Riprendendo il tema inziale del thread, secondo me si è trattato di un’operazione di marketing, finalizzata a sostenere il business del karate inteso come prodotto portato in occidente da determinate persone (leggasi i maestri shotokan Jka). A mio avviso, il karate così come è stato diffuso non ha portato solo dei soldini nelle tasche di certe persone (e dei soldoni nelle tasche di altre…), ma
è un prodotto che fornisce un certo valore aggiunto anche a chi lo acquista.Vi faccio un esempio paragonando la diffusione del karate a quella del formaggio.
Immaginate di essere dei giovani casari che producono mozzarella. A un certo punto della vostra esperienza lavorativa venite invitati in oriente in un paese dove il consumo di formaggio è praticamente sconosciuto (chiamiamolo “
Remotistan”).
Vi invita un cultore del buon cibo, che però non è uno chef e ha letto solo qualche articolo dove si spiega a grandi linee come si fa il formaggio. Arrivati in Remotistan il vostro contatto vi indica come installare un piccolo caseificio e far conoscere la bontà della vostra mozzarella, che chiameremo “
Mozzarella italiana”.
Inizialmente è un prodotto di nicchia, che viene consumato da un ristretto gruppo di persone, poi decidete di insegnare l’arte casearia ad altri, per diffondere il consumo di mozzarella. L’unico impegno che chiedete ai vostri adepti è di versarvi una quota dei proventi di questa vendita. Dopo qualche anno, in Remotistan il consumo di mozzarella è diventato una bella realtà; ci sono casari più o meno bravi, degustatori che prima si appassionano e poi riprendono a mangiare solo il riso, millantatori che si improvvisano casari solo dopo aver letto un libro, ecc.
Il business è insomma fiorente e voi tenete stage di arte casearia ovunque, vi state arricchendo e nel Remotistan si parla ovunque della Mozzarella Italiana.
Addirittura sostenete che per renderla più appetibile avete modificato la ricetta, perché l’originale italiano sarebbe stato poco digeribile per i remotistani.Purtroppo dopo qualche anno in Remotistan viene fuori qualcun altro che ha fiutato il business del formaggio, dunque invita altri casari dall’Italia. Questi portano altri tipi di formaggio: il parmigiano, il caciocavallo, la fontina, il taleggio. Così vengono a formarsi dei piccoli gruppi di degustatori dei formaggi stagionati. Addirittura c’è qualche casaro che esce dal gruppo della “Mozzarella Italiana” e comincia a fare dei formaggi di sua invenzione: la mozzarella a treccia, la mozzarella di bufalo d’acqua, ecc.. Si comincia a vociferare che il vero formaggio italiano non è la fresca mozzarella ma il parmigiano, che per venire pronto e così buono ci mette almeno un anno di tempo.
E’ venuto il momento in cui sentite in pericolo il vostro business, dunque, anche su suggerimento di altri casari italiani espatriati, decidete di creare il marchio “
Mozzarella Tradizionale Italiana”. Ciò per differenziarvi da tutti i formaggi che si stanno producendo in Remotistan. Beninteso, la mozzarella è buona, ma ci sono altri formaggi altrettanto gustosi.
Dopo 30 anni la vostra è una realtà consolidata, tuttavia dei gruppi di cultori organizzano viaggi in Italia e imparano altri metodi caseari. Addirittura si dice che il vero formaggio tradizionale italiano non sia la mozzarella ma il parmigiano, che alcuni producono in versione grana padano, che addirittura in alcuni remoti caseifici di provincia lo facciano con la crosta nera, ecc.
In Remotistan si formano gruppi di casari studiosi, che rinnegano la “mozzarella italiana “ e fanno dei loro formaggi, che si ispirano ai più prelibati formaggi stagionati italiani, compresi i vostri allievi di più antica data.
La vostra organizzazione di vendita è da tempo in declino, ma la “mozzarella tradizionale italiana” ha sempre mercato ed è un prodotto di “fascia alta”, quindi costa tanto.
Voi non vi date per vinti e continuate a propagandare la vostra mozzarella come il vero prodotto tradizionale italiano. Qualcuno dice che i vecchi casari italiani sostengono che “
il formaggio è sempre formaggio” e “
viene sempre dal latte”. Anzi si scopre che forse in Italia in formaggio ce l’hanno portato i nomadi della Pannonia,
che prima esistevano solo dei metodi caseari autoctoni ma primitivi.
Si scopre che qualcuno vende in Remotistan la “feta italiana”, dopo essere stato in Grecia per anni ad impararne la caseificazione.
In tempi recenti altri esperti casari si accorgono che il metodo di produzione e diffusione della “mozzarella tradizionale italiana” è sbagliato, perché il prodotto risulta indigeribile per i bambini. Allora lo cambia, la chiama “mozz
àrella”, lo distribuisce nelle scuole e attira le ire dei casari della “vecchia guardia”.
Cominciano a diffondersi i nostalgici della buona vecchia “mozzarella tradizionale italiana”, che però poi si sono dati al parmigiano, perché il formaggio fresco “non lo digeriscono più”.