delle arti marziali in Italia. Quello che giunse nel nostro paese ai principi del 1900, diffuso dai marinai che lo avevano appreso durante la permanenza di nostre navi da guerra nel Mar della Cina, era proprio il Ju Jitsu. Il Ju Jitsu, o “Lotta Giapponese” come allora era denominata, fece la sua prima apparizione in Italia nel 1908 nel corso di una manifestazione alla presenza dei Reali d’Italia grazie a due sottufficiali della Regia Marina, il cannoniere Raffaele Piazzolla e il timoniere Luigi Moscardelli, che lo avevano appreso durante il loro servizio in Estremo Oriente. Questa esibizione suscitò grande interesse, ma rimase fine a se stessa, come semplice fatto curioso, orientale. Quello che non riuscì ai due “pionieri” riuscì a un altro sottufficiale, il cannoniere Carlo Oletti , che frequentò gli stessi corsi dei suoi colleghi rimpatriati: sotto la guida del Maestro Matsuma, campione della Marina militare nipponica, egli praticò il Ju Jitsu, che approfondì nei Ryu di Nagasaki, Miatsu, Hokodate e Tauruga. In Italia si riparlò di Ju Jitsu nel 1921, quando fu istituita alla Farnesina, a Roma, la Scuola Centrale di Educazione Fisica per l’Esercito. Il Colonnello Comandante inserì tra gli Sport anche il Ju Jitsu, chiamando a dirigere i corsi proprio il Sottufficiale Carlo Oletti, che conservò l’incarico sino al 1930. In questi dieci anni si qualificarono 150 ufficiali “esperti” e 1500 sottufficiali “istruttori”.La "Lotta Giapponese" comparve la prima volta in un circolo sportivo civile nel 1923, presso la palestra Cristoforo Colombo di Roma. Nel 1925 gli esperti cultori di Ju Jitsu, che sino ad allora avevano praticato presso enti militari e in circoli sportivi civili, si riunirono con quelli di Judo e fondarono la Federazione Italiana Ju Jitsu e Judo, che poco più tardi assunse il nome di Federazione Italiana Lotta Giapponese. Dopo la guerra e la forzata interruzione delle attività federali dovuta alle traversie degli avvenimenti politici e bellici dell’epoca, numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Italia sostenuti da molti appassionati di questa disciplina.
Nel 1947 il Judo si staccò della Federazione perchè integrato dal Coni come disciplina sportiva della Fiap (Federazione Italiana Atletica Pesante). Il Ju Jitsu manteneva, invece, i presupposti prettamente legati allo spirito originale della disciplina, la Difesa personale e il Combattimento.E probabilmente dello Ju Jitsu non si sarebbe piu’ parlato come disciplina autonoma se non ci fosse stato Biagio (Gino) Bianchi, al quale, arruolato nella Marina Militare Italiana, apprese le tecniche del Ju Jitsu nella Cina occupata dal Giappone presso la famosa caserma Parlotto a Tien Tsin ove, essendo campione militare di savate, partecipo’ ai corsi di lotta giapponese Quindi, tornato in patria a Genova negli anni ‘40, mise insieme tutto quello che piu’ o meno si ricordava, le tecniche insegnate dai giapponesi (forse di scuola Takenouchi Ryu) , le tecniche che aveva visto fare in Cina (le forbici del settore “D”, ritrovabili solo negli stili vietnamiti e cinesi e non nelle Ko Ryu giapponesi, e tecniche militari italiane derivate dalla lotta (es. la 5B e la 6B), e promosse la diffusione del Ju Jitsu in tutta Italia con la codifica di un Programma Tecnico a uso dei praticanti: il cosiddetto stile occidentale “Metodo Bianchi”, che ebbe una importante svolta didattica con la catalogazione delle tecniche ad opera del maestro Rinaldo Orlandi, che raggruppo’ 100 tecniche di base in cinque “Settori”, contrassegnati per comodita’ dalle prime cinque lettere dell’alfabeto e composti ciascuno da venti tecniche. Questi cosiddetti “Settori” raccolgono il normale bagaglio tecnico del programma di Bianchi, raggruppando le azioni secondo cinque principi base (Settori appunto), contraddistinti dalle prime cinque lettere dell’alfabeto, che brevemente descrivo:
Settore A
Azioni elementari che introducono alla conoscenza delle reazioni di un avversario. Tali azioni suggeriscono od impongono all’avversario stesso un determinato atteggiamento, per effetto di una presa o di un’azione che non comporta di per sè né la sua resa né il suo sollevamento con proiezione.
Settore B
Azioni che, attraverso lo studio dello sbilanciamento, mirano al caricamento con sollevamento dell’avversario ed alla sua successiva proiezione.
Settore B
Azioni che, attraverso lo studio dello sbilanciamento, mirano al caricamento con sollevamento dell’avversario ed alla sua successiva proiezione.
Settore C
Azioni impostate sulle articolazioni dell’avversario: esse mirano alla conoscenza della resistenza al dolore dell’avversario. In queste azioni vengono realizzate prese dolorose, senza che intervenga il sollevamento dell’avversario.
Settore D:
Azioni impostate sul collo dell’avversario: esse mirano alla conoscenza della resistenza al dolore e della capacità di resistenza fisiologica agli effetti di strangolamenti e torsioni della cervicale. Le stesse azioni sono il fulcro di tutta l’esecuzione tecnica.
Settore E
Azioni che mirano alla proiezione dell’avversario unitamernte alla realizzazione di prese sulle articolazioni e sul collo, in previsione dello studio dell’autodifesa. In particolare, durante la proiezione dell’avversario, le prese dolorose sulle articolazioni o sul collo, risultano in atto oppure impostate per la loro immediata realizzazione al termine della stessa.
Le maggiori organizzazioni Italiane che praticano il metodo Bianchi adottano due diversi modi di studio: nella Associazione Italiana Ju Jitsu la catalogazione delle tecniche e’ rimasta immutata dal 1964, mentre in FIJLKAM per quanto riguarda l’iniziale suddivisione delle tecniche in Settori data dal Maestro Rinaldo Orlandi è stata effettuata una rivisitazione nel 1985 da parte dei maestri Bagnulo, Mazzaferro e Ponzio ed alle singole tecniche, selezionate e ridotte da 20 a 10 per i vari passaggi di grado, si sono aggiunti i cosiddetti ”Concatenamenti” che implicano il collegamento di una tecnica ad un’altra in seguito ad una reazione dell’avversario.
In ADO UISP, scuola metodo Bianchi, si e’ scelto di sposare questa seconda impostazione, comunque con un progetto a breve di “modernizzazione” della stessa.
Da sempre in Associazione Italiana Ju Jitsu e solo da poco tempo in FIJLKAM nel metodo Bianchi all’attività prettamente tecnica dello studio dei Settori e dei Kata si è affiancata quella agonistica con l’organizzazione di gare che prevedono l’utilizzo di Regolamenti propri italiani (prove di Agonistica ed Accademia) e del Regolamento Internazionale delle competizioni IJJF di Fighting System (prova individuale di combattimento) e di Duo System (prova di abilità tecnica a coppie).
JU JUTSU OGGI
Possiamo quindi sommariamente dire che oggi si distinguono 4 modi diversi di praticare Ju Jitsu:
1. Le scuole Tradizionali Giapponesi: tuttora attive e organizzate a livello mondiale, che propongono uno Ju Jitsu ortodosso, puro e tramandato dal tempo feudale ad oggi praticamente invariato, sia nella tecnica che nella ritualità.
2. Le scuole Moderne Occidentali: sviluppatesi negli anni '60 in Europa e negli USA, nelle quali si pratica un misto di tecniche provenienti da varie scuole tradizionali, mista a tecniche di karate , di judo, aikido, di lotta europea, di pugilato e di lotta corpo-a-corpo di matrice militare. In queste scuole si è perso quasi completamente l'aspetto interiore della disciplina e la ritualità originale. In molti casi si è anche sacrificata la reale efficacia della tecnica, a favore della spettacolarità e della pratica sportiva.
3. Le Scuole Brasiliane: che sono di origine Giapponese e rielaborate nei ghetti brasiliani, sono caratterizzate da poca spettacolarità, poche tecniche, molta preparazione fisica e un allenamento tutto impostato sull'efficacia nel combattimento reale, uno contro uno e senza armi.
4. Le scuole Moderne-Tradizionali: sono delle rielaborazioni delle scuole tradizionali viste alla luce del contesto odierno. Per questi gruppi, il ju jitsu è evoluzione e adattabilità, se si vuole praticare uno Ju Jitsu che sia effettivamente Goshin Jitsu (difesa personale) non si può restare ancorati esclusivamente ai modelli passati e prescindere dal contesto attuale. Si creano così delle Scuole in cui si mantengono i valori della tradizione e nello stesso tempo si raccolgono i frutti dell'evoluzione della ricerca, raggruppamento nel quale porrei il Metodo Bianchi.
La forte crescita di praticanti nelle scuole di Ju Jitsu deriva anche da un aumento della richiesta di corsi di Difesa Personale: quale risposta tecnica migliore si può offrire a questa necessità?
Il programma del Metodo Bianchi da svolgere è relativamente interessante ed ha una sua parziale efficacia pratica: prevede ogni tipo di gesto tecnico e comprende proiezioni, percussioni, leve articolari e tutto quello che serve nel corpo a corpo o nel combattimento a corta distanza. È importante però che i principianti apprendano i punti fondamentali della pratica e dello studio marziale: si devono dunque evidenziare durante l’apprendimento le caratteristiche etiche ed educative della tradizione degli antichi Ryu e infondere uno spirito di reciproca collaborazione tra gli allievi per progredire insieme.
Per quanto mi riguarda ritengo superato il programma tecnico originale metodo Bianchi del 1964 codificato dal maestro Orlandi, e personalmente ritengo che anche il piu’ moderno programma adottato dalla FIJLKAM e dalla Ado Uisp Settore Ju Jitsu scuola metodo Bianchi abbia bisogno di un altra revisione “modernizzativa” per rimanere sempre al passo con i tempi, come del resto gia’ detto in precedenza.
Cito un passo di Isao Okano, vincitore delle Olimpiadi di Judo del 1964:
“Sottomettendosi automaticamente alle tradizioni non si arriva a nessun progresso.
Non è giusto sentirsi spaventati dai cambiamenti, la tradizione non è qualcosa che conserva cocciutamente le vecchie forme davanti a una società e a uno stile di vita che muta di giorno in giorno. Ogni tradizione che ha valore deve costantemente vivere e respirare in modo nuovo; se non ha punti di contatto con il presente non è che un fantasma. Il presente giace su quello che il passato ha accumulato, e il futuro su una linea di estensione che parte dal presente. Un presente che non è conscio delle sue origini, non ha niente da dire; lo stesso vale per le speranze future che vogliano ignorare il presente.”
Franco Garibotti